Condannati i fratelli Alessio e Simone Scalamandrè a 21 e 14 anni di reclusione: nell’agosto del 2020 uccisero il padre a colpi di mattarello, giurando di averlo fatto per evitarne le violenze. La madre non ci staLe sorelle della vittima però sono sicure: “Non era violento, se fosse stato vero perchè nessuno non ci ha mai detto niente? Non ci credo, mio fratello non era violento”L’approfondimento di Cronaca Vera, con la ricostruzione dell’intera vicendaIl critico d’arte Alberto Agazzani fu ucciso? Il giallo di Reggio Emilia – GUARDAGENOVA –
Alessio e Simone Scalamandrè sono stati condannati a 21 e 14 anni per l’omicidio del padre Pasquale. Lo ammazzarono nell’estate 2020 al termine di una lite nella loro casa del quartiere di San Biagio. Dissero di averlo fatto per difendersi: Pasquale era indagato per maltrattamenti nei confronti della loro madre, Laura, che ora è disperata.
E al Corriere della Sera dice: «Sono devastata. Non avevo l’aspettativa di una condanna. Pensavo che sarebbero state riconosciute le motivazioni che hanno indotto Alessio a difendersi dall’aggressione del padre. Eppure confido che la verità trionfi in Appello. Alessio e Simone nel mio cuore sono innocenti, sono vittime di mio marito esattamente come me».
Ma cos’accadde esattamente la sera del 10 agosto 2020?
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IL DELITTO
Pasquale Scalamandrè fa un ultimo tentativo di riconciliazione in famiglia. Il 30 settembre deve infatti andare in aula per rispondere dell’accusa di maltrattamenti. Di mestiere guida gli autobus pubblici e ha 62 anni. Ma a casa le cose non vanno affatto bene: il giudice lo ha allontanato dall’abitazione a gennaio, dopo la denuncia della moglie e del figlio maggiore Alessio.
Ne esce una lite. Diranno che ha aggredito il figlio, che questi si è difeso con ciò che ha trovato. E che quando l’altro figlio, Simone, è intervenuto, per il padre fosse ormai troppo tardi. Perché, di fatto, Pasquale viene ucciso.
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È proprio Alessio a spiegare agli inquirenti la sua versione dei fatti. Dice che il papà voleva fargli cambiare versione, ma lui gli avrebbe risposto così: «Hai rovinato la vita della mamma, ho detto solo la verità». Pasquale gli si sarebbe scagliato addosso e Alessio, afferrato un mattarello, lo ha colpito più volte fino a ucciderlo. Quindi ha abbracciato Simone, stringendolo forte a sè mentre piangeva. E ha chiamato la polizia: «Ho litigato con mio padre, l’ho colpito e non si muove più».
In casa ci sono mobili rovesciati: il segno della colluttazione. E per il giovane si spalancano le porte del carcere di Marassi. Simone è invece denunciato a piede libero. La madre, nel frattempo ospite di una struttura protetta per donne maltrattate, saputo della tragedia, torna a Genova.
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Si chiama Laura Di Santo, ha 55 anni, e ai quotidiani locali spiega: «Ho letto che parenti e amici dipingono Pasquale come una bravissima persona, assolutamente non violenta. Non era così. Troppo facile giudicare da fuori. Lo so io quello che hanno passato i miei figli in questi anni. E so anche come mio marito perdesse la testa quando vedeva uno dei suoi figli reagire. Sopportvao per i figli, ma lui diceva che ero sua e che mi avrebbe ammazzata».
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Il gip dispone per il giovane gli arresti domiciliari. Scrive il giudice Angela Nutini: “La scelta della misura cautelare tiene conto della genesi di questo terribile delitto, frutto dell’esasperazione di un figlio nei confronti di un genitore violento non emergendo precedenti condotte dell’indagato e, per contro, la vicinanza della comunità in cui abita”.
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Ma il magistrato aggiunge che non sia possibile invocare la legittima difesa, in quanto Alessio “ha inferto un numero rilevante di colpi ponendo in essere una condotta che, allo stato, deve ritenersi andare oltre i limiti della legittima difesa quand’anche putativa, anche in considerazione della violenza impiegata, tale da determinare schizzi di sangue anche a rilevante distanza rispetto al luogo del rinvenimento della salma”. Ma per il pm Francesco Cardona Albini si tratta di un omicidio aggravato dalla parentela.
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NON ERA UN VIOLENTO
La dura sentenza soddisfa i legali di parte civile Stefano Bertone, Irene Rebora e Greta Oliveri: «Rafforza la nostra convinzione sul fatto che i due imputati in maniera fredda e calcolata abbino ucciso il loro padre». Laura spiega al Corriere che al tempo della denuncia «ero vessata, umiliata, minacciata, insultata e picchiata anche davanti ai ragazzi, costretti più volte a intervenire per fermare la sua furia».
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E giura che i selfie sorridenti di famiglia erano «foto che non rispecchiavano il mio stato d’animo. Vivevo di continuo sulle spine, massacrata dentro». Ma le sorelle di Pasquale, Annamaria e Rosalba, parlando all’emittente locale Primocanale.it, difendono la memoria del fratello: «Non era violento, se fosse stato vero perchè nessuno non ci ha mai detto niente? Non ci credo, mio fratello non era violento. Lui amava sua moglie e i suoi figli. Quando ha saputo della denuncia è rimasto scioccato, specialmente dal modo in cui è stata fatta. Si chiedeva il perchè visto che erano tutte falsità».
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