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Mario Barbieri: “Ragazzi fare l’arbitro è bello, nonostante tutto”. Il CorSera: “Crollano le vocazioni arbitrali”

Senza arbitri a rischio l'intero sistema calcio e tantissime partite: dilettanti e giovanili comprese

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Passino gli insulti (ma prima di insultare un giudice di gara chiediamoci se conosciamo il regolamento)  aggratis, anche se certe offese: ben oltre il canonico cornuto, fanno davvero male, soprattutto se in tribuna ci sono i genitori, i parenti o la fidanzatina a sostenere il giovane arbitro in campo. Ok l’insulto quindi, anche se così non dovrebbe essere, peccato però che ora si è andati ben oltre, con le minacce, le aggressioni che hanno, purtroppo e ahinoi preso il sopravvento, col risultato che in pochissimi ormai scelgono di diventare arbitro di calcio. Bene ha fatto quindi il Corriere della Sera, nei giorni scorsi, a pubblicare reportage incisivo. Nota a margine: ristoratore, cuoco, oste, calciofilo (tifa Milan e Cremonese), arbitrologo (è un ex arbitro), opinionista televisivo e commerciante, il cavalier Mario Barbieri, nelle sue varie ospitate televisive, dalle frequenze di Cremona 1, appena può lancia il seguente appello: “La grave carenza di arbitri mette a rischio i campionati, le partite giovanili e quelle dilettantistiche in generale. Purtroppo le vocazioni in tal senso sono crollate, ma fare l’arbitro è bellissimo. Giovani iscrivetevi ai corsi dell’Aia, cogliete l’opportunità di intraprendere la strada, difficile, ma intensa, arbitrale. E chi sta fuori a guardare, la smetta di inveire a ogni decisione e studi o ripassi, piuttosto, il regolamento”. Spazio ora al “CorSera”:

Settembre 2021, Cus Torino contro Resistenza Granata, campionato di Terza categoria: il primo – oppure l’ultimo – livello del calcio italiano, sotto non c’è niente. Arbitro: Marco Serra. Lui, l’uomo di San Siro, del fischio frettoloso, del Milan (lunedì 17 gennaio, ndr) sconfitto dallo Spezia (anche) per un gol ingiustamente negato. Cinque mesi fa era su un campetto del Torinese e la star della partita era lui, non Ibra, tanto che alla fine i calciatori lo hanno fermato: scusi, si fa un selfie con noi? L’Aia, l’Associazione italiana arbitri, aveva rispedito Serra e un’altra ventina di suoi colleghi a dirigere partite in periferia, durante quel fine settimana.

Due i motivi. Primo, inviare un messaggio: c’è il massimo rispetto anche per i campionati minori. Secondo, colmare una falla: se non si fossero mossi i professionisti del fischietto, quelle partite di dilettanti e ragazzi non si sarebbero giocate. Perché? Perché di arbitri non ce n’erano più. Finiti. Azzerati. In cinque anni sono spariti quattromila arbitri. Nel 2016 erano 33 mila, all’inizio di questa stagione ne sono rimasti 29 mila. Crisi di vocazione, la chiamano.

Colpa del Covid? Anche, chiaramente. E dei rimborsi: bassi, quasi ridicoli, in media 30 euro a partita tutto compreso. Ma non è solo questo il problema. Colpa delle botte, della violenza, della paura. «I genitori vengono nelle sezioni e ci dicono: da quando mio figlio arbitra è più sereno, più riflessivo a scuola, più ordinato in casa. E tra di voi ha trovato amici nuovi. Però non possiamo mandarlo nei campi e vivere ogni domenica con il terrore di essere chiamati dal Pronto soccorso.

Alfredo Trentalange, presidente dell’Aia da meno di un anno – da quando è riuscito a mettere fine all’interminabile (e discusso) regno ultradecennale di Nicchi – racconta (finalmente) una realtà di cui molti non si accorgono, o fingono di non accorgersi, ma che rischia di mettere in seria difficoltà l’intero movimento. Perché per giocare a calcio, a tutti i livelli, gli arbitri sono indispensabili, un po’ come il pallone. E se non ci sono, non si gioca. I numeri delle violenze subite dagli arbitri sono impressionanti anche in questa stagione, benché per fortuna ci sia un calo rispetto al recente passato.

Crisi di vocazione: come combatterla? Da questa stagione si sta sperimentando una strada nuova, almeno per il nostro calcio (non per quello inglese oppure per il basket, che già la percorrono da tempo e con successo): il doppio tesseramento. In pratica un ragazzo che gioca a pallone, dai 14 ai 17 anni, può anche arbitrare. In questo modo innanzitutto si amplia la possibilità di reperire direttori di gara: se un adolescente deve scegliere tra giocare e arbitrare, è quasi sicuro che punti sulla prima possibilità; se può praticare entrambe le attività, è tentato pure dal fischietto. C’è però anche una questione culturale, educativa.

L’impatto del doppio tesseramento è interessante, non ancora rilevante sul piano numerico: «Una dozzina di ragazzi ha sfruttato questa opportunità, tra loro un paio di donne, e tutti sono soddisfatti». Il passo successivo sarebbe quello di incentivare le società a tesserare calciatori-arbitri: «In Inghilterra succede». A Trentalange è rimasta in mente una frase di Ibrahimovic. «Ha raccontato che in passato scendeva in campo contro dodici nemici: gli avversari e l’arbitro. E che ora ha cambiato idea». Se n’è accorto Serra, addirittura consolato da Zlatan dopo l’errore fatale in Milan-Spezia. «Bisogna umanizzare la figura dell’arbitro, perché non siamo tutti presuntuosi e arroganti come ci dipingono. Anche se non siamoinfallibili».

Crudo, ma reale ciò che ha scritto il Corriere della Sera, mentre le parole di Mario Barbieri, cremonese Rock, rimbombano sempre più forti: “Servono arbitri, altrimenti il movimento si ferma. Ragazzi arbitrare è bello, nonostante tutto e tutti”.

Stefano Mauri

 

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Stefano Mauri

Stefano Mauri nato a Crema nel gennaio 1975, mese freddo e nebbioso per eccellenza. E forse anche per questo, per provare a guardare oltre la nebbia e per andare oltre le apparenze, con i suoi scritti prova a provocare, provocare per ... illuminare. Giornalista Free Lance, Sommelier, Food and Wine Lover, lettore accanito, poeta e Pierre appassionato, Stefano Mauri vive, lavora, scrive, degusta, beve e mangia un po' dappertutto. E ovunque si prefigge lo scopo di accendere se non una luce, beh almeno un lumino, che niente è come sembra, niente. Oltre a collaborazioni col mondo (il virtuale resta una buona strada, ma non è La Strada) web, Stefano Mauri, juventino postromantico e calciofilo disincantato, collabora con televisioni, radio e giornali più o meno locali. Il suo motto? Guardiamo oltre, che dietro le apparenze si cela il vero mondo.

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