Con la morte dell’avvocato Nino Filastò, che fu il difensore storico di Mario Vanni e tra i più agguerriti avversari della tesi sui “compagni di merende”, l’inchiesta sul mostro di Firenze perde la sua memoria storica. Il legale, che era anche sopraffino scrittore, riteneva che il vero serial killer si muovesse come un poliziotto. E che avesse ucciso ancora
FIRENZE- Nino Filastò, lo storico difensore di Mario Vanni, il postino dei cosiddetti “compagni di merende”, è morto dopo una lunga malattia, all’età di 83 anni. E con lui se ne va forse la memoria storica più completa sull’inchiesta inerente il mostro di Firenze. Certamente la più lucida e competente.
Ad annunciare la sua scomparsa, che arriva a poche settimane dalla morte dell’ex capo della Squadra Antimostro Ruggero Perugini, è stata la figlia Silvia: «Dopo una lunga malattia, mio padre si è spento serenamente questa mattina nel letto della sua casa fiorentina poco dopo le 7» ha detto la donna all’Adnkronos.
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LA CARRIERA
Filastò si è occupato professionalmente di grandi misteri della cronaca nera: fu avvocato di parte civile nel processo per l’omicidio nel 1969 del dodicenne Ermanno Lavorini. E ancora in quello della strage del treno Italicus, avvenuta nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1974, mentre transitava presso San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna. E per il disastro del traghetto Moby Prince nel porto di Livorno del 10 aprile 1991.
Molto prima di diventare difensore del postino di San Casciano si era convinto dell’errore commesso dagli inquirenti nell’accusare Pietro Pacciani, tanto da pubblicare il libro “Pacciani innocente” nel 1994. Al caso avrebbe dedicato altri saggi, come “Storia delle merende infami”.
Perché, contestualmente, il legale aveva la passione per la scrittura. Ed era penna raffinata sia nello scrivere saggi, che romanzi, di genere thriller: vinse ad esempio il Premio Tedeschi nel 1986 con “La tana dell’oste” e quattro anni più tardi il film “Nella terra di nessuno” venne tratto dal suo libro “Tre giorni nella vita dell’avvocato Scalzi”.
LE CRITICHE AGLI INQUIRENTI
Su La Nazione criticò spesso l’operato degli inquirenti sul contadino di Mercatale e sulla tesi che vedeva Vanni come complice. Riteneva entrambi “poveri cristi” vittime di errore giudiziario. E non smise mai di ricordare come Torsolo, così com’era soprannominato il postino, fosse un uomo scarsamente intelligente, che si addormentava anche durante il processo e che nemmeno capì mai perché fosse stato arrestato.
Nel 2006 difese pure Mario Spezi, il giornalista (anche lui scomparso), che più a lungo si è occupato del Mostro, quando venne ingiustamente arrestato e altrettanto ingiustamente accusato di depistaggio nelle indagini sulla morte del medico perugino Francesco Narducci.
Quest’ultimo era ritenuto dalla Procura di Perugia nientemeno che il mandante dei delitti di Pacciani, Vanni e Lotti, in una maxi inchiesta con una valanga di indagati che sarebbe poi finita in una bolla di sapone.
Era il periodo in cui Cronaca Vera dedicava una copertina a Spezi e vari servizi al caso, rivendicando la correttezza del giornalista e invitando, invano, i colleghi a difenderne la libertà di stampa. Spezi fu infine del tutto scagionato.
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CHI ERA IL MOSTRO DI FIRENZE
Quanto all’idea su chi si celasse dietro all’assassino delle campagne toscane, come sottolinea il quotidiano toscano “Filastò aveva maturato la sua convinzione, neppure troppo intima, di un ‘mostro poliziotto’, e cioè di un assassino che utilizzasse le stesse tecniche delle forze dell’ordine, ne conoscesse modi e iniziative. Di più: pensava, e lo scrisse, che in virtù di questa sua professione o professionalità, il mostro si avvicinasse alle coppie chiedendo addirittura i documenti, come fa una ‘guardia’ durante un controllo. La sua ipotesi, maturava sempre dalla sua perspicace analisi di atti e scene del crimine, verbali e testimonianze. Dai documenti ritrovati spesso fuori posto nelle auto delle vittime, all’assenza di tentativi di reazione delle stesse, alla conoscenza di dettagli ignoti ai più”.
In un’intervista al documentarista Paolo Cochi, Filastò si disse certo che altri delitti, non di coppiette, e sempre irrisolti, potessero essere collegate al mostro di Firenze.
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Omicidi tra un duplice delitto e un altro e che sarebbero andati a riempire i lassi temporali in cui il serial killer sembrava scomparso: si tratta delle morti di alcuni guardoni, di omosessuali, di cinque o sei prostitute. E di due ragazze sole, una delle quali uccisa in Sicilia ma intima amica di Susanna Cambi, tra le vittime del mostro.
L’intervista di Nino Filastò a Paolo Cochi sul mostro di Firenze:
Ora, con la sua dipartita, un preziosissimo apporto alla ricerca della verità è andato perduto.
Conosco bene Nino Filasto’, è stato un grande avvocato e scrittore intellettuale. Debbo però dire con rude franchezza che non posso condividere certe sue tesi di innocenza del Pacciani e Vanni. Questi due sono inseriti sistematicamente nel più ampio ed assoluto contesto omicidario di alcune coppie. Non di tutte. Quello dello Scopeti ad esempio il protagonista è la mosca carnaria. Certe larve compaiono dopo almeno 24 ore minimo. E Pacciani non poteva essere lì. Era alla festa di Cerbaia. Perché le larve post mortem per poter comparire dovevano passare almeno 24 ore. Caldo o freddo che sia, la scienza della entomologia forense è netta e precisa. La letteratura scientifica non ha dubbi. Per converso Pietro Pacciani non poteva essere lì la sera del delitto degli Scopeti. Ma in certi altri si. Da dire che non basterebbe un solo libro di Ventimila pagine per dire tanto.