La figlia di una delle vittime del Mostro di Firenze chiede che si indaghi ancora. Lo stesso fa la sorella di Carmela De Nuccio, il cui delitto è rimasto irrisolto. Il documentarista Paolo Cochi aveva scoperto un dossier “dimenticato”, ma la Procura ha vietato l’accesso agli atti alle parti civili. Ecco cosa sta succedendo…
FIRENZE – Cosa sarà rimasto di segreto a quasi 54 anni dal primo duplice delitto non si sa. Di certo il mistero del mostro di Firenze non si è mai concluso, tantomeno con la condanna (per i delitti a partire dal 1982) dei compagni di merende Mario Vanni e Giancarlo Lotti. L’ultima inchiesta archiviata riguarda l’ex legionario Giampiero Vigilanti: perché, per indagare, si indaga ancora. Oggi, però, a chiederlo sono a gran voce anche alcuni parenti delle vittime. Come Anne Lanciotti, la figlia di Nadine Mauriot, uccisa e mutilata nella piazzola di Scopeti nel settembre del 1985 assieme al compagno Jean Michel Kraveichvili, nell’ultimo duplice omicidio attribuito al mostro.
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Il suo legale, Vieri Adriani, ha diramato un comunicato per mettere in risalto alcune “più complesse emergenze investigative, che contraddicono lo sbrigativo provvedimento di archiviazione emesso il 9 novembre 2020”, ovvero proprio quello su Vigilanti. Scrive l’avvocato: «Si consenta l’accesso agli atti e si riaprano le indagini, a fronte di più complesse emergenze investigative che contraddicono lo sbrigativo provvedimento di archiviazione emesso il 9 settembre 2020» ovvero proprio quello a carico dell’ex legionario. «La procura di Firenze ha sinora ignorato le giuste istanze delle persone offese di potere accedere agli atti per tentarne una rilettura completa, l’unica strada idonea a fornire una soluzione al caso. Non si comprende davvero quale possa essere, oltretutto a distanza di quasi 37 anni dall’ultimo duplice delitto, l’interesse pubblico a che i familiari delle vittime non debbano avere la possibilità di confrontare fra loro le informazioni custodite nei faldoni delle indagini».
E ancora: «La magistratura voglia prendere in considerazione il diritto di tutte le persone offese di consultare gli atti e i documenti relativi ai vari procedimenti sinora definiti, per consentire di argomentare al meglio le proprie future richieste di riapertura delle indagini, da intendersi come necessità sia di nuovi accertamenti balistici e genetici, sia di nuove assunzioni testimoniali. La signora Anne Lanciotti dice basta al deprecabile mercato costruito sulla morte della madre. La prima cosa che colpisce è il vuoto informativo di tutti i vari documentari andati in onda finora, solo per compiacere le tesi ora di questo, ora di quello, compreso l’ultimo recentemente trasmesso dalla televisione di Stato italiana, il 9 dicembre 2021».
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A quel documentario non ha voluto partecipare Paolo Cochi (autore del monumentale libro di oltre 500 pagine sul caso Mostro di Firenze. Al di là di ogni ragionevole dubbio e vent’anni trascorsi nello studio della vicenda) tra i massimi esperti del caso e già consulente dell’avvocato Antonio Mazzeo, legale di Rosanna De Nuccio, uccisa con Giovanni Foggi nel 1981, uno dei tre duplici omicidi rimasti irrisolti. Anche Rosanna ha fatto un appello perché i famigliari possano visionare gli atti d’indagine, dopo che era arrivato un’ improvvisa revoca sull’accesso agli atti al suo legale in quanto «inerenti ad altri fatti reato». Ma sempre delitti del mostro.
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Fino a quel momento Cochi vi aveva scoperto un dossier dei carabinieri di 50 pagine che partiva dagli anni ’60 e arrivava al 1985, incentrato su un furto in un’armeria di cinque pistole Beretta avvenuto nel 1965. Beretta come la famigerata arma mai rinvenuta del serial killer: «Quattro pistole furono ritrovate – ha detto Cochi a Il Giornale – mentre una Beretta 22 serie 70 no. Perquisirono vari soggetti vicini al mondo della criminalità organizzata e a uno di loro trovarono in casa due bossoli Winchester serie H. Quest’uomo risultò negli anni essere stato denunciato per reati contro la libertà sessuale, poi finì dentro per truffa e resistenza. I carabinieri lo ritenevano il possibile serial killer, ma inspiegabilmente quando nacque la Squadra Anti Mostro, la Sam, il suo nome non venne inserito tra le centinaia di nomi da cui spuntò quello di Pacciani. Cercarono allora i due bossoli sequestrati, ma in cancelleria risultarono non reperibili».
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L’avvocato chiese a quel punto un approfondimento alla Procura su vai punti «anche perché – ha precisato Cochi – tale persona sembrerebbe aver lavorato in ambienti giudiziari e più specificatamente, in Procura con un noto magistrato. Questo dopo la fine dei delitti, secondo quanto riferito da alcuni suoi stretti parenti. Ovviamente ciò può essere documentato per quanto sembri surreale dato il suo curriculum». Ma poco dopo questa richiesta di approfondimento è giunta la revoca. Eppure «i delitti delle coppiette sono stati sempre trattati sia nelle investigazioni che giudiziariamente come unico fascicolo e quindi legati tutti tra loro».
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Cochi era riuscito anche a confrontare con alcuni testimoni un photo-fit realizzato dai carabinieri su un uomo visto sulla piazzola degli Scopeti qualche giorno prima dell’omicidio dei francesi. Un ultimo tassello riguardava il dna rinvenuto su tre lettere di minaccia giunte ai magistati Canessa, Vigna e Fleury venti giorni dopo l’ultimo duplice delitto. Non apparteneva a nessuno degli indagati, ma era certamente di una medesima persona. Era del mostro? Non si sa.
Con la revoca dell’accesso agli atti, sulla possibilità delle parti civili di svolgere indagini è calato il sipario. A nulla sono servite due interrogazioni parlamentari al ministro della Giustizia Cartabia. Eppure una perizia di Paride Minervini avrebbe acclarato che il proiettile trovato nell’orto di Pacciani, unica vera prova che lo collegava alla scia di sangue, è un falso. E ci sarebbero così famiglie che attendono giustizia da quasi mezzo secolo.