Benno Neumair, in Corte d’Assise sfilano i testimoni per il processo che vede alla sbarra l’insegnante che uccise i suoi genitori, sbarazzandosi dei corpi nell’AdigeL’ex fidanzata rammenta la loro relazione in Germania in un racconto choc E ancora la sorella Madè dice: “Ho paura di lui”Il caso ricostruito nell’approfondimento di Cronaca Vera
Chi è davvero Benno Neumair? I racconti che emergono dal processo in Corte d’Assise a Bolzano di chi gli era più vicino sono davvero raggelanti. Il trentenne insegnante di matematica uccise i genitori Peter Neumair, 63 anni, e Laura Perselli, 68, poco dopo essere tornato dalla Germania, dove era stato ricoverato in psichiatria.
Ma per un bel pezzo il giallo tenne banco sulle prime pagine dei giornali: la coppia era scomparsa nel nulla il 4 gennaio 2021. E quando chiesero a lui se sapesse che fine avessero fatto, disse a lungo di non saperne nulla: in realtà, dopo averli ammazzati, si era liberato dei loro corpi nell’Adige.
E quanto fosse inquietante quel giovane che amava ritrarsi nei video di Youtube intento a fare sfoggio dei propri muscoli lo racconta proprio l’ex fidanzata che aveva in Germania, Nadine. L’aveva conosciuta su Tinder, l’app per incontri, nel settembre del 2019. E convissero per sette lunghi mesi.
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BENNO NEUMAIR SI INIETTAVA IL SANGUE NEGLI OCCHI
Nadine, 33 anni, ha testimoniato in aula sulla loro vita insieme a Neu-Ulm, iniziata tre mesi dopo la conoscenza e conclusa con il ricovero coatto del giovane per problemi psichici.
Le prime otto settimane di convivenza erano andate bene. Poi lui aveva iniziato ad avere sbalzi d’umore. E non solo: «A marzo ha digiunato per nove giorni. Beveva solo the e acqua. Poi mangiava solo broccoli e miglio».
Quindi lei si accorse di strani movimenti sul suo conto corrente: acquisti fatti con il suo bancomat in un negozio di alimentari biologici. Benno disse di non saperne nulla, Nadine trovò scorte di cibo in soffitta. Fece una denuncia «contro ignoti». Ma dopo la lite «abbiamo deciso di riprovarci».
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Era solo l’inizio. Due giorni più tardi Benno le telefonava dicendo di essere stato aggredito da un amico di lei. Ma non era vero.
Fu allora che Nadine chiamò Laura, la mamma di Benno: «Mi ha detto di non tornare a casa da sola, ma di chiamare la polizia e l’ambulanza. Io, però, sono tornata a casa da sola, parcheggiando la macchina in un posto auto che non era il mio, per avere la scusa di scendere a spostarla».
Lo trovò in bagno con un coltello in mano, puntato verso l’alto all’altezza del viso: «Aveva delle ferite puntiformi in viso. Era molto nervoso, continuava a dirmi di essere stato picchiato dal mio amico. Gli ho fatto credere che gli credessi, l’ho fatto parlare. Ho portato il coltello in cucina, ci siamo seduti sul pavimento e gli ho fatto delle foto. Gli ho detto sarebbero servite per sporgere denuncia per l’aggressione. Mi ha lasciato fare e dopo un po’ sì è calmato. A quel punto, gli ho detto che dovevo spostare la macchina perché l’avevo parcheggiata male. Lui ha controllato dal balcone e mi ha lasciata scendere».
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Nadine invece richiamò la mamma di lui e poi la polizia: lo portarono in psichiatria. E lì «ammette ai medici come si è procurato le ferite. Si è prelevato del sangue, iniettandoselo nell’angolo dell’occhio e della bocca, abradendosi la pelle con carta smerigliatrice».
Dice di aver paura. Ricorda il viaggio verso la stazione dopo le dimissioni, le sue urla. E l’ultima mail che gli scrisse «dicendo di aver capito perché fosse così malato: aveva il verme solitario, preso in Indonesia, che gli aveva pervaso il cervello».
LA SORELLA DI BENNO
Non è l’unica, Nadine, a temerlo. C’è anche a sorella di Benno, Madè, tornata in aula. E ha spiegato ai cronisti, a margine dell’udienza: «È brutto da dire, ma finché non è davanti a casa mia, mi sento più tranquilla. Lo vorrei il più lontano possibile da me. Ho detto tante cose che sicuramente non gli sono piaciute».
Ricorda come cambiò dopo la rottura con la prima fidanzata e l’assunzione di anabolizzanti. E che quando tornò dalla Germania «al telefono, avevo supplicato la mamma di non andare a prenderlo in macchina. In autostrada, è un attimo mettere una mano sul volante e andarsi a schiantare tutti».
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Frasi che fanno pensare a come l’insegnante fosse una bomba ad orologeria che tutti coloro che gli stavano vicino sapevano che sarebbe prima o poi scoppiata.
Nonostante i genitori lo trattassero «con i guanti di velluto», tanto da preparargli la colazione che lui chiedeva dalla sua camera, via Whatsapp.