Bucha, sui cadaveri per strada e sulle fosse comuni i dubbi degli inviati di guerra e le foto satellitari del New York Times.Ecco il video di 7 minuti della polizia ucraina in cui i cadaveri non ci sono. La guerra dei media e i numerosi fake della guerra in Ucraina.L’agghiacciante testimonianza di Katerina Ukraintseva, vicepresidente del consiglio comunale, potrebbe spiegare cosa sia in realtà successo.
Cos’è successo davvero a Bucha, paesino alle porte di Kiev? Mosca ha risposto alle accuse parlando di una messinscena. Ma l’unica cosa certa è che i cadaveri ci sono. Così come la gente con le mani legate dietro la schiena, vittima, all’apparenza, di esecuzioni sommarie.
Certo, i numeri cambiano di giorno in giorno: ieri mattina le autorità locali parlavano di 410 corpi, 280 nelle fosse comuni e 130 per strada.
Il leader ucraino Volodymyr Zelensky, giunto a Bucha nello stesso pomeriggio, forniva cifre diverse: «Abbiamo appena iniziato un’indagine su ciò che hanno fatto gli occupanti. In questo momento, solo a Bucha si conoscono circa 300 persone uccise e torturate. L’elenco delle vittime sarà molto più ampio quando l’intera città sarà controllata».
Ma per capire questa storia bisogna e comprendere il motivo per il quale alcuni tra i più esperti inviati di guerra abbiano dei dubbi, bisogna andare per gradi.
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Bucha e la propaganda di guerra
Questa è una guerra dove le fake news e la propaganda, da una parte e dall’altra, l’hanno fatta da padrone. Abbiamo assistito a scene di videogiochi passate per veri bombardamenti. Poi, quando ci sono stati quelli veri, sono successe cose sconcertanti.
Come la strage di Donetsk, sparata a tutta pagina da alcuni giornali lasciando intendere che fosse un crimine commesso dai russi. Invece era ucraino, come ha peraltro testimoniato l’autore della foto finita sui giornali. La storia ve l’abbiamo raccontata QUI.
O ancora i 13 guardiani dell’Isola dei Serpenti, che mandarono «a farsi fottere» l’armata russa che intimava loro di arrendersi. Dissero ovunque che subito dopo erano stati sterminati. Non era vero. Li hanno liberati la settimana scorsa. E il capitano, Roman Hrybov, autore della frase che fece il giro del mondo, è tornato a casa con una medaglia.
E che dire dell’incredibile storia di Marianna Vishegirskaya, la donna incinta del bombardamento dell’ospedale di Mariupol? I russi replicarono che si trattava di una nota fashion blogger e che gli ucraini avevano allestito una sceneggiata.
Il giorno dopo, dalla parte opposta, venne fatto sapere che la donna era morta insieme al suo bambino. Finché Marianna è riapparsa in un video, in cui ha spiegato che era davvero incinta, che davvero ha partorito a Mariupol, ma che non è stata lei, ovviamente, a morire, ma una ragazza che conosceva.
Ha pure “assolto” i russi dall’attacco all’ospedale. E i media di Kiev hanno risposto allora sostenendo che sia stata rapita e costretta a girare quel filmato. – GUARDA
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Bucha, impossibile scoprire la verità?
Ecco perché bisogna fare attenzione a dare per scontato ciò che sia successo a Bucha. Scrive su Facebook Maria Elena Scandaliato, la giornalista d’inchiesta che ha sollevato il caso dell’uso della strage di Donetsk sui media, e autrice di documentari dal Donbass in anni in cui gli italiani ignoravano persino che esistesse:
Siamo in guerra, e una parte di essa si combatte sui media. Non sapremo mai cos’è accaduto veramente a Bucha. Come non sappiamo – a distanza di otto anni, nonostante le ispezioni e il report conclusivo delle Nazioni Unite – cos’è accaduto a Goutha e in altre città siriane dov’è stato utilizzato il gas sarin sui civili (ma anche sui militari dell’esercito regolare).
Eppure, i nostri media – oggi come in Siria nel 2013 – ci presentano quei corpi, quel macello come granticamente russi. E io mi chiedo, da giornalista, quanto sia non solo poco serio (perché la serietà è morta da un pezzo), ma soprattutto spericolato, folle, irresponsabile soffiare in modo così unilaterale sul fuoco, presentando una serie di corpi, in un teatro di guerra, come la pistola fumante di un sicuro quanto inspiegabile crimine contro l’umanità.
D’altronde, siamo nella coalizione che ha devastato un Paese – l’Iraq – per cercare delle armi di distruzione di massa che non c’erano. E temo che se andassimo a pescare i servizi giornalistici sulle “armi chimiche” di Saddam, poco prima della guerra del 2003, troveremmo materiale di cui vergognarci per i prossimi 5mila anni.
Ora ci dicono che i russi, prima di ritirarsi da Bucha (ritiro avvenuto tra il 31 marzo e il primo aprile), avrebbero torturato, trucidato ed esecutato un indefinito numero di persone. Lasciandole in bella vista per le nostre telecamere.
Bucha è una città di 30mila abitanti; tipo Melegnano (chi è a Milano capisce di cosa parlo, le dimensioni di un paesone). Il sindaco di Bucha, lo stesso 31 marzo, in un video gioiva della ritirata russa; e la polizia ucraina, tornata a presidiare la cittadina, il 2 aprile (sabato) diffondeva foto e video (un lungo video, di 7 minuti) girati in città, per documentare la fine dell’occupazione russa e la riconquista del territorio.
Bucha, lo dicevamo, è un paesone, che non avrà certo duemila vie d’accesso nella sua zona Nord; mi sembra difficile che ci siano voluti due (nella migliore delle ipotesi, se non tre) giorni, per scoprire la strada costellata di cadaveri che tutti abbiamo visto in tv e sui pricipali siti dei media nostrani.
E mi sembra difficile, se non incredibile, che le fosse comuni di cui si parla siano state individuate solo ora. Magari hanno ragione i miei colleghi, ad additare i russi come criminali di guerra; ma se avessero torto?
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Non sarebbe più saggio, utile a tutte e a tutti raccontare ciò che si vede con i propri occhi (non su un video diffuso da una delle due barricate) e aspettare che chi di dovere (l’ONU! Questo sconosciuto, bistrattato, inutile organismo internazionale!) faccia gli accertamenti necessari?
A chi serve additare in fretta e furia il criminale di guerra? A chi giova il coro compatto di condanna, l’indignazione universale, nel momento in cui l’escalation deve sembrare irreversibile e la guerra l’unica opzione praticabile?
Sappiamo benissimo cui prodest; agli stessi che non tollerano pacifismi, equidistanze, mediazioni; agli stessi che ci chiedono di raddoppiare la spesa militare (a scapito di quella per sanità, scuola e welfare), di inviare armi in Ucraina, di chiudere la bocca a chiunque sollevi anche solo un dubbio o esponga la situazione per quello che è: estremamente complessa e pericolosa, quindi lontana da isteriche semplificazioni alla John Wayne.
Ho letto che un collega danese, Robert Dulmer, è stato espulso dall’Ucraina per aver diffuso foto di un bombardamento a Odessa. Portà tornare a Kiev solo nel 2032: per due lustri sarà persona non gradita. D’altronde, il 26 marzo il presidente Zelensky – da quello che leggo – ha varato una legge che punisce con la prigione (dai 3 ai 12 anni, a seconda di cosa si stia trattando) chiunque pubblichi materiale “non autorizzato” su bombardamenti, movimenti di truppe, identità dei cadaveri, ecc…
Cosa che mi fa davvero dubitare di come si possa fare giornalismo di guerra, in questo momento, in Ucraina, senza rischiare la galera. A meno che non si diffonda e non si pubblichi solo ciò che è “autorizzato” da Kiev. E non mi sembra il modo migliore di esercitare la professione.
Siamo in guerra senza saperlo. Chissà per quanto, ancora, ci sarà concessa questa beata, privilegiata incoscienza.
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I dubbi degli inviati di guerra
Ai dubbi della Scandaliato si aggiungono quelli di due inviati di guerra di lungo corso. Il primo è Fausto Biloslavo, de Il Giornale, che ai microfoni di Mediaset sostiene che siano «necessarie cautela ed indagine indipendente per capire come sono andate le cose».
Anche perché ha letto quanto scritto da un fotografo spagnolo, il quale avrebbe immortalato cadaveri a Bucha che indossavano bande bianche sul braccio, quelle di solito utilizzate dai filorussi. Per quale ragione i russi avrebbero dovuto sparare sui loro sostenitori? – VIDEO
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Anche Toni Capuozzo, storico inviato del Tg5, non è convinto: «Io sollevo qualche dubbio su quello che è accaduto a Bucha. Mi faccio qualche domanda e voglio ricostruire quello che è accaduto a Bucha. Il 30 marzo i russi si sono ritirati da Bucha. Il 31 marzo il sindaco di Bucha rilascia un’intervista in cui esprime la propria soddisfazione per il fatto che i russi hanno finalmente abbandonato il paese. Il 1° aprile c’è un’altra intervista e nessuno fa menzione dei morti in strada.
Poi il 2 aprile spunta fuori un filmato della polizia ucraina che mostra soltanto un cadavere. Il 3, invece, iniziano a circolare tutti i morti che abbiamo visto. Da dove sono saltati fuori tutti questi corpi? Possibile che dopo 4 giorni nessuno ha messo una coperta su questi cadaveri? Io li ho visti come sono i cadaveri dopo qualche giorno. Queste vittime sono in strada da tre settimane? Non sarebbero in quelle condizioni!» – VIDEO
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I fatti di Bucha, le foto satellitari e ciò che non torna
Dunque, ricapitoliamo i fatti. Bucha è un paese che si estende su 10 chilometri quadrati, meno di un qualsiasi comune della provincia di Milano. E conta 30mila abitanti.
Dopo un lungo assedio, il 31 marzo il sindaco Anatoly Fedoruk dice in un video: «Cari amici! Il 31 marzo è una bellissima giornata della liberazione dagli orchi russi che sono stati ricacciati dalle nostre forze armate nazionali. Oggi è un giorno di felicità e di grande vittoria. Grande vittoria delle nostre forze armate a Kiev. Faremo senza dubbio di tutto per la grande vittoria dell’Ucraina. Gloria alle forze armate ucraine, gloria all’Ucraina, gloria a ogni ucraino che vive in ogni parte dell’Ucraina».
Il video è questo:
La polizia ucraina, rientrata in città, gira un video di 7 minuti per le strade in cui si vede un solo cadavere, come sostiene Capuozzo, che sembra essere un militare. Il video è questo:
Poi però ci sono le foto satellitari pubblicate dal New York Times, ottenute da Maxar Technologies, che documenterebbero come i cadaveri fossero lì dall’11 marzo.
Dove? Sulla strada Yablonskaya.
Come si vede dalle immagini qui sopra, la Yablonskaya non è una strada nascosta, è l’arteria principale del paese. Perché nessuno, per ben tre settimane, avrebbe visto, né coperto quei cadaveri dato che in un paese tanto piccolo centinaia di cadaveri per strada non sarebbero certamente passati inosservati?
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Una possibile soluzione
In realtà il sindaco aveva parlato all’Adnkronos già il 28 marzo, spiegando che i russi «non hanno pietà neanche per gli anziani, non consentono ai medici di prestare soccorso ai feriti e ai parenti di recuperare i corpi dei loro cari morti. Alcuni cadaveri sono lì dall’inizio dell’occupazione, li stanno mangiando i cani affamati. I russi devono far entrare nei territori temporaneamente occupati una missione internazionale, affinché si fermi lo spregio dei morti».
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La conferma di quanto dichiarato dal sindaco arriva dal vicepresidente del consiglio comunale di Bucha, Katerina Ukraintseva, la quale, in un lungo racconto su Meduza, ricorda l’invasione della città:
L’occupazione è avvenuta il 5 marzo. Dal 4 al 5 marzo hanno sparato in tutta Stekolka. Ora, i corpi dei combattenti della difesa giacciono sulla Yablonskaya, la nostra lunga strada principale che si trova parallela a Irpin. I cadaveri sono sdraiati lì dall’inizio di marzo. Le truppe russe stazionarono lì tutto il loro equipaggiamento e poi bombardarono Irpin da quella strada…
Nessuno poteva uscire fino all’8 o al 9 marzo. Ci era permesso far bollire l’acqua sui fuochi nelle strade perché non c’era più né elettricità né acqua. Fu lo stesso giorno in cui iniziarono ad apparire rapporti su corpi di civili nelle strade.
Hanno installato il loro posto di blocco sulla Yablonskaya. Per evacuare, le persone hanno dovuto passare il checkpoint russo, per arrivare a quello ucraino. Non so quante persone siano riuscite a superare il checkpoint; bisognerebbe contare i cadaveri. Noi stavamo consegnando aiuti umanitari ieri, quando una delle brigate ha visto questi corpi.
Uno di loro stava andando in bicicletta; una coppia stava facendo una passeggiata insieme. Stavano semplicemente sdraiati lì, tutti in posizioni diverse. Non possiamo stabilire la causa della loro morte dalle fotografie. Non sarà chiaro fino all’analisi.
Bucha non si stava comportando in modo aggressivo. Non abbiamo fatto manifestazioni filo-ucraine, nessuno usciva con le bandiere… Ma le truppe russe erano così brutali che le persone non erano abbastanza coraggiose.
A un certo punto, i soldati russi hanno dato le loro razioni asciutte alle persone in un seminterrato e poi hanno lanciato una granata nel seminterrato. Che è successo. Non ho dati sulle vittime di quella storia. Durante una delle loro “operazioni di pulizia”, avevano paura di entrare in un seminterrato buio in un complesso di appartamenti, quindi hanno lanciato una granata, per ogni evenienza. Per puro caso, nessuno è morto.
Sono arrivato lì sentendo che c’erano diverse unità sparse per Bucha: si comportavano tutte in modo diverso. Il centro città è stato fortunato: lì c’era una specie di unità medica. Hanno raccolto i loro ” 200 ” e ” 300 ” – hanno persino dato il loro carburante diesel all’ospedale. Quei ragazzi erano molto giovani, quasi come studenti universitari.
Quando hanno dato il diesel, hanno detto che dovevano andare oltre a Kiev, ma non volevano – e che sarebbe stato meglio dire che avrebbero finito il carburante. Alcuni di loro non volevano combattere.
Ma quelli che sono entrati proprio all’inizio, quando è iniziata l’occupazione, erano animali. Molte persone sono scomparse. Non sappiamo cosa sia successo loro.
Quindi sapevano in paese che c’erano dei morti sulla Yablonskaya. Non quanti, perché era impossibile avvicinarsi ai posti di blocco russi su quella strada.
Evacuata l’11 marzo, Katerina è rientrata a Bucha il 2 aprile. Con molta onestà ha detto: «Non ho visto sparare a nessuno. Quelli che giacevano su Yablonskaya sono morti a causa di una sparatoria casuale». Però «quelli che sono scappati dalla Yablonskaya hanno detto che era l’inferno».
Forse la polizia ucraina fece semplicemente un’altra strada e per questo non documentò i cadaveri e la versione di Katerina è una possibile soluzione al giallo. Restano da chiarire le fasce bianche filorusse sui cadaveri. Non un problema da poco.
Manuel Montero
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