Liliana Resinovich, il test tossicologico esclude che abbia assunto droghe o farmaci prima di morireAl momento, le indagini non sono riuscite a dimostrare che si tratti di un omicidio. Tuttavia, anche le due ipotesi alternative, suicidio o morte naturale, sono così improbabili da dover essere escluse.
E allora?
Liliana Resinovich, dopo l’esito negativo del test tossicologico, il caso si fa sempre più intricato. Proviamo a ricostruirlo in maniera completa, fin dall’inizio. Per chi volesse approfondirlo nel dettaglio, su Fronte del Blog è presente una sezione speciale .
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La scomparsa di Liliana Resinovich
Liliana Resinovich, sessantatreenne, viveva a Trieste assieme al marito Sebastiano Visintin, di settantadue.
Lo scorso 14 dicembre Liliana è uscita di casa tra le 8,15 e le 8,30. L’orario è certo in base alla testimonianza di una negoziante e al filmato di una telecamera di servizio.
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Alle 8,22 la donna ha fatto ad un amico, Claudio Sterpin, 82 anni, l’ultima telefonata. Secondo quanto riferisce l’uomo, i due hanno preso accordi per incontrarsi a casa di lui per le 10, onde consentire alla donna di passare prima da un negozio della Wind nei paraggi, in cui non si è mai presentata.
Dopo questo colloquio telefonico, Liliana è scomparsa nel nulla. Non aveva con sé nessuno degli oggetti personali, e in particolare i suoi due cellulari, che normalmente una persona si porta dietro quando si allontana da casa anche per un breve periodo.
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Il ritrovamento del cadavere di Liliana Resinovich
Dopo tre settimane di vane ricerche, la donna il 5 gennaio del 2022 è stata ritrovata cadavere nel boschetto dell’ex Ospedale Psichiatrico di San Giovanni, una zona verde che, tuttavia, non può considerarsi fuori mano: almeno di giorno è infatti un frequentato luogo di passaggio.
Il cadavere, con indosso i vestiti con cui la donna era uscita – compresa la borsetta che però è vuota – era avvolto dentro due sacchi della pattumiera. Altrettanti sacchetti di plastica trasparente circondavano la testa.
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La scena del crimine
Dall’esame della scena non si è ricavato nulla di significativo.
L’autopsia ha accertato che:
- non ci sono tracce di violenza sul corpo che possano aver causato la morte;
- la morte risale verosimilmente al giorno della scomparsa;
- la causa del decesso è dovuta a “scompenso cardiaco acuto”, un evento fatale che può insorgere all’improvviso o essere frutto di aggravamento di una preesistente condizione patologica. Ma non si ha notizia che la donna fosse in cura per problemi cardiaci.
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Le ipotesi da scartare sulla morte di Liliana Resinovich
Evidentemente, si danno tre possibilità:
- Liliana Restinovich è morta per subitanea insorgenza “naturale” di uno scompenso cardiaco;
- Liliana Restinovich si è suicidata autoprocurandosi uno scompenso cardiaco;
- A Liliana Resinovich è stato procurato, in un modo ancora da determinare, uno scompenso cardiaco.
Le prime due, a lume di logica ed esperienza, devono essere scartate.
- Uno scompenso cardiaco improvviso è una fatalità che può ben verificarsi, ma la possibilità che avvenga mentre la vittima, per uno sconclusionato ghiribizzo, si sia infilata dentro sacchi della spazzatura in un luogo appartato è così remota da dover essere ragionevolmente ritenuta impossibile,
- Ancor più improbabilmente astruso è il caso che un suicida scelga di togliersi la vita nelle circostanze sopradescritte. L’unica spiegazione è che volesse morire lasciando di proposito incerta la causa del decesso. Ma perché mai?
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Le indagini
La magistratura pur in presenza di persone senza alibi indiscutibili e con moventi per uccidere Liliana, non ha potuto aprire alcun fascicolo per omicidio, neppure contro ignoti, quindi al momento nessuno è indagato.
Sono stati disposti esami tossicologici per chiarire se una qualche sostanza farmacologica o chimica ha ingenerato lo scompenso cardiaco nella vittima . E’ di ieri la notizia che queste analisi, lunghe e complesse, si sono concluse senza risultati.
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Il delitto perfetto?
Ci troviamo, quindi, in una variante originale, da giallo letterario, del delitto perfetto.
Nei casi di sparizione di una persona il responsabile del delitto ha un modo sicuro – si contano numerosi episodi del genere – per ottenere l’impunità: nascondere il cadavere della vittima senza che venga mai ritrovato o distruggerlo senza lasciare tracce.
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In tal caso, poiché la vittima potrebbe non essere morta, ma aver voluto nascostamente cambiare vita – circostanza anche questa non rara – l’incertezza sull’esistenza stessa del reato impedisce (ma non sempre) di perseguire chicchessia penalmente.
Nel caso di Liliana Resinovich il cadavere della vittima c’è, ma manca, in modo altrettanto decisivo, il modus necandi, ovvero l’azione omicida.
Il risultato finale è lo stesso: nessun reato, nessun colpevole.
Vedremo se gli sviluppi dell’inchiesta riusciranno a superare questo impasse.
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