Silvio Berlusconi, Romano Prodi e molti altri stanno chiedendo a gran voce un esercito europeo. Ma fu il Pentagono, nel 1992, a non volerne la creazione per il timore che indebolisse il potere della NATO.I sospetti dell’epoca di Vittorio Sbardella sulla destabilizzazione italiana e l’allargamento del NACC a quasi tutte le ex repubbliche sovietiche nel marzo 1992La storia di quel documento e di ciò che accadde è riportata nel libro “I diari di Falcone”, basato sulle agende elettroniche del giudice Giovanni Falcone ed edito da Chiarelettere nel 2018
L’esercito europeo? Con la guerra in Ucraina sono in tanti ad invocarlo. Anche in Italia. Silvio Berlusconi scrive ad esempio su Facebook: «Forza Italia ha sempre lavorato per l’unità dell’Occidente e per la difesa della libertà e della democrazia, ha sempre sostenuto che l’Europa oltre a dotarsi finalmente di un’unica politica estera debba fare la sua parte con un esercito e una difesa comuni, che sia protagonista di una forte Alleanza Atlantica».
Si tratta di una delle rarissime volte in cui l’ex premier si trova d’accordo con Romano Prodi, che in una conferenza alla scuola di Applicazione dell’Esercito, ha detto: «Una solida politica estera comune e un esercito europeo che sia il suo braccio secolare».
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Già, ma come mai non è mai stato realizzato fino ad oggi? C’è un documento riservato del Pentagono, risalente al marzo 1992, che potrebbe raccontarlo e che fa perno proprio sull’allora neonata Russia e sulle ex repubbliche sovietiche.
Se ne parla nel capitolo “Una profezia inquietante” del libro di Edoardo Montolli* I diari di Falcone, basato sulle agende elettroniche del giudice Giovanni Falcone e pubblicato da Chiarelettere nel 2018.
Eccone un estratto.
Tratto da I diari di Falcone
Il documento del Pentagono
Le stragi del 1992 e del 1993, come abbiamo visto, sono state caratterizzate da una serie di previsioni, tutte indovinate. La circolare ai prefetti, redatta sulla base dell’informativa del Sisde, metteva in guardia contro alcuni attentati che sarebbero avvenuti esattamente tra marzo e luglio.
La fonte, Elio Ciolini, aveva tuttavia destato innumerevoli perplessita per via dei suoi precedenti, tanto che il ministro Martelli lo aveva definito un «pataccaro». E il Sisde sarà in seguito preso a leccarsi le ferite dopo l’arresto di uno dei suoi vertici, Bruno Contrada, nel dicembre del 1992, e lo scandalo dei fondi neri.
È, lo si ricordera, la circolare il cui allarme metteva l’Italia al centro di un riassetto del quadro generale europeo, nel pieno delle elezioni in tutto il continente, e che il 19 marzo 1992 aveva fatto subito dichiarare a Vittorio Sbardella i suoi sospetti su chi si nascondesse dietro il tentativo di destabilizzazione: quanti si opponevano all’unità europea, primi tra tutti gli americani. Precisando, peraltro: «Del resto quel documento del Pentagono che vuole impedire la nascita di una nuova superpotenza che faccia ombra agli Usa mi pare abbastanza eloquente».
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Lo «Squalo», come era soprannominato per i suoi modi spicci e il fisico possente, era evidentemente molto attento ai dettagli della politica internazionale. E faceva riferimento a quanto avvenuto dieci giorni prima.
Il New York Times aveva pubblicato infatti un documento segreto del Pentagono, secondo il quale gli Stati Uniti volevano restare l’unica superpotenza del dopo Guerra fredda, dissuadendo Giappone e Comunita europea dal mettersi in concorrenza.
Secondo il quotidiano, il rapporto di quarantasei pagine sarebbe stato diffuso dal segretario alla Difesa Dick Cheney entro la fine del mese.
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Il documento sottolineava come gli Usa intendessero «convincere i potenziali concorrenti che non hanno bisogno di svolgere un ruolo più importante o di adottare un atteggiamento piu aggressivo per difendere i loro legittimi interessi». E soprattutto aggiungeva: «Dobbiamo impedire la creazione di una struttura di sicurezza strettamente europea che indebolirebbe la Nato».
Europa e Giappone «non devono aspirare a un ruolo più grande e nemmeno avere un atteggiamento più aggressivo per proteggere i loro interessi legittimi» restando sotto il «dominio benevolo» degli Stati Uniti.
Il rapporto era stato preparato, scriveva il New York Times, sotto la supervisione del sottosegretario alla Difesa Paul Wolfowitz e fatto circolare solo tra i pezzi grossi del Pentagono prima che una mano anonima lo recapitasse al giornale.
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Tra le altre cose, dava per scontato che gli Stati Uniti prendessero «posizione per agire in modo indipendente quando non si può orchestrare un’azione collettiva» o in caso di crisi urgenti. In sostanza, anche in assenza di ratificazione dell’Onu. E si metteva al centro degli interessi americani, ancora una volta, il pericolo rappresentato dalla Russia, «unica potenza del mondo in grado di distruggere gli Stati Uniti», ragion per cui gli Usa avrebbero dovuto lasciare in Europa un «sostanzioso» numero di militari, evitando che ce ne fossero solo di europei, cosa che avrebbe minato la Nato.
La sera successiva il Pentagono non smentì affatto l’esistenza del rapporto, anzi confermò. Ma precisò di non voler diventare il «gendarme del mondo». Chiuse il caso, da parte sua, con un romantico richiamo all’unione: «Vogliamo mantenere una stretta collaborazione con i nostri amici e alleati nella costruzione di un mondo che potremo essere tutti orgogliosi di lasciare ai nostri figli».
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Il 10 marzo il segretario di Stato americano James Baker parlò a Bruxelles davanti ai ministri degli Esteri europei, e sostenne di rifiutare l’idea degli Stati Uniti come unica e incontrastata potenza mondiale: «Preferisco parlare di quel che è la politica degli Stati Uniti, anzichè commentare un testo di pianificazione di carattere interno di quel ministero, elaborato a un livello modesto».
Il segretario generale della Nato, Manfred Worner, aggiungeva: «Quel documento non solo non è ufficiale, ma non rispecchia la politica del governo americano».
Lo stesso giorno il Consiglio di cooperazione nord-atlantico, il Nacc, si allargava a quasi tutte le ex repubbliche sovietiche.
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Ventiquattr’ore piu tardi fu l’amministrazione Bush ad affermare ufficialmente di non pensare a un «nuovo ordine internazionale». E il portavoce del Pentagono, Pete Williams, chiariva che il rapporto segreto rappresentava solo una bozza.
Il tutto perchè anche internamente la Casa bianca aveva iniziato a subire attacchi, come quello di Pat Buchanan, il rivale di Bush nella corsa alle primarie, che accusava il Pentagono di voler avallare «una formula per interventi senza fine in diatribe e guerre dove nessun nostro interesse vitale è in gioco».
E ancora, con l’appoggio dell’ex presidente Richard Nixon, criticava Bush di aver concesso alla Russia aiuti «pateticamente inadeguati», rischiando di far cadere Boris Eltsin e di perdere così «l’occasione del secolo» per una pacificazione mondiale.
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Tornava a farsi vivo anche Michael Ledeen, il «traduttore» della crisi di Sigonella che l’ammiraglio Fulvio Martini riteneva uomo vicino alla Cia perchè quando veniva in Italia parlava direttamente col presidente della Repubblica. E che da allora non smetterà, come oggi, di occuparsi del Belpaese.
In un’intervista concessa a Il Sabato Ledeen sosteneva che, durante il sequestro di Aldo Moro, l’Italia aveva pagato «le conseguenze di una stupida politica estera americana». Definito
dal settimanale come il «rappresentante di quella politica dell’interferenza americana nel mondo che oggi i generali del Pentagono tornano a chiedere a gran voce», Ledeen aveva detto in proposito: «Era stabilito ufficialmente che il governo americano non avrebbe più potuto aiutare un paese straniero a combattere un terrorismo interno, poteva farlo solo di fronte a terrorismo internazionale. Questo atteggiamento è stato il frutto del moralismo puritano dell’amministrazione Carter e non riguarda in quel periodo solo l’Italia, ma tutto il mondo».
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Fin qui i fatti internazionali del marzo 1992, precedenti il delitto Lima, che avevano fatto sospettare Sbardella di un tentativo di destabilizzazione ai danni del nostro paese, nello stesso mese in cui, unico caso in due anni, le agende elettroniche di Falcone risultano vuote.
Com’è noto, nei decenni successivi le cose andranno poi esattamente come previsto dal documento segreto del Pentagono, con gli Stati Uniti pronti a intervenire unilateralmente non solo sotto il profilo bellico, al di là delle decisioni delle Nazioni unite.
Soprattutto, fin da subito – anzi da prima – pronti a intercettare e spiare i palazzi del potere di tutti gli alleati continentali.
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L’Italia, d’altra parte, si era portata avanti da un pezzo sulla linea del Pentagono e nella corsa a favorire il disarmo dell’Europa per lasciare come interlocutore unico la Nato.
Il 4 maggio 1991, il ministro della Difesa Virginio Rognoni aveva infatti incontrato proprio Worner a Pavia in un faccia a faccia teso a discutere l’assetto difensivo del Vecchio continente. Entrambi, riportava l’Ansa, avevano condiviso un punto nodale: «I sistemi di difesa nel Vecchio continente dovranno svilupparsi senza incidere in modo negativo sulla Nato, evitando dannose e inutili duplicazioni».
E Worner aveva sottolineato il ruolo fondamentale dell’Italia come cerniera a est. Una cerniera che, tuttavia, si è visto, l’Italia non avrebbe avuto in seguito paura di aprire, intavolando importanti rapporti con la Russia.
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Rognoni aveva aggiunto «l’esigenza di arrivare a una generalizzata riduzione degli armamenti e a una regolamentazione internazionale del commercio in questo settore, come contributo alla prevenzione dei conflitti». Per tale ragione, a breve, sarebbe stato presentato un progetto di ristrutturazione delle forze armate italiane: «L’obiettivo e quello di creare un esercito in grado di integrarsi alla perfezione con i corpi militari multinazionali».
Cambiamenti di forze armate, della polizia e dei servizi segreti che, pochi mesi dopo quel maggio del 1991, sarebbero in effetti avvenuti.
(Tratto da I diari di Falcone, pagg. 199-203)
* Edoardo Montolli, fondatore di Fronte del Blog, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent’anni. Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018) basato sulle agende elettroniche del giudice Giovanni Falcone.
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