Quand’è esattamente che i nostri politici, da sempre in affari con le dittature di mezzo mondo, hanno pensato di potersi trasformare negli Avengers?
Appena scoppiato il conflitto in Ucraina, Sergio Romano, già ambasciatore italiano presso la Nato e poi a Mosca ai tempi dell’Unione Sovietica, rispondeva così al quotidiano Libero: «Non credo che i russi tendano a una vera e propria occupazione dell’Ucraina. Ciò che ha voluto fare Putin, con questa operazione militare, è stato lanciare un forte e preciso segnale all’Occidente, in risposta alle sanzioni, applicate ormai da 8 anni, e anche all’espansione della Nato a Est. Ciò che gli preme di più è che, sicuramente, l’Ucraina non entri nella Nato rimanendo neutrale come la Svizzera. Io stesso sono sempre stato contrario all’idea di allargare la Nato all’Ucraina e devo dire che il punto di vista del presidente russo è degno di considerazione».
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Nemmeno fosse una profezia, sono state esattamente le condizioni successivamente poste dal Cremlino ai primi negoziati: Ucraina fuori dalla Nato, neutralità e l’intenzione di non occuparla.
Nelle stesse ore il generale Marco Bertolini, già comandante del Coi, parlando con l’Adnkronos, raccomandava prudenza: «Gli aiuti militari che mandiamo non penso siano significativi, l’Ucraina è già stata rinforzata sufficientemente dagli americani, ma in questa maniera ci schieriamo sempre di più. L’Alleanza atlantica e l’Europa dovrebbero mantenere se non equidistanza, una posizione più distaccata».
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Purtroppo né Romano, nè Bertolini, profondi conoscitori della situazione, tirano le redini di questa crisi in cui siamo entrati il giorno prima che scoppiasse il conflitto, quando il ministro degli Esteri russo, parlando all’agenzia Tass, si prendeva gioco del suo omologo italiano: «Ha una strana idea di diplomazia. I partner occidentali devono imparare a usare la diplomazia in modo professionale. La diplomazia è stata inventata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare le tensioni, e non per viaggi vuoti in giro per i Paesi ad assaggiare piatti esotici ai ricevimenti di gala».
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Si riferiva a Luigi Di Maio, lo stesso che collocava Pinochet in Venezuela e che chiamava il presidente cinese Ping. Un suo sottosegretario, quando ci fu un’esplosione a Beirut, confondendo Libano e Libia, twittò la seguente frase: «Mando un abbraccio ai nostri amici libici».
A guerra scoppiata, il presidente ucraino Zelensky chiamò Palazzo Chigi per parlare con Mario Draghi. Secondo Dagospia un suo consigliere diplomatico gli rispose: «Prenda un appuntamento telefonico». Come sia andata davvero non lo sappiamo. Quel che è certo è che dopo l’intervento del premier in Parlamento, Zelensky twittò tra l’ironico e lo stizzito: «La prossima volta cercherò di spostare l’agenda di guerra per parlare con Mario Draghi».
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Ora, il punto non è vedere quanto il mondo ci rida dietro. Il punto è che stiamo rischiando una guerra nucleare e le nostre redini sono in mano a persone che evidenziano lacune imbarazzanti perfino in cultura generale o che non hanno la minima idea di chi stia dall’altra parte della cornetta.
Sicchè ci è voluto poco a convincerli a inviare missili, mortai, bombe e mitragliatrici in Ucraina. Certo, ci sarebbe l’articolo 11 della Costituzione la cui prima parte recita: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali».
Ma come sappiamo, a questa prima parte, è dai tempi del Kosovo che hanno dato un’interpretazione creativa, mandando truppe in Iraq e in Afghanistan e chiamandole simpaticamente “missioni di pace”: d’altra parte, come abbiamo imparato con i referendum e con la tessera per lavorare, la Costituzione italiana è piuttosto elastica quando si tratta di diritti e può intendere tutto e il suo contrario.
E allora è ovvio che la Russia abbia torto. Però non venite a raccontarci che le più devastanti sanzioni di sempre non bastavano (una banca russa è fallita in tre giorni, l’economia di Mosca è paralizzata) e che bisognava fermare il dittatore con le armi a costo di rischiare l’atomica, che rappresenterebbe la fine di tutto.
Perché all’Italia, patria dell’ipocrisia, dei dittatori non è mai importato nulla. Da sempre fa affari con i regimi più autoritari, da Gheddafi in su, fingendo di non vedere i crimini che commettono. E questo governo li fa con la Cina (la famosa “via della seta”) e li ha sempre fatti con Putin: tanto che i primi medici stranieri che intervennero a darci aiuto allo scoppio della pandemia furono proprio cinesi e russi.
Nè, Lorsignori, si sono mai interessati a quanto succede nei conflitti di mezzo pianeta o da otto anni nel Donbass o ancora hanno puntato il dito contro qualcuno dopo la strage di Odessa, dato che probabilmente non sanno nemmeno dove sta.
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E dunque, com’è che improvvisamente si sono trasformati negli Avengers?
Semplicemente, strano a dirsi, si sono messi in scia agli Stati Uniti, il cui presidente Joe Biden chiarì le sue intenzioni un anno fa, definendo Putin «un killer» a due mesi dall’insediamento alla Casa Bianca.
E allora, se non volete dar retta alle parole oculate di Romano e Bertolini, e siete pronti a morire per Biden, seguite ciò che ha detto Enrico Letta alla Camera: «Vi chiediamo di riflettere seriamente se non sia il caso di dare un aiuto più concreto agli ucraini a difendersi rispetto all’aggressione russa, non bastano le parole». Come no. Ci vediamo al fronte, pronti a spezzare le unghie alla Russia. State sicuri che Enrico ci sarà.
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