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Ucraina, i signori della guerra: chi non vuole che si smetta di uccidere

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Cinque giorni prima dell’invasione dell’Ucraina, il cancelliere tedesco Scholz propose a Zelensky di rinunciare pubblicamente ad entrare nella Nato.Secondo quanto riportato dal Wall Street Journal, Scholz assicurò che il patto sarebbe stato firmato da Putin e Joe Biden e avrebbe contenuto clausole per la sicurezza dell’Ucraina. Non ci sarebbero stati morti, l’Ucraina non avrebbe perso nemmeno una città. Zelensky rifiutò. Perché, non si sa.Però altre cose ci lasciano stupiti. Ecco quali. 

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Le bombe sull’Ucraina (da Twitter)

Il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, lo ha ammesso candidamente: «Abbiamo dato sostegno per molti anni formando centinaia di migliaia di forze ucraine». Sicchè, per molti anni, il “macellaio Vladimir Putin” (cit. Joe Biden) ha visto il suo nemico di sempre addestrare alla guerra l’esercito del Paese limitrofo, con cui non era affatto in buoni rapporti.

Chissà cosa sarebbe successo a parti invertite, con i russi intenti a “formare” per anni messicani e vicini di casa degli Usa. Non si sa.

L’incontro prima della guerra in Ucraina

Però si sa dell’altro dal Wall Street Journal. Ovvero che il 19 febbraio, cinque giorni prima dell’invasione, il cancelliere tedesco Olaf Scholz propose a Volodymyr Zelensky di rinunciare pubblicamente ad entrare nella Nato proclamando la neutralità del proprio Paese, una mossa che avrebbe scongiurato un conflitto che evidentemente tutti davano per imminente da mesi.

Secondo quanto riportato dal quotidiano, Scholz assicurò che il patto sarebbe stato firmato da Putin e Joe Biden e avrebbe contenuto clausole per la sicurezza dell’Ucraina. Non ci sarebbero stati morti, l’Ucraina non avrebbe perso nemmeno una città. Zelensky rifiutò. Perché, non si sa.

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Da Twitter

La versione russa

Al Corriere della Sera ha parlato però Sergey Karaganov, già consigliere di Putin e tuttora molto vicino allo zar: «L’Ucraina è stata costruita dagli Stati Uniti e altri Paesi Nato come una punta di diamante per avvicinare la macchina militare occidentale al cuore della Russia. Vediamo ora quanto fossero preparati alla guerra».

E ha previsto un’escalation inquietante: «Gli americani e i loro partner Nato continuano a inviare armi all’Ucraina. Se va avanti così, degli obiettivi in Europa potrebbero essere colpiti o lo saranno per interrompere le linee di comunicazione».

Lo stesso Putin, parlando dell’invasione in Ucraina, ha detto: «Lo dovevamo fare, perché le autorità di Kiev, incoraggiate dall’Occidente, si sono rifiutate di attuare gli accordi di Minsk per una risoluzione pacifica dei problemi del Donbass».

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Da Twitter

L’Ucraina, tra Putin e Biden

Putin, in questa storia, è chiaro a tutti, è il cattivo: è lui l’aggressore. Ma già 25 anni fa, quando era appena un senatore del Delaware, Biden spiegava in un discorso pubblico come spingere alla guerra il Cremlino: «Allargando la Nato ai Paesi baltici, provocheremmo una reazione vigorosa della Russia».

La vocazione guerrafondaia del futuro presidente si sarebbe rivelata definitivamente l’anno successivo, 1998, quando lo stesso Biden propose al Senato di «bombardare Belgrado» e di «far saltare tutti i ponti sul Danubio», come poi avvenne.

Ora, non si sa perché Zelensky abbia rifiutato l’accordo di Scholz. Però si sa anche, dal Daily Mail  – che ne ha pubblicato le email – che il figlio di Biden, Hunter, ha fortissimi interessi in Ucraina, in particolare in quei laboratori dove, secondo i russi, si lavorerebbe ad armi chimiche.

bucha new york times
Il New York Times e le foto satellitari di Bucha. Nelle foto manca la neve, presente a Bucha quel giorno

Lo spartiacque della strage di Bucha

Di fatto, la strage di Bucha, giudicata controversa da esperti inviati di guerra come Toni Capuozzo e Fausto Biloslavo, ha fatto da spartiacque nel conflitto. Ora, infatti, altri due Paesi vicinissimi al territorio russo, Svezia e Finlandia, vogliono abbandonare la storica neutralità per entrare nella Nato. Ma non finisce qui.

Bucha è stata forse decisiva anche su altro, come ha spiegato il generale Leonardo Tricarico, già capo di Stato Maggiore italiano, a Tagadà: «Negli interventi pubblici di Biden e gli altri, nessuno ha mai citato parole come “negoziato”, “cessate il fuoco”, “stop alle armi”. Insomma, Joe Biden non vuole la pace e se non la vuole lui non la vogliono gli altri».

Toni Capuozzo
Toni Capuozzo parla a Quarta Repubblica dei suoi dubbi su Bucha

La censura

Ogni giorno vediamo gli orrori della guerra in Ucraina. Ma, se da una parte Zelensky ha dato una violenta stretta alla comunicazione di tv e giornali del suo Paese, l’Italia ha censurato i media russi nel nostro, come Sputnik e Russia Today. Sicchè sentiamo sempre una sola versione dei fatti.

Eppure il conflitto, specie a est, nella zona di Mariupol e del Donbass, è una sorta di guerra civile, fratricida – e da anni – tra civili filorussi e filo Kiev. Ma se delle vittime tra questi ultimi sappiamo tutto, dei primi non sappiamo nulla.

E non solo di loro. Zelensky sostiene che siano stati uccisi 19 mila soldati di Mosca. Che è assolutamente possibile: solo che non li vediamo. Hanno detto che usano forni crematori mobili, ma per ora abbiamo visto solo fake. Eppure 19 mila persone sono un’enormità: dovrebbero esserne piene le strade. Come a Bucha.

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Il finto forno crematorio mobile russo

L’economia russa in default? No, vola

Invece non si sa nulla. E il vero problema, ad ascoltare una sola campana, è che spesso si finisce per essere colti di sorpresa. Ci avevano detto, ad esempio, che le sanzioni contro la Russia, che hanno portato all’impennata delle bollette, della benzina, di ogni genere di prodotto in Italia e alla crisi di migliaia di aziende, avevano messo in ginocchio Mosca.

Ma la Banca centrale russa ha comunicato i dati del primo trimestre 2022: un surplus di 58,2 miliardi, il più alto dal 1994. Strano, ma non quanto ciò che segue: Zelensky ha chiesto all’Ue di porre l’embargo totale su petrolio e gas russo, che porterebbe verosimilmente ad un mezzo default del Vecchio Continente.

Ma certo, per dirla con la surreale metafora Mario Draghi “preferiamo la pace o il condizionatore acceso?” Solo che Il Fatto Quotidiano ha rivelato come ci sia un Paese che continua a pagare royalties in euro e dollari il gas ai russi: l’Ucraina.

Lo ha raccontato Yuriy Vitrenko, amministratore delegato di Naftogaz, compagnia statale che gestisce la rete del gas di Kiev. Dicono che tocchi all’Europa fermare il flusso che passa dal loro Paese. Dicono.

 

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