La seconda e conclusiva parte del racconto “Due giorni a Natale”, di Rino Casazza.Qui la prima parte.
VIGILIA
AGRATE BRIANZA, CASA DUSI, 24 DICEMBRE 1991, ORE 7.00
Isabella si alzò di buon’ ora, giustificando la levataccia con un appuntamento dal parrucchiere: “Come si dice: chi bella vuole apparire deve anche un po’ soffrire” aveva motteggiato.
Raffaele non aveva avuto niente da obiettare. Era già in piedi, vestito di tutto punto, valigetta in mano, pronto ad uscire per alcune visite indifferibili. “Eh, lo so: è la vigilia, ma che vuoi farci? “aveva sospirato” Prima mi tolgo il dente meglio è…”
Sembrava aver sepolto sotto una notte di sonno il turbamento per la visita del vecchio compagno di studi. Beato lui. Lei, afflitta da un cruccio più assillante, non era riuscita a chiudere occhio.
Dopo essersi preparata, aveva fatto visita ai bimbi, già svegli per l’eccitazione, comunicandogli la notizia del tradimento: “Mamma e papà devono uscire, state bravi con la Anna, eh?. Finitelo da soli l’ Albero e il Presepe”
Anna l’ultima, giovanissima baby-sitter, prestava servizio ogni mattina dalle otto a mezzogiorno. Sarebbe arrivata fra un quarto d’ora. Prevedendo che le ricerche avrebbero richiesto tutto il giorno, Isabella si preparava a farla trattenere anche il pomeriggio.
Massimiliano e Alfredo erano così delusi che nemmeno l’ idea di trascorrere una mattina in compagnia della sola baby-sitter, ben più arrendevole di lei, sembrava riuscire a risollevarli.
Beh, non sapeva cosa farci.
Dopotutto non era la fine del mondo, se non trascorreva quel giorno con loro , no?
AGRATE BRIANZA, GARAGE DI CASA DUSI, 24 DICEMBRE 1991, ORE 7.15
“Da dove comincio?” pensava il dottor Dusi, nel girare la chiavetta.
Fino ad un attimo prima, soddisfatto per esser riuscito a ingannare Isabella col pretesto delle visite, si sentiva molto determinato. Adesso, la decisione presa non gli appariva più così sensata.
L’enigmatica Dolores assomigliava a un personaggio immaginario ben riuscito , a cui si pensa come ad una persona reale, ma che , riflettendoci meglio, mostra tutta la sua evanescenza .
Se non portasse scolpito nella memoria il ricordo dei loro travolgenti amplessi, avrebbe dubitato d’averla conosciuta.
Ed infatti cosa aveva rappresentato per lui Dolores, se non la proiezione fantastica di una sessualità trionfalmente appagante?
“Beh” si disse, spinto a conoscere il lato concreto di quella proiezione fantastica “Per prima cosa all’edicola, per controllare se i giornali riportano già la notizia. Poi, una capatina all’Autogrill”.
Gli sovvenne il proverbio che gli assassini tornano sul luogo del delitto, ma non ci badò più di tanto.
CAPRIATE, 24 DICEMBRE 1991, ORE 9.00
Dirigendosi sulla sua Ypsilon 10 verso l’albergo Fiori, Isabella pensava:” A quest’ora dovrei trovare aperta la reception. Speriamo sia di turno il portiere moro dall’aria complice, mi sembra il tipo che si sbottona facilmente.”
La via più rapida per risalire all’ identità di Arsenio sembrava interpellare le persone che facevano da tramite fra lei e l’amante.
Malgrado le precauzioni per rimanere nell’anonimato, qualche notizia sul conto di Arsenio certamente circolava fra il personale dell’albergo .
Anzi: per la potenza del pettegolezzo, era probabile che al Fiori su Arsenio sapessero tutto. Come su di lei, del resto …
“Chissà la sua faccia quando lo scoverò! Non credo si arrabbierà troppo. In fondo lo solletica la gioiosa follia
del nostro rapporto, non la mancata reciproca conoscenza… sì, ne sono sicura: gli piaccio perché sto al gioco, partecipando alle sregolatezze di cui è fatta la nostra relazione. Sono la miglior complice che potesse trovare. Complice insospettabile, non essendo certo il tipo di donna facile a farsi travolgere dal vortice della lussuria. Che importanza ha sapere o non sapere chi siamo nella vita di tutti i giorni?”
Se lo diceva a scopo di rassicurazione. Fra le sue molte ansie, c’era anche la paura di rompere il giocattolo infrangendo il segreto.
E se Arsenio avesse avuto qualche serio motivo per nascondere la propria identità?
Per fortuna era ormai entrata nel quartiere periferico dove si trovava il Fiori, e dovendo preparare un piano d’azione fu costretta a scacciare quei dilemmi inconcludenti.
“Approccio diretto o mascherato? Sembrerebbe preferibile il primo. Se dico che sto cercando di identificare il mio amante, l’interlocutore – speriamo sia proprio il moro !- dovrebbe escludere secondi fini, e riferirmi senza problemi ciò che sa. Eh già ” si contraddisse prontamente” chissà quante vengono con lo stesso scopo, così quello, sentendo puzza di gelosia , si chiude nel riserbo! No, meglio dissimulare i miei intenti. Ma come?”
In effetti non riusciva a trovare un modo credibile per porre domande su Arsenio. .All’albergo la conoscevano come amante dell’uomo, e qualsiasi ammissione di ignoranza sull’identità di lui avrebbe destato sospetto. Verosimilmente Arsenio era uso ricorrere a quell’ espediente con molte altre sue occasionali prede – il timore di essere stata sedotta e abbandonata riemergeva puntuale -, e i receptionist erano stati istruiti, magari dietro compenso, a tenere la bocca chiusa…
Il Fiori era ormai a portata di sguardo, e non aveva ancora preso una decisione.
L’idea le venne mentre parcheggiava in una via laterale, così nervosamente da dare una botta al paraurti di un’auto vicina.
AUTOGRILL “BRIANZA”, AUTOSTRADA TRA BERGAMO E AGRATE BRIANZA, 24 DICEMBRE 1991, ORE 8.15
A Dusi l’Autogrill, nella luce slavata del mattino nuvoloso, pareva ancora più trasandato della sera prima. L’abete addobbato ad Albero di Natale, con le luci spente e i fili elettrici penduli dai rami, sembrava un traliccio di teleferica in abbandono.
Sul piazzale c’era però un’animazione che anche chi fosse all’oscuro dell’accaduto avrebbe trovato inusuale: crocchi di curiosi osservavano un gruppo di poliziotti che stava trafficando dentro l’abitacolo della Golf.
Fu tentato di avvicinarsi per attaccar discorso: ne avrebbe ricavato certo di più che dalla lettura dei quotidiani. I quattro o cinque che aveva scorsi dedicavano all’omicidio poche righe.
Si trattenne in tempo. “Sei matto? Vuoi dare nell’ occhio ?”
Si avvicinò alla vetrata del bar, sbirciando dentro per aver conferma che la ragazza della sera prima non era più in servizio, ed entrò.
Quattro avventori stavano conversando col barista, un uomo calvo e pingue di mezza età.
“…no, dei documenti li aveva” diceva questi “ma pare fossero falsi.”
“Che storia !” commentò un giovanotto sui venticinque anni con gli occhi che brillavano di curiosità . “Una donna bellissima e di classe che va in giro con documenti falsi!”
“Scusate, posso sapere di cosa state parlando?” s’intromise Dusi, con finto candore.
La descrizione del giovane, che sicuramente non aveva visto Dolores coi propri occhi, riecheggiava le già dilaganti voci.
Dusi non sapeva se sospirare per il lusinghiero “bellissima” o trarre motivo di inquietudine per l’imprevisto ( ma in fondo non troppo…) “di classe”.
Inquietante senza mezzi termini era il particolare dei documenti falsi: gli aveva riportato alla memoria la carta di identità di Dolores.
Una volta, di nascosto, aveva preso il documento dalla borsetta di lei, leggendo sotto la foto tessera il nome Dolores Faccini .
“Non sa ancora niente?” disse l’unica donna del gruppetto, una signora impellicciata e piacente, dalla vaporosa chioma fulva “Vede quell’auto lì in fondo al parcheggio? Ci hanno trovato il cadavere di una donna! Strangolata.”
“Mamma mia!” esclamò Dusi.
CAPRIATE, ALBERGO FIORI, 24 DICEMBRE 1991 ORE 9.20
Alla reception non c’era il giovanotto moro, ma un vecchio dai capelli bianchi e il viso rugoso, di cui Isabella conosceva i modi cordiali ma riservati.
“Ti pareva!” si disse scorgendolo dalla soglia della modesta sala d’ingresso. Ma si avviò senza esitare verso il bancone, rispose disinvolta al sorriso dell’attempato receptionist, si sfilò i guanti con gesto civettuolo, e chiese: “Allora, sono la prima?”
Intenta a recitar la parte, non si accorgeva di presentarsi sotto un’angolatura inconsueta. Nelle precedenti visite al Fiori si era comportata in modo spaesato e maldestramente furtivo.
Il receptionist guardò con sorpresa quella spigliata, quasi sfacciata Isabella, poi rispose: “Prego?”
“Volevo dire: lui è già arrivato?”
L’uomo corrugò la fronte. “Chi?”
“Senta, ma che le prende? Sa benissimo di chi sto parlando. Mi ha dato appuntamento tramite voi alle 9.15.”
“Veramente…io non saprei…Con chi ha parlato, scusi?”
“E che ne so? Non mi ricordo. Chi era di turno, ieri alle 17?”
“Aspetti che guardo”
Aprì il librone che gli stava davanti, lo scorse brevemente. “Il mio collega Gianfelici”
“Ecco, è stato lui ad avvisarmi”
“Ah, bene. Allora il signore sarà qui a momenti, deve avere solo un po’ di pazienza” concluse con un sorriso di circostanza.
“Maledizione” pensava Isabella ” Il signore, ha detto. Non poteva aggiungere almeno il nome? ”
“Come si tratta di avere un po’ di pazienza?” replicò stizzita “Ha visto che ore sono?”
Il vecchio levò gli occhi al grande orologio sulla parete di fronte. Le 9 e 29 . Lo comunicò all’interlocutrice con aria serafica appena venata d’imbarazzo.
“Appunto” rimarcò polemica “Lui è in ritardo di quindici minuti. Non è mai accaduto. Di solito sono io che mi faccio attendere.”
Particolare falso: quando doveva incontrare Arsenio era così elettrizzata che si presentava con largo anticipo. Ma il receptionist non se ne sarebbe ricordato. Almeno, non gliene avrebbe dato il tempo.
“Mi sa dire cosa significa questo? Me lo sa dire, eh? ”
“Veramente…”
“Glielo dico io. Significa che in questo albergo siete dei maledetti confusionari! Il suo collega si è sbagliato, ed eccomi qui per niente! Adesso come faccio a sapere giorno ed ora dell’incontro? Magari lui è venuto questa mattina presto, o ieri dopo le 17, senza trovarmi!”
“No, no, stamani le assicuro che il signore non è venuto” gettò acqua sul fuoco il receptionist ” Per quanto riguarda ieri, non c’è problema: adesso telefono al collega . Vedrà che il signore non si è presentato , e riusciremo anche a sapere quando è fissato l’appuntamento”
Mentre così la blandiva, sempre sforzandosi di sorridere rassicurante prese in mano la cornetta e iniziò a comporre il numero, .
Ad Isabella parlare col receptionist della sera prima parve un indubbio passo avanti, purché fosse più informato e/o meno riservato.
Il telefono suonò a vuoto per alcuni lunghissimi secondi, in cui la faccia del receptionist sembrava quella dei conduttori dei telegiornali quando un servizio filmato tarda ad andare in onda.
Poi, si udì una voce rispondere.
Il viso dell’uomo si rasserenò.
” Franco? Ciao, Scusa se ti disturbo, ma ho bisogno di un’informazione. Ho qui davanti la signora…ehm..la signora?…- Rivolse all’interlocutrice uno sguardo interrogativo.
Un’impeto di rabbia travolse Isabella. Ma come, adesso in un beffardo rovesciamento dei ruoli, toccava a lei soddisfare la sua curiosità? Fulminea gli strappò la cornetta di mano. “Ma che signora e signora! Qui bisogna rimediare, altro che storie! Mi ascolti bene, signor Franco. Ieri pomeriggio lei mi ha detto che l’appuntamento con lui era alle 9.15 di questa mattina, ma evidentemente ha capito fischi per fiaschi. Che cosa le ha detto precisamente il mio uomo?”
Passare dal pronome a quell’abusato appellativo si rivelò infelice, perché la voce dall’altro capo del filo – del moro, non c’erano dubbi – lo adottò prontamente, seguitando in quella che oramai appariva una congiura della reticenza.
“Il suo uomo? E’ la signora bionda che affitta sempre la 17? Guardi che il suo uomo ieri non si è fatto vivo. Anzi, è da un po’ di tempo che non viene… Ed io a lei ieri non ho proprio telefonato. Che caso strano. Non le avranno fatto uno scherzo?”
Isabella, pur demoralizzata, riuscì a dire, con indignazione ancora credibile: “Ma quale scherzo! Ho parlato con lei, riconosco benissimo la voce! Sta confondendosi oppure cerca di nascondere l’errore!”
Il receptionist canuto era in preda al panico. Forse c’era ancora qualche speranza di costringerli ad aprirsi…
Fu Gianfelici, con un’osservazione rispettosa ma pungente, a smontarla del tutto.
“E’ sicura, signora, di non sbagliarsi ? Mi sembra molto agitata…”
“Sì sono agitata, agitatissima” proruppe Isabella tutto d’un fiato, dando sfogo, con immenso sollievo, alla sua angoscia “Non ho sue notizie da quindici giorni sono terribilmente in pensiero aiutatemi vi prego!”
Travolto da questo torrente di parole, il vecchio atteggiò il volto ad uno stupore quasi ebete.
Al telefono Franco Gianfelici taceva, enigmatico.
“Devo rintracciarlo capite? Sono pronta a ricompensarvi, ecco qui!” Trafficò nella borsetta di coccodrillo alla ricerca del borsellino, lo aprì, posò un paio di banconote di grosso taglio sul tavolo “Sono disponibile a offrire anche di più ma ditemi come si chiama, datemi il suo indirizzo vi prego!”
“Signora, mi crede se le dico che del signore all’albergo non sappiamo nulla?” rivelò Gianfelici, in tono di sincero rammarico.
Le pareti della sala crollarono addosso a Isabella
AUTOGRILL “BRIANZA”, AUTOSTRADA TRA BERGAMO E AGRATE BRIANZA, 24 DICEMBRE 1991, ORE 8.45
“Stavamo appunto dicendo che non si sa” fece un altro avventore, un omaccione in gualciti abiti da lavoro, verosimilmente un camionista” Nella borsetta hanno trovato dei documenti, ma ad un controllo sono risultati falsi.”
“Allora la polizia che si vede intorno all’auto sta cercando altre tracce? ” commentò Dusi, spingendosi pericolosamente più in là di quanto consentito ad un automobilista di passaggio.
“Può darsi” disse la signora impellicciata “Valla a capire la polizia. Spesso semplicemente non sa che pesci prendere!”
Vi furono qualunquistici cenni di assenso e Dusi, temendo che la conversazione scivolasse in un’ invettiva contro il governo ladro, si affrettò a chiedere: “Chi ha trovato il cadavere?”
“E’ arrivata una segnalazione anonima, a quanto pare.” disse il quarto avventore, un elegante e distinto vecchietto sui settanta
“Hanno rintracciato l’informatore?” chiese ancora il dottor Dusi.
“Sta scherzando?” intervenne la signora fulva “Quando mai la polizia riesce a scoprire gli autori delle telefonate anonime?”
“Allora stanno brancolando nel buio…” commentò deluso il dottor Dusi, questa volta rischiando davvero di tradire un’ equivoco interesse per la vicenda.
Per fortuna la scatenatissima signora dai capelli rossi ne trasse spunto per continuare la giaculatoria antistatalista. “Già, dice proprio bene! Nel nostro beneamato paese la polizia, i carabinieri, insomma chi dovrebbe proteggerci, non scopre mai un bel niente, così criminalità impazza!”
L’omicidio di una donna nel parcheggio di un Autogrill non era lo spunto giusto, a poche ore dal fatto, per inveire contro lo sfascio dell’ordine pubblico; ciò non ostante rinfocolò lo sfogo protestatario dei presenti. A loro il dramma di Dolores non importava nulla. Quel cadavere, nella sua concretezza terribile, era tutto di Dusi.
Il quale, mentre gli altri comiziavano a ruota libera, dandosi enfaticamente ragione l’un l’altro, rimase un attimo a riflettere.
Dolores si confermava quell’enigma che lui aveva sempre intuito, ma che, per ipocrisia, egoismo o forse per inconscio timore di sgradite sorprese, aveva sempre fatto finta di non vedere.
E adesso tutto diventava più difficile, forse davvero neanche la polizia sarebbe riuscita a risolvere il mistero della sua falsa identità, e a lui sarebbe rimasto il pugno di mosche di tre mesi trascorsi accanto ad una pur stupenda sconosciuta.
Pensandoci meglio, era improbabile che gli inquirenti non scoprissero nulla, ma l’idea di apprendere la verità dai giornali non gli dava alcun conforto: la conoscenza della vera Dolores era una un problem squisitamente personale, per lui.
Uscì dal bar quasi di soppiatto, avviandosi verso un crocchio che osserva curioso i movimenti della polizia.
“E’ successo qualcosa?” chiese.
“Un omicidio. ” rispose un corpulento signore tutto intabarrato e, nonostante ciò, intirizzito “Hanno scoperto in quell’auto una donna strangolata.”
“Mamma mia! E chi era?”
L’amichetta dell’uomo – solo per interesse una bella figliuola come lei avrebbe potuto stringerglisi addosso in modo così affettuoso – esclamò : “Che storia eccitante! Pensi che i documenti della vittima erano falsi! Un vero e proprio giallo!”
Il dottor Dusi faticò a trattenere uno sguardo inceneritore. Prima quella scomposta agitatrice di popolo, adesso questa meretrice in erba col gusto del poliziesco…L’imbecillità umana non aveva confini!
Con finto stupore, esclamò : “Davvero? E l’automobile? Si sa a chi appartiene?”
Si pentì subito di quella domanda troppo impicciona, ma per fortuna stimolò l’indole loquace della ragazza.
“Pare che il libretto di circolazione sia intestato a un uomo. Stanno facendo indagini per scoprire i suoi rapporti con la vittima.”
“Finalmente una buona pista!” esclamò tra sè e sè il dottore; ma subito ripiombò nel pessimismo: quella pista era in mano alla polizia, a lui toccava stare a guardare.
“Qualche indiscrezione sul proprietario dell’auto?” provò a chiedere.
La giovane donna di facili costumi non chiedeva di meglio che riversargli addosso la ridda di ipotesi già partorite dalla fantasia popolare.
“Secondo alcuni l’auto sarebbe rubata, e la donna una delinquente, una terrorista anzi, di cui i complici si sono sbarazzati perché sapeva troppo. Altri dicono che l’auto appartiene ad un cittadino dell’Est, dipendente di un’Ambasciata o di un Consolato, e quindi sotto c’è una vicenda di spionaggioI Si dice anche che il proprietario sia l’amante, un uomo molto in vista, addirittura un pezzo grosso del governo, e che la polizia stia cercando in tutti i modi di coprirlo…. Personalmente spero che anche il nome del proprietario dell’auto sia falso: così il mistero s’infittisce e diventa più interessante, non trova?”
“Clara, ti prego!” la rimproverò, ma con un sorriso di benevolenza, il panciuto compagno “Stai facendo venire il mal di testa al signore!”
Dusi pensava: “Versioni troppo ricamate, pettegola di una troietta. Ma con un fondo di verità, perché basate sul “cherchez l’ homme” , cioé io…”
Sorrise ad entrambi, dichiarando che, al contrario , la ragazza era stata gentile a infromarlo di tutti quei particolari.
Salutò e se ne andò odiando le chiacchere vane dell’una e i modi sussiegosi dell’altro.
BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 18.00
Seduta a un tavolino di quel bar fumoso, Isabella sorseggiava senza voglia una cioccolata calda con panna. Era parecchio giù di corda, seppure ancora animata da un filo di speranza.
Aveva percorso il tratto autostradale tra Capriate e Bergamo in preda al pessimismo.
Le probabilità di rintracciare Arsenio si stavano rivelando quasi nulle, ed erano tornati a farsi insistenti i foschi pensieri sulla sorte dell’ uomo, che riteneva oramai sicuramente vittima di una disgrazia.
I due receptionist del Fiori avevano dimostrato molta comprensione, in particolar modo Gianfelici.
L’avevano pure in un certo senso tranquillizzata, rivelandole che Arsenio aveva alloggiato al Fiori solo con lei, per quanto il pensiero le fosse subito corso alle decine di altri alberghi a ore disponibili nei dintorni.
Per rincuorarla Gianfelici , malgrado ciò comportasse rivelare un episodio privato, le aveva fornito l’unico labile appiglio per continuare le ricerche.
“Be’ signora, non è vero del tutto del suo uomo non sappiano niente. Da buon gentiluomo dovrei tacere, ma lei è così sconsolata che voglio aiutarla. Ebbene: ho conosciuto la sua segretaria. Come ? Una volta è stata lei a telefonare per fissare un appuntamento. Bellissima voce, molto sensuale. Sa com’ è, non ho saputo dal farle la corte . Ho preteso, scherzando, uno scambio di appuntamenti: se lei voleva che annotassi quello del suo principale, doveva darne uno a me. Dapprima si arrabbiata, poi le mie insistenze, anche, ammetto, un po’ “audaci”, l’hanno fatta sciogliere. Con senso dell’umorismo ( dunque avevo avuto buon naso su di lei!) ha detto: va bene, a patto che come il mio principale e la sua amante noi ci scambiamo un nome finto: io mi chiamo Primula Rossa e tu? Scoppiando a ridere ho risposto: Tulipano Nero. Ci siamo dati appuntamento in un bar del centro di Bergamo dove, a quanto ho capito, lei lavora. Abbiamo passato una notte meravigliosa. Non ci siamo più rivisti, né lei mi ha più telefonato. Il bar è il Jolly Caffè di via De Amicis.”
Per aiutarla, le aveva descritto le fattezze e il modo di vestire di questa segretaria disinvolta e licenziosa.
“Seee. Tanto è impresa da poco individuare nella folla natalizia una donna che ci è stata solo descritta! “ pensava Isabella, osservando l’andirivieni della gente sul marciapiede.
Nelle stipate vie del centro, piene di luminarie e di vetrine luccicanti, le targhette di uffici commerciali o professionali erano centinaia. Arsenio avrebbe potuto lavorare con la sua segretaria in ciascuno di essi.
Avendo a disposizione il solo, caotico pomeriggio 24 dicembre, equivaleva a cercare un ago nel pagliaio…
Per il bisogno di rassicurazioni immediate, l’idea di poter dedicarsi ad una ricerca più sistematica dopo le feste natalizie non la confortava.
Si alzò dal tavolo, pagò e uscì.
Appena fuori, si soffermò a guardare l’insegna di quel bar anonimo e trasandato, su cui stava scritto JOLLY CAFFE’. Pensando a Gianfelici e alla sua occasionale bella, pensò con cattiveria: “Il classico locale da incontri clandestini.”
Come se il Fiori fosse il Principe di Piemonte, e lei non si fosse macchiata di identico peccato.
Prese a percorrere l’opulenta via De Amicis, soffermandosi davanti alle vetrine come per guardare la merce esposta, mentre in realtà scrutava le persone all’interno con la stessa intensità con cui, per fortuna senz’essere notata nella confusione, osservava i passanti.
Un paio di volte, con un sobbalzo, aveva creduto di riconoscere in una donna di circa trent’anni, coi capelli rossi, formosa – i tratti più appariscenti della descrizione fornitale da Gianfelici – la segretaria di Arsenio, ma saggiamente si era trattenuta dal fermarla.
Una volta il cuore le si era messo a battere all’impazzata perché un signore che la precedeva di qualche passo ricordava in modo impressionante Arsenio.
Ben presto subentrò in lei una sconsolata rassegnazione, e prese a muoversi in mezzo alla calca con passi lenti e meccanici, e lo sguardo fisso davanti a sé.
“Giornata persa. ” pensava ” Alla fine mi ritroverò sconfitta due volte. Sul fronte familiare, perché ho trascurato i bambini la Vigilia.” Non stava facendo retorica, pur considerando più una fatica che un missione il ruolo dei genitori : aver piantato in asso Massimiliano e Alfredo le rimordeva davvero. “Speriamo che Raffaele sia tornato presto, aiutandoli a finire il Presepe e l’Albero… Sapendo quanto gli piacciano le tradizioni natalizie, ci si può contare. Meno male! Sarebbe davvero spiacevole che fossero malcontenti quando stasera li affideremo alla nonna per andare al Cenone…”
Malgrado il morale a pezzi, per salvare la facciata – o comunque per dimenticare… – si riprometteva di onorare nel migliore dei modi quell’impegno mondano. Si sarebbe infilata nel primo salone di estetista per uscirne con una messimpiega memorabile; poi, appena a casa, avrebbe indossato l’ abito da sera azzurro, il più elegante che aveva, scegliendo con cura un trucco intonato.
“Sul fronte extraconiugale lo scacco è assoluto: non sono riuscita a scoprire la vera identità di Arsenio e, quel ch’ è peggio, ignoro se mi ha lasciata o ci ha divisi il destino.”
Un vero groviglio di sventure: moglie infedele, madre degenere e amante abbandonata o vedova…
Quasi per un calcolato gioco della sorte, Arsenio sbucò dal portone ad arco che precedeva l’entrata del MANUELA BEAUTY CENTER, verso cui Isabella, scortane di lontano l’insegna lampeggiante piena di fronzoli natalizi, stava dirigendosi .
BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991 ORE 18.30
Dusi suonò il campanello della portineria, e dopo qualche secondo dal citofono uscì una voce di donna fra lo scocciato e l’indolente. “Chi è?”
“Tutte uguali, queste portinaie” pensò il dottore, sfogando la sua rabbia su una vittima fin troppo facile” Non hanno niente da fare dalla mattina alla sera, e quando le interpelli sembra che ti facciano un piacere a rispondere.”
“Buon giorno. Volevo un’informazione: abita in questo palazzo la signora Dolores Faccini?”
“Mai sentita.”
” Provo a descrivergliela: sui trentacinque, alta e slanciata, con i capelli neri a caschetto. Spesso mette una pelliccia di leopardo. Convive con una vecchia zia.”
“Ha sbagliato indirizzo. Buonasera.”
“Come volevasi dimostrare!” commentò tra sé e sé Dusi con amaro sarcasmo. Pronunciata una sgarbata frase di commiato, riattraversò l’androne d’ingresso e fu di nuovo in strada.
Viale Meucci, ad ogni portone del quale si fermava per la vana domanda di rito, era una traversa di via De Amicis, ma più tranquilla, con rari negozi, un’illuminazione sobria e in pratica senza passeggio Sull’uno e sull’altro lato, lussuosi palazzi moderni, con portone ad apertura elettronica e garage sotterraneo. Un posto dove abitavano famiglie dell’alta borghesia . Se non fosse l’ultima spiaggia ( aveva esplorato senza esito tutte le altre vie del centro con nomi di inventore ) avrebbe subito rinunciato al tentativo: Dolores e la vecchia zia non dovevano essere così ricche da possedere un appartamento in quei condomini eleganti.
Mancavano da controllare cinque palazzi e si profilava uno scacco che lo rendeva di un umore ancor più cupo di quello che, la sera prima, aveva accompagnato il suo viaggio in autostrada.
Una rabbia sorda ed impotente, questa volta però con un’origine precisa.
Pensava, rimproverandosi impietoso: “E’ incredibile come abbia potuto bermi ciò che Dolores mi raccontava di sé. Dovevo capirlo che era tutto falso, a cominciare dall’improbabile nome spagnolo.”
In realtà sapeva fin troppo bene di non essersi comportato da ingenuo; piuttosto, guardando alla sostanza, si era disinteressato della sincerità di lei, bastandoli ed avanzandogli la sua ineguagliabile avvenenza. Perlomeno fino a ieri, oggi il suo stato d’animo era ribaltato: Dolores avrebbe potuto essere anche vecchia e brutta, l’importante era conoscerla.
Intravedendo che non gli restava altro, si aggrappava a congetture da detective dilettante, portando alla polizia, incaricata delle vere indagini, un rancore preconcetto paragonabile a quello della signora fulva dell’autogrill.
“Chissà perché faceva sotto falso nome la prostituta di lusso…E’ poi così sicuro che aveva altri clienti, che per lei era un mestiere? Io lo pensavo, ma se la realtà fosse diversa?”
L’idea che Dolores non si fosse legata a lui per puro interesse, magari ( non si poteva escludere a priori ) perché innamorata, lo intrigava alquanto, anche se gli faceva ritorcere l’ira contro di sé, per non essersi accorto di un risvolto così lusinghiero e pericoloso a un tempo.
Ma poteva esserci qualche altro motivo.
“Si faceva mantenere con un secondo fine? Ovvero: teneva per sé quei riprovevoli guadagni? E se fossero funzionali a qualche torbido scopo recondito?”
Scacciò quei pensieri in un rigurgito di dignità.
Non doveva affrontare il problema con la superficiale dietrologia della folla incontrata all’autogrill.
Doveva scavare più a fondo, chiedendosi perché si era messo con Dolores, e che cosa aveva inconsciamente cercato, e forse trovato, in lei.
Guardare alla donna dal proprio punto di vista, ecco cosa doveva fare.
L’angolazione meramente investigativa era fuorviante. Anche perché se davvero avesse voluto risolvere un caso poliziesco, non avrebbe di certo seguito una pista aleatoria come l’indirizzo fornito da una donna che gli aveva sempre nascosto tutto.
La precarietà della sua ricerca gli balzò agli occhi in modo così inequivocabile che tralasciò di provare a scovare negli ultimi palazzi di via Meucci l’ipotetica bellissima mantenuta e l’altrettanto ipotetica anziana zia.
Rallentò il passo, dirigendosi con espressione pensierosa verso lo sfavillante imbocco di Via De Amicis.
“Già…. ” si diceva “il problema sono io. Ma sì: ci pensi la polizia a far luce su Dolores. La tappa all’autogrill, e quella nel centro di Bergamo, sono state, in realtà, un itinerario personale. Avrei potuto compierlo sprofondato nella poltrona del salotto. Eh, cara Dolores, dovevo rendermene conto prima, del valore emblematico della tua morte!”
Era persino stupito di quello spericolato volo interpretativo, di cui non gli sfuggiva il sapore sacrilego: il cadavere raccapricciante di Dolores un simbolo? E di che, poi?”
L’ardita teoria era lontanissima dalla sua indole concreta ( la medicina non era forse la più pragmatica delle scienze? ) di medico. Tuttavia, più ci pensava e più la trovava convincente.
“Non è forse significativo che abbia trovato morta Dolores proprio la sera della visita di Giustini? Due
eventi fuori dal normale uno dietro all’ altro. Perché il loro effetto si rafforzi ?”
Era come in preda a un lucido delirio, che conferiva ai suoi ragionamenti un’allusività enigmatica. INvero non sapeva nemmeno lui dove stava andando a parare. Era solo certo della premessa, cioè che le sue azioni, a partire dalla sera prima, non si spiegavano alla sola luce di un impulso postumo a conoscere Dolores.
Perché tutta quella fretta? Perché intraprendere una pretenziosa indagine personale? Perché tornare sul luogo del delitto? A che scopo vagare senza una meta precisa per il centro di Bergamo?
“Sono ventiquattr’ore che giro intorno al problema. Avevo, e volevo, un’amante stupenda. Lei si faceva pagare, profumatamente. Tutto a posto, no? Lei muore, assassinata. Inevitabile che ne sia dispiaciuto, facciamo anche sconvolto: una come lei non la si incontra dietro l’angolo. Mentiva sul suo nome? E con ciò? Era importante, ai miei fini edonistici? Affatto.”
Si bloccò in mezzo alla strada, come raggiunto da un’improvvisa scarica elettrica.
Un passante che camminava dietro di lui quasi gli finì addosso, proseguendo il cammino dopo avergli lanciato lo sguardo seccato e commiserante che si riserva ai tipi sbadati e importuni.
Dusi, abbagliato dalla sua folgorante rivelazione, neppure se ne accorse.
BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 19.30
Lì per lì Isabella pensò ad un miraggio . Invece era proprio Arsenio, in carne ed ossa. Fermo ad un metro da lei avvolto nel suo bel cappotto, la guardava con una comica aria sbalordita.
Isabella scoppiò in una risata liberatoria, che fece voltare le persone intorno. “Questa poi è incredibile!” esclamò.
“Mata! Che ci fai qui?” fece Arsenio non appena si riebbe dallo stupore. Accorgendosi che erano diventati un’attrazione fuori programma, la prese sottobraccio e si avviò.
Lei si lasciò docilmente condurre, felice di aver riudito dalla sua voce il beffardo pseudonimo che si era data, in pratica il corrispondente femminile di Arsenio.
“Sono venuta a cercarti” spiegò in scherzoso tono di sfida, sempre in preda a un’ilarità un po’ isterica “Perché, hai qualcosa in contrario?”
“Parla piano, per favore” disse Arsenio, preoccupato di non dare nell’occhio.
Sembrava di malumore, e non riuscendo a capire se per la rottura del patto, o per averla rivista, ad Isabella si spense il sorriso.
“Ma come ti è venuto in mente?” fece Arsenio, in tono di rimprovero “Avevamo stabilito di incontrarci solo su esplicito accordo!”
Era inequivocabilmente contrariato per il primo motivo. Isabella poteva tirare un sospiro di sollievo.
C’era però dell’altro: aleggiava sul viso di lui un’ombra di fastidio, una sorta di impercettibile disagio che Isabella, nella sua acuita sensibilità, attribuiva all’insofferenza per un rapporto oramai stantio; e davvero, adesso che lo sapeva vivo e in buona salute, non apeva se fosse peggio perderlo per un’improvvisa disgrazia o per affievolirsi della passione…
“Come sei riuscita a trovarmi? Di’, non avrai fatto ricerche? Non ti sarai rivolta ad un investigatore privato?”
“Quante storie, neanche avessi infranto un segreto di Stato!” pensò Isabella, con una punta di rancore.
La cosa più strana era l’incapacità di Arsenio , in questo diverso in modo inspiegabile dall’Arsenio fino ad allora conosciuto e idealizzato , di cogliere il lato intrigante della vicenda (l’amante sconosciuta incontrata per caso) cavandone un colpo di teatro degno della sua fama, che so : spingerla dentro un portone, e possederla all’impiedi nel sottoscala; oppure portarla in ufficio e fare l’amore sulla scrivania davanti all’allibita ma riservatissima segretaria.
Invece Arsenio seguitava ad incalzarla in tono inquisitorio.
“Rispondi: hai chiesto informazioni nel mio ambiente? Non mi avrai compromesso?”
“Senti Arsenio” disse Isabella, giustamente risentita “Cerca di non cambiare le carte in tavola. Ti ho cercato perché sei sparito nel nulla. Sei tu che devi giustificarti.”
Quasi non credeva di esser riuscita a mostrarsi così decisa. Da dove le veniva tutto quel coraggio? Aveva, d’accordo, ritrovato l’indispensabile amante, ma non era sicura di esserselo riconquistato.
Lo guardò meglio: aveva proprio un’aria strana, come provata. Forse era stato costretto a interrompere i rapporti per qualche serio contrattempo…
“Scusa, hai ragione” fece Arsenio “Non dovrei trattarti così. Ma capiscimi: incontrarti è stata una grande sorpresa. Con quello che mi è capitato, mi sono proprio scordato di avvisarti, ma fra qualche giorno mi sarei fatto sentire…”
“Qualcosa di grave?” domandò Isabella, con subita apprensione.
“Eh, quello che un uomo sa inevitabile, ma che in cuor suo spera non accada mai: mia madre si è ammalata ed venuta a mancare in pochi giorni ”
“Dio mio!” esclamò Isabella, investita da un’ondata di contrastanti sentimenti: un cordoglio più o meno sincero, forse del tutto convenzionale, per il lutto ; uno spontaneo sollievo per la conseguente riabilitazione di Arsenio; infine una fastidiosa punta di sospetto, perché la morte della madre aveva l’aria della prima scusa di peso che gli era venuta in mente.
“Mi spiace !” ripeté, un po’ frastornata “Scusa se non ho capito, ma…”
“Non potevi ” l’interruppe lui, ormai vicino a ritornare l’ Arsenio di sempre” Sono io in torto: dovevo lasciarti un messaggio. Eh, le mamme, le mamme!” mandò un sospiro sconsolato “Uno capisce quanto sono essenziali quando vengono a mancare… Ma in un modo o nell’altro bisogna farsene una ragione…”
Gli si leggeva sul volto una sofferenza genuina. Isabella si convinse che aveva davvero perduto da poco una persona cara.
“Allora” proseguì Arsenio, tirando fuori un sorriso” Non mi hai ancora spiegato come hai fatto a trovarmi. Su, racconta!”
Adesso camminavano a braccetto in mezzo alla folla come una coppia qualsiasi , e Isabella non poteva fare a meno di ringraziare la buona sorte che glielo aveva restituito in una circostanza non avventurosa e clandestina ma tranquilla, quasi coniugale.
Era l’occasione per proporre un salto di qualità nel loro rapporto.
“Oh guarda” spiegò Isabella, scegliendo per impazienza la via ingenua dell’assoluta sincerità”Non ti ho trovato, mi sei letteralmente piovuto dal Cielo!”
“Come ?” fece Arsenio, sorpreso ma, allo stesso tempo, interessato.
“Ma sì, se credi che stessi per salire al tuo ufficio sbagli. Non sapevo che si trovasse in quel palazzo: passavo di lì per caso. Sapevo solo, per vie traverse , che lavoravi in questo quartiere!”
“Fammi capire: tu non conosci la mia vera identità?”
Negli occhi di Arsenio era passato un lampo di malizia. Isabella avrebbe dovuto insospettirsi, invece confermò: “Proprio così. Caso bizzarro, vero?”
Arsenio, che aveva riacquistato in pieno la sua baldanza, ribatté trionfante. “Ah, non bizzarro: voluto dalla Provvidenza, direi.”
“Come dici scusa?” finse di non aver capito Isabella.
“Ma sì, cara Mata, tutto congiura perché rimaniamo perfetti sconosciuti!”
“No!” esclamò Isabella.
BERGAMO CENTRO, 24 DICEMBRE 1991, ORE 19.30
“Era importantissimo, invece!” si disse il dottor Dusi, vedendo finalmente chiaro dentro di sè “Che stupido a non averlo capito prima! Io non cercavo un amante ma una moglie. E lo nascondevo a me stesso. La contraddizione è esplosa quando questo rapporto solo in apparenza soddisfacente, ed anzi ormai sul punto di mostrare la corda ( credo che fosse questione di settimane, se non di giorni ) si è traumaticamente interrotto. E’ stato allora che, sia pure in modo oscuro, ho percepito di aver perso ben altro da quello che credevo di possedere, e senza averlo mai davvero assaporato…”
Riprese a camminare, lo sguardo perso nel vuoto. Faceva col capo vistosi cenni di assenso. Due ragazze sopravvenienti credendoli rivolti a loro, se rimasero interdette.
“Sì, sono caduto in una profonda confusione, da cui ho tentato di uscire razionalizzando. Ho affrontato il problema con il distacco di un detective che indaga intorno ad un oscuro delitto, da cui, com’è ovvio, non è toccato. Invece l’uccisione di Dolores eccome se mi toccava da vicino!”
Si sentiva come liberato e più leggero. Comparve sul suo volto persino un mezzo sorriso, non meno enigmatico, per le persone che incrociava, del subitaneo arrestarsi e dell’annuire di poco prima.
“Si spiega anche l’insofferenza seguita al colloquio con Giustini. Non sono rimasto colpito dalla patetica follia del mio amico, ma dall’amore sviscerato che provava per la moglie. Insomma: nel profondo di me lo invidiavo. Avrei voluto essere come lui, un marito innamorato da impazzire. O meglio: avrei voluto che fra me e Dolores ci fosse lo stesso rapporto. Altro che relazione basata sul sesso! Volevo una donna cui donare tutto me stesso! Ho, a mia insaputa fino ad oggi, un animo romantico!”
Era così rasserenato che poteva prendersi in giro. Come aveva sperimentato , solo sulle certezze si scherza a cuor leggero.
E lui la sua certezza l’aveva raggiunta, e nulla avrebbe potuto scalfirla, neppure il dubbio, insinuante ma non infondato, che quell’improvviso squarcio di luce sulle regioni più intime della propria coscienza nascondesse il desiderio di chiudere al più presto una vicenda divenuta psicologicamente troppo gravosa.
Al cospetto di quella certezza si ritraevano sullo sfondo le esperienze drammatiche, penose o soltanto sgradevoli vissute negli ultimi due giorni, la pazzia dell’amico come l’immagine di Dolores inanimata, il male incurabile della signora Giustini come le chiacchiere all’Autogrill.
Insomma: la completa ricucitura di ogni strappo interiore ed un ritorno nei ranghi della propria conosciuta esistenza. Infatti, alla fine di quei ragionamenti un po’ contorti, di quelle illuminazioni psicanalitiche campeggiava, riscoperta e rivalutata, nientemeno che Isabella, la sua legittima consorte. Egli aveva amato in Dolores non una donna in carne ed ossa, ma l’ideale della moglie, ovvero, allargando l’orizzonte, l’ideale del matrimonio.
Non aveva già entrambe le cose?
Isabella, d’accordo, non aveva l’avvenenza di Dolores. Aveva anche un carattere difficile. Però dal punto di vista coniugale era irreprensibile. Intanto, lo amava: non il focoso amore carnale che poteva offrire una come Dolores ( a conti fatti non era nemmeno ciò che cercava ) ma un affetto solido e duraturo, quale solo le mogli fedeli sanno dare, e provava rimorso per non averla ricambiata con una pari fedeltà. Inoltre, era una donna colta e intelligente. Dialogare con lei, e si riprometteva di farlo più spesso in futuro, rappresentava una fonte di arricchimento. E si potevano trascurare i deliziosi figlioletti che gli aveva dato?
Isabella era un tesoro prezioso, di cui non aveva saputo comprendere l’incalcolabile valore. Doveva esser grato a Dolores per avergli permesso di scoprirlo.
Fra questi pensieri edificanti, era arrivato in via De Amicis, unendosi con animo sereno al passeggio natalizio.
Malgrado fossero oramai le otto di sera, la folla brulicava.
Contagiato dal fervore consumistico che sentiva intorno a sé, decise di approfittarne per comperare dei regali.
“Non posso presentarmi a casa a mani vuote. Sono stato via tutto il giorno, Isabella sarà seccatissima. Non parliamo di Massimiliano e Alfredo!”
Si guardò in giro, indeciso. Via De Amicis offriva una grande varietà di negozi, tutti in pompa magna per la tradizionale ricorrenza.
Scalpitando dalla voglia di tornare al focolare domestico, decise di tenersi sul classico. Per la moglie avrebbe acquistato un bel braccialetto nella gioielleria che si intravedeva qualche metro più avanti. Per i bimbi avrebbe preso un po’ di luci intermittenti assortite nel negozio di addobbi natalizi sull’altro lato della strada. Glieli avrebbe consegnati insieme alle statuine rimaste nel bagagliaio della Uno.
Prima di entrare nella gioielleria fu colto da un pensiero sgradevole , malgrado riuscisse a trasformarlo in notazione curiosa: era la prima volta, da tre mesi a quella parte, che varcava la soglia di una gioielleria per un acquisto destinato a Isabella.
CASELLO AUTOSTRADALE DI BERGAMO, 24 DICEMBRE 1991. ORE 20.40
La Uno Turbo imboccò rallentando lo svincolo che portava al casello.
Dusi guidava col sorriso sulle labbra, assaporando la felicità che lo pervadeva da quando aveva concluso il suo shopping in via De Amicis.
Ogni tanto gettava uno sguardo soddisfatto ai due pacchi posati sul sedile anteriore: l’uno , argentato, racchiudeva uno splendido bracciale d’oro, piacevolmente costatogli svariati milioni; l’altro, più grosso e variopinto, conteneva un puntale a forma di stella cometa, zeppo di luci colorate.
I suoi cari sarebbero rimasti a bocca aperta!
Sul cruscotto, l’orologio fosforescente segnava le 20 e 45.
Un’ora tardissima per tornare a casa, tanto più che non aveva avvertito del ritardo.
Ma Dusi, sull’onda del ritrovato buon umore, vedeva tutto rosa, e l’idea di tenere in apprensione la famiglia non lo sfiorava neppure.
Li immaginava, Isabella e i figlioletti, pronti ad accoglierlo nel salotto addobbato, con la melodia di “White Christmas” in sottofondo…
“Sarà una Vigilia memorabile, dedicata alla famiglia, e in particolare a Massimiliano e Alfredo. Lo so che alle 10 e un quarto io ed Isabella abbiamo appuntamento a casa dell’ingegner Gualco, ma, perbacco, l’ora di giochi sfrenati che ho intenzione di conceder loro se la ricorderanno a lungo! Anzi, conoscendo la mancanza di puntualità degli altri invitati, posso tranquillamente presentarmi alle undici meno un quarto: ecco recuperata almeno un’altra mezzora! ”
Era fermamente deciso a considerarsi un genitore modello, tacitando la sua cattiva coscienza. Con altrettanto ferma convinzione, voleva sentirsi un marito perfetto, cancellando il ricordo dei suoi ripetuti adulteri.
“Isabella sarà entusiasta del bracciale. Le chiederò di metterlo subito, voglio che i partecipanti al cenone possano ammirarlo!”
Intanto era giunto in vista del casello, davanti al quale attendeva la solita fila di automobili. Per nulla irritato dal contrattempo, rallentò e si mise in coda.
Subito, l’elegante linea sportiva dell’auto che lo precedeva attirò la sua attenzione.
“Sembra una Lancia Thema” commentò fra sè e sè, soffermandovi sopra lo sguardo.
All’improvviso si rabbuiò: nel mosso controluce dell’abitacolo aveva riconosciuto il profilo della donna accanto al guidatore .
“Isabella!? Cosa ci fa qui?”
Mentre dolorose scariche di adrenalina gli frustavano le vene, avvicinò il capo al parabrezza , sperando con tutto se stesso in una svista. Ma a quella distanza ravvicinata la più che decennale conoscenza delle fattezze di lei non poteva tradirlo.
“ E’ proprio lei! Con una messimpiega un po’ diversa, ma lei!” esclamò Dusi.
Nel subitaneo montare del sospetto, il misterioso compagno di viaggio calamitò la sua attenzione.
Sembrava un signore distinto e facoltoso, vestito con abiti eleganti.
La scoperta faceva crollare come un castello di carte il felice momento psicologico, col suo corredo di pacchi dono, esemplare affetto fra coniugi, premure paterne, presepi e Santa Notte.
La Nemesi più crudele.
Isabella, la moglie idealizzata, tutta dedizione alla famiglia, s’era incontrata con l’amante! Spudorata! Come sperava di giustificarsi, al ritorno?
Che scusa aveva preparato? E i bambini? Vergogna! Lasciarli soli la vigilia di Natale, andando a un congresso erotico clandestino! Altro che perno della sua vita: Isabella era una schifosissima, subdola traditrice! Se tanto gli dava tanto, non era nemmeno la prima volta!
Vigliacca! Puttana!
Quando la fila si mosse pestò l’acceleratore, colmando rabbioso il vuoto fra le due automobili.
Nell’ l’abitacolo della Lancia, Isabella era troppo impaziente per accorgersi del rombo di una Uno Turbo alle loro spalle.
“Cavoli, ma non possono sbrigarsi?” disse, lanciando l’ennesimo sguardo febbrile all’orologio da polso.
Al suo fianco, Arsenio la guardava benevolo.
La fretta spasmodica di lei si era manifestata al parcheggio della Ypsilon 10.
L’aveva riaccompagnata fin lì la dopo una veloce tappa dal parrucchiere di fiducia della sua segretaria. Interpellato da una cabina telefonica l’ estetista, cogliendo al volo la situazione, aveva acconsentito a servire con precedenza assoluta quella “sua lontana parente”.
L’utilitaria non voleva partire e Mata aveva cominciato ad imprecare contro il destino che stava cercando di impedire il suo rientro a casa ad un orario decoroso.
Vedendola così sconsolata, Arsenio si era offerto di accompagnarla con la sua auto.
La donna gli aveva manifestato una fanciullesca gratitudine e s’erano diretti a passo spedito verso la Lancia, parcheggiata in una via vicina.
Mata lo inteneriva nella veste simpatica, e per lui nuova, di moglie attaccata alla famiglia.
La donna gli aveva chiesto di trovarle alla svelta un parrucchiere per non insospettire il marito, al quale aveva raccontato che usciva per farsi la permanente; per lo stesso motivo voleva arrivare a casa il più presto possibile.
Dopo averlo ritrovato ed aver assicurato, pur nella malsopportata segretezza reciproca , un futuro alla loro relazione, in Mata era ricomparso il desiderio più che logico di salvaguardare la sua vita privata.
Aveva un amante che adorava ( non faceva per vantarsi…), ma voleva mantenere intatti i punti di riferimento quotidiani.
S’era messo a guardare la donna con ammirazione silenziosa. Ma a rifletterci meglio dietro si nascondeva una buona dose di nostalgia, e di invidia.
Isabella pensava, cercando di dominare il nervosismo: ” Conviene che mi faccia scendere da Arsenio in via Dolci, alla fermata del 15. A Raffaele dirò che l’auto mi si è guastata in autostrada, e che un signore gentile mi
ha dato un passaggio. ”
Oltre che metterla al riparo dai sospetti del marito, lI sotterfugio avrebbe tenuto Arsenio all’oscuro del suo indirizzo di casa. In realtà, le interessava solo il primo obiettivo. Nelle ultime ore aveva già rivelato parecchi e molto più importanti particolari sulla sua vita privata.
“Perché Arsenio se la prende così comoda? Non vede che l’auto davanti è già ripartita?”
Prima che potesse innervosirsi, La Thema si era già affiancata al distributore automatico dei biglietti.
Isabella fece un riepilogo della situazione. A Raffaele non aveva detto che andavo da un parrucchiere di Bergamo, e nemmeno alla domestica quando alle undici ho telefonato per dirle di trattenersi fino a sera. Avrebbe spiegato di aver sentito alcune amiche dir mirabilie su questo parrucchiere, e che, vista l’occasione speciale, aveva deciso di provarlo.. Tra viaggio e ingorghi vari, poteva recuperare almeno due ore. Un’altra poteva venire dalla ricerca della via nell’affollato centro cittadino.
Poi c’era il tempo perso per il guasto all’automobile.
Raffaele non era un marito sospettoso. Si sarebbe offerto di occuparsi del recupero dell’automobile, ma non prima di dopodomani. L’essenziale era che all’arrivo del carro attrezzi la Ypsilon 10 si facesse trovare sulla corsia di emergenza.
Quando la Lancia si immise nella corsia di accelerazione, Arsenio disse: ” Fra venti, trenta minuti al massimo saremo ad Agrate Brianza.” Mata, immersa nei suoi pensieri, accennò distrattamente di sì col capo.
Dopo le tempeste degli ultimi giorni, Arsenio si sentiva più tranquillo.
L’incontro con Mata era stato un banco di prova attendibile e poteva andare orgoglioso di come i suoi nervi avevano reagito, Come ben presto o aveva capito, la donna si era messa alla sua ricerca non solo per ritrovarlo, ma soprattutto per convincerlo a passare ad una relazione classica, basata sulla conoscenza reciproca.
Accortasi che lui voleva approfittare delle circostanze favorevoli per mantenere le cose come stavano, aveva avuto un crollo.
S’ era messa a piagnucolare e a supplicare, dicendogli che non ce la faceva più, ad andare avanti così , ma lui era stato abilissimo nel contrapporle il cinismo scherzoso dei migliori momenti.
Alla fine la donna si era convinta che le conveniva tenersi il suo misterioso ed inventivo amante.
La relativa facilità dell’impresa indicava che, forse, Mata non aveva mai davvero creduto di riuscire nel suo intento.
Assecondare gli ansiosi sotterfugi di lei era stato piacevole. Vederla tutta presa nel salvare l’apparenza di moglie per bene l’aveva riportato alla storia recente della sua vita, quando anche lui aveva a cuore la fama di marito fedele.
“Senti Arsenio, ” disse Isabella “Dovresti chiamare il Soccorso Stradale e far trasportare la mia auto sulla corsia di emergenza, poco oltre il casello di Bergamo.”
Arsenio reagí con uno sguardo di blando stupore, riprendendo subito a guardare la strada pensieroso. Ci voleva poco a capire che lo spostamento dell’auto era un raggiro ai danni ( no: a favore…) del marito.
“Pazzie, si fanno vere pazzie per un coniuge!” pensava Arsenio, faticando ad arginare la piena dei sentimenti ” Ecco, qui accanto ho Mata, una donna non particolarmente bella ma interessante per la voglia di trasgressione, nascosta dietro una facciata di perbenismo. Delle mie amanti, la più esplosiva. Devo confessare che mi ha rivitalizzato, appagando un represso bisogno di libertà dai vincoli convenzionali. Perderla sarebbe un danno incalcolabile, anche se mostrando insofferenza per il nostro adulterio fuori dalle regole….Ma Clara era un’altra cosa. Clara era il muro maestro della mia vita. Pensavamo che ci tenesse legati un legame esteriore come la nostra unità famigliare, utile alla mia reputazione di brillante avvocato come alla sua di signora “bene” ammirata per la bellezza è l’eleganza. Invece il legame era molto più sostanziale. Me ne sono accorto quando è arrivata la notizia della sua malattia.”
Una smorfia di sofferenza deformò per un attimo i suoi lineamenti.
Pur concentrata nei suoi pensieri, Isabella se ne avvide.
“Qualcosa non va?” chiese.
Arsenio aveva ripreso il controllo delle sue emozioni. “Perché?”
Isabella soffermò lo sguardo sul suo sorriso affabile. L ‘ espressione stravolta balenatale per un attimo era evidentemente frutto del gioco d’ombre creato nell’abitacolo dai fari di un’automobile che passava sull’opposta corsia.
Non tardò a convincersi che accanto a lei c’era il solito distaccato e un po’ cinico Arsenio.
“Ripensare alla malattia ed alla morte di Clara mi dara’ sempre disperazione. “ pensava questi “ Il giorno che mi ha detto del suo male incurabile era così innaturalmente calma che ho creduto ad uno scherzo. Invece gli improvvisi e fastidiosi capogiri che l’avevano afflitta negli ultimi tempi erano sintomo di un male senza speranza. Il tremendo dramma sembrava non aver intaccato il suo morale. Guardava ai suoi ultimi mesi di vita con serenità e disincanto. Al contrario di me, sconvolto dal dolore, aveva chiaro in testa un progetto. Era una donna molto colta e molto cerebrale, Clara. L’unico modo per affrontare il terribile destino era filtrare la disgrazia attraverso la sua sensibilità e la sua cultura. Mi ha detto: diventerò un’altra. Fino ad oggi ho vissuto come una signora di borghese. Prima di morire voglio provare un’esperienza opposta. Farò la mantenuta.”
La Lancia Thema procedeva con sicura progressione , sorpassando di slancio le altre automobili.
Ai lati il paesaggio della campagna notturna scorreva fulmineo e indistinto, ravvivato dalle luci degli alberi addobbati e dalle altre luminarie.
Isabella pensava: “Bizzarro quest’uomo. Gli chiedo un favore inusuale, e imbarazzante (voglio vedere che cosa racconta al Soccorso Stradale…) e non fa una piega. Meglio così.” Guardò ancora una volta l’orologio ” Bene. Non le nove e un quarto e siamo a un terzo del tragitto. Stiamo volando. Ho una gran voglia di rivedere i miei. Sono stata sconsiderata a mettermi sulle tracce di Arsenio. Passi la preoccupazione per l’ inspiegabile perdita di contatti, ma a mente fredda devo ammettere che gli ho dato troppa importanza.”
Ancora una volta, sapeva di non essere franca con sé stessa. Come la volpe della fiaba, stava sminuendo l’uva irraggiungibile di un diverso rapporto con Arsenio…. Nondimeno, procedeva nel lavaggio mentale autoconsolatorio.
“Non ho bisogno di un uomo che mi stia al fianco dividendo gioie e tristezze. Ce l’ho già: è Raffaele. Mi serve , questo sì, un uomo con cui sfogare il desiderio di fuga dalla quotidianità. Ma non so se il bisogno è momentaneo, e nemmeno se Arsenio è il solo in grado di soddisfarlo. Vietato però, d’ora in poi, confondere le cose: il compagno stabile della mia vita è Raffaele. E’ da lui che posso, e devo, ottenere confidenza e sostegno morale. Non voglio più trovarmi a salvare, con gran batticuore, il mio matrimonio da una crisi.”
Arsenio pensava: “Quante discussioni sono seguite a quell’annuncio! Quanto l’ho supplicata, persino in
ginocchio, di abbandonare il suo proposito! Non per gelosia, o peggio ancora per moralismo ( la morale, di fronte al rischio di morte, non conta più nulla…), ma perché la sua scelta era una rinuncia a combattere la malattia. Avrei voluto che si affidasse alle cure dei migliori specialisti. Ero pronto a sacrificare in quest’impresa tutte le mie, tutte le nostre sostanze. Lei no, voleva mettersi nelle mani del destino, limitandosi a concedersi un velleitario atto di trasgressione….”
In realtà il risvolto egoistico di questa dedizione assoluta alla moglie non gli era mai sfuggito.
Era l’equilibrio della sua vita che, salvando lei dalla morte, voleva preservare.
Isabella pensava: “Poveri Massimiliano e Alfredo! che delusione vi ho dato! Non accadrà più. Sporcare la festa consacrata alla famiglia per incontrarsi con l’amante! Ma fra poco sarò a casa e, ve lo giuro, farò del mio meglio per riparare!”
Per un attimo, in preda al fervore espiatorio, pensò di rinunciare al Cenone per rimanere insieme ai figli, abbandonando l’idea solo dopo aver considerato, non senza segreto sollievo , che non poteva, in questo modo, guastare la serata al marito incolpevole.
Avrebbe elogiato i bambini per lo splendido Presepe ed il meraviglioso Albero che con l’aiuto del padre avevano allestito.
Gonfia di tenerezza materna, voleva premiarli, l’indomani, con un regalo straordinario.
L’idea del dono futuro le rammentò di colpo che stava tornando a casa a mani vuote.
” Come ho fatto a non pensarci? Che credibilità può avere una madre che si allontana dai suoi bambini
per l’intera vigilia di Natale senza portar loro un regalo?”
Ragionamento ineccepibile, ma tardivo. Con l’automobile lanciata a tutta velocità verso il casello di Agrate, non si vedeva come potesse rimediare. Non aveva certo tempo per ricercare qualche negozio di giocattoli ancora aperto.
Stava farsi sopraffare da un rimorso impotente, quando le sovvenne l’autogrill che s’incontrava nel percorrere quel tratto d’autostrada, sempre snobbato per il suo aspetto dimessa.
“Sotto le feste sarà fornitissima di regali per ogni età!” esclamò fra sé e sé” Non sarà roba di prima scelta ma, come si dice, è il pensiero quello che conta!”
“Arsenio,” si affrettò a dire, con gli occhi luccicanti di contentezza ” ti spiace fermarti all’area di servizio, sai quella a metà autostrada? Voglio prendere dei regali. Eh,” sospirò “i bambini sono bambini!”
Non gli aveva ancora detto di avere dei figli, ma le era venuto spontaneo parlarne come se l’avesse fatto fin dal loro primo incontro.
Infatti Arsenio non ne rimase colpito. Era l’accenno all’autogrill ad avergli procurato un soprassalto.
“Che coincidenza tornare lì” pensava “con una donna sana e felice come Clara prima della tragedia! Ha anche dei figli, Mata… Io e Clara no:era sterile. Ci sarebbe piaciuto averne, e spesso parlavano di adottare un bambino… Ma in realtà ci bastava il nostro rapporto. Fino al giorno in cui lei ha saputo di dover morire… Clara non ha mai prestato ascolto ai miei consigli. Si accontentava di bruciare gli ultimi mesi di vita in un gioco astratto. “Lascia perdere i medici e la medicina, diceva. Non c’è più niente da fare, eppoi mi sono così abituata a finire la vita con un contrappasso che, credimi, sopravvivere sarebbe una delusione.” Questi argomenti capziosamente macabri mi lasciavano sgomento.”
A Isabella pareva di aver ricomposto un complicato puzzle. L’immagine dalla sua vita le stava davanti ordinata e nitida: Raffaele, i figli, le amicizie, i parenti, la sua bella casa, gli incontri fugaci e clandestini con Arsenio, il tran tran di ogni giorno, l’agiatezza economica, la vertigine della carne: tutto dosato nella giusta misura.
La penombra dell’abitacolo era ravvivata dal suo sorriso soddisfatto, tutto rivolto alla meta. Di lì a poco le sospirate luci dell’ autogrill sarebbero comparse in lontananza.
Arsenio pensava: “Vederla sparire per intere giornate, ottenendo al ritorno spiegazioni evasive, e un po’ beffarde, mi dava un tormento insopportabile. Finché non la rivedevo restavo a macerarmi, disertando l’ufficio e le aule giudiziarie. Con i colleghi avevo trovato la scusa di una intermittente emicrania: l’apparenza prima di tutto, come sempre, la stessa che Clara curava, riprendendo le sue abitudini negli intervalli fra una sparizione e l’altra. Anche lei per famigliari ed amici soffriva di altalenanti disturbi di salute che la costringevano a letto, una bugia molto vicina alla verità..”
Forse per difficoltà ad ammettere la propria gelosia, si ripeteva che a lui non importava sapere a chi si concedesse Clara, era solo angosciato dal trascorrere del tempo : ogni giorno era sottratto alle indispensabili cure.
All’inizio Clara accettava la discussione. Da buon professionista dell’oratoria parlava quasi solo lui, lei rispondeva con argomenti giocati sul filo del paradosso. Poi aveva preso a trincerarsi in lunghissimi silenzi, chiudendosi in camera mentre lui dietro la porta continuava nelle sue insistenti perorazioni.
Aveva incominciato a consultare medici per proprio conto. Riceveva risposte possibiliste, alcune anche incoraggianti, ma tutti volevano visitare Clara prima di fornire un responso.
L’angoscia, alimentata dalla doppia incomunicabilità, con la moglie e con i medici, era cresciuta a dismisura.
Una sera, in preda ad un raptus, aveva sfondato la porta della camera di Clara, costringendo la donna, terrorizzata, a dargli ascolto. Si sentiva investito del compito di salvarla, e doveva riuscirci malgrado lei. Le aveva imposto di seguirlo nelle febbrili visite ai medici del circondario. Clara si era piegata alla prevaricazione con
rassegnata pazienza appena venata di risentimento. Durante le conversazioni surreali con i medici, se ne rimaneva apatica, rifiutando sempre di farsi toccare.
Era così arrivata l’antivigilia di Natale, punta massima del delirio: dallo scoramento più cupo alla speranza, incarnata dal vecchio amico medico di cui all’improvviso si era ricordato.
Nell’irrazionalità del momento, gli era parso che rivolgersi a lui fosse come attingere alle fresche energie della giovinezza. Le sue radici non potevano tradirlo. Aveva così annunziato a Clara la buona nuova, con l’allegrezza di chi propone di passare una piacevole serata con un conoscente tornato da un lungo viaggio.
Inspiegabilmente, Clara aveva opposto resistenza. Sembrava che quello fosse l’unico medico sulla faccia della terra da cui non accettava di farsi visitare.. Era rimasta inamovibile. Aveva ottenuto solo che lo accompagnasse, senza però metter piede nell’ambulatorio.
Si era presentato al vecchio amico mentre Clara, accigliata, attendeva in automobile. Il fallimento di quella visita era stato tanto più crudele perché senza appello: se Raffaele non accondiscendeva ad aiutarlo,
nessun’altro l’avrebbe fatto.
Era tornato dalla moglie annichilito dalla disperazione. Clara aveva cercato di consolarlo coi soliti oramai insopportabili paradossi. Nel suo animo aveva cominciato a farsi strada una lucida vertigine di autoannientamento. L’idea d’assistere all’agonia della donna lo angosciava a tal punto che evitare a sé , ma soprattutto a lei, quello strazio, gli appariva un atto di carità.
Mostrandosi più cheto, le aveva proposto di fermarsi all’autogrill. A lei era parso di cogliere in lui segni di ravvedimento. Al parcheggio si era mostrata addirittura materna, tentando, paradosso dei paradossi, di consolarlo.
Lui aspettava l’attimo propizio per compiere il doloroso ma liberatorio atto di carità.
Repentinamente aveva posto le mani intorno al suo collo, e stretto con tutte le forze. Clara non aveva avuto il tempo di reagire.
Non credeva fosse così facile strangolare una persona. Forse il convincimento che quel gesto era necessario aveva raddoppiato le sue forze. Con altrettanta probabilità, l’indebolito spirito di sopravvivenza della moglie gli aveva facilitato il compito.
Si era allontanato dall’auto come un sonnambulo, non sapendo che fare o dove andare. Il proposito di fuggire era molto confuso, neppure certo.
Per una decina di minuti aveva vagato nel gelo del parcheggio notturno, poi si era avvicinato al parapetto che correva lungo il bordo del piazzale e l’aveva scavalcato, sparendo nei campi di fianco all’autostrada.
Mezz’ora dopo, non sapeva neppure lui come, era giunto, tutto sporco di fango e coi vestiti laceri, ad una
strada asfaltata. Un’auto che sopraggiungeva gli si era accostata e il guidatore gli aveva offerto un passaggio. Salito a bordo, aveva raccontato al soccorritore che l’auto gli si era impantanata in un viottolo fangoso in mezzo ai campi.
Si era fatto scaricare in un vicino borgo, davanti a una cabina telefonica. Da lì, aveva chiamato un taxi.
Se finora non lo erano venuti a cercare, era dovuto al fatto che Clara non portava mai con sé con sé documenti di riconoscimento. Quante volte la Stradale l’aveva sorpresa senza patente e libretto !
In fondo al rettilineo si accesero, su ambo i lati della carreggiata, le insegne dell’autogrill.
“Eccolo!” esclamò Isabella, in tono festoso.
Arsenio alzò il piede dall’acceleratore, e l’auto rallentando accostò a destra.
In breve furono nel piazzale, dove faticò a soffocare la violenta emozione che tornare lì gli procurava.
Temendo che Mata si accorgesse del suo turbamento, decise di nasconderlo dietro una giovialità sopra le righe.
“Non avrei mai creduto che fosse un posto così gradevole. Bello, l’albero addobbato! Eh, il Natale è il Natale!”
Tirò giù il finestrino e respirò l’aria della notte “Accipicchia, che gelo!”
Parlava a raffica. Mata, come ipnotizzata di fronte alla vetrina del dimesso bar, non riusciva a cogliere il tono artificioso e un po’ ridicolo delle sue parole.
“C’ è da prendersi un malanno a uscire! ” proseguì Arsenio tutto d’un fiato “Sai che facciamo? uno resta qui, al calduccio, e l’altro va a comperare i regali. Quanti regali?”. Aprì la portiera, dando per scontato d’essere lui a doversi sacrificare. In realtà aveva colto al volo il pretesto per sottrarsi alla vista di lei.
“Aspetta un momento” protestò Mata “Voglio sceglierli io! Non conosci i miei figli e…”
“Va bene” troncò la discussione Arsenio, avviandosi spedito verso il bar” ne acquisterò cinque. Voglio rovinarmi.”
Un attimo, ed era già lontano. Mata rimase per qualche istante contrariata, poi il ritrovato buonumore cancellò il disappunto di dover soggiacere alle preferenze di Arsenio.
Era troppo in sintonia col mondo per non vedere il lato buono delle cose.
Arsenio attraversò il piazzale in gran fretta. Era deciso a sbrigare quella commissione al più presto.
Provava l’impulso di guardarsi attorno, ma non ne trovava il coraggio: troppo forte l’irrazionale paura di scoprire qualcuno, forse proprio lui stesso in un’allucinazione retrospettiva, aggirarsi nella penombra con gli occhi vacui e le mani calde di un delitto. Teneva lo sguardo fisso alla vetrina del bar, sperando chè quel luogo, con la sua festosa confusione, gli fornisse rifugio dai recenti, sgradevoli ricordi.
Il locale per l’ora tarda era quasi vuoto, e lui ne rimase deluso, anche se la presenza sul piazzale di appena altre due automobili, più un’altra che era arrivata mentre lui stava scendendo dalla sua, avrebbe dovuto preavvertirlo.
Dietro il banco stava una graziosa commessa coi boccoli biondi che spuntavano dal berrettino di servizio. Accolse la sua entrata con un sorriso.
Lui contraccambiò, e venne subito al dunque, per scrollarsi di dosso l’ inquietudine che l’aveva attanagliato nell’attraversare il piazzale
“Vorrei dei giocattoli” chiese “Doni natalizi per i miei bambini.”
Dietro di lui, oltre la vetrata , l’inguardabile piazzale sembrava una terra di nessuno immersa in un’atmosfera malvagia. Il pensiero di doverla riattraversare gli procurava un tormento quasi fisico.
La commessa rispose, con aggraziata voce giovanile: “Tutto quello che abbiamo è in quegli scaffali là in fondo…”
Dubitava, la ragazza, con simpatica franchezza, della qualità della merce, e Arsenio dovette darle ragione: gli scaffali traboccano di infimi giocattoli di serie: automobiline, bambolette con corredo, pupazzi, palloni variopinti e, ma non era la festa della bontà?, il solito arsenale in miniatura.
Si soffermò a guardare quella minutaglia, fingendosi assorto nella scelta.
Si sentiva per la prima volta un assassino, e si metteva nei panni del signore che stava sorseggiando un caffè, e della graziosa commessa, entrambi in realtà persi nei loro pensieri: come doveva presentarsi ai loro occhi il distinto avvocato uxoricida appena entrato nel bar?
L’indugio cominciava a farsi in sostenibile, e decise di muoversi. Senza guardarli né contarli, allungò la mano a prendere un mucchietto di balocchi. Erano racchiusi nelle loro confezioni di plastica trasparente, che li rendevano tutti uguali, tutti ugualmente inutili.
Tornò al banco e pagò con aria inquieta. La commessa, la mente rivolta alla serata piacevole che l’attendeva a fine turno, non se l’è accorse o non ci badò.
Neanche l’altro avventore si interessò a lui, così poté uscire del tutto inosservato, confondendosi ai numerosi volti anonimi passati di lì.
Appena fuori, fu colpito dal gelido silenzio, rotto solamente dallo sfrecciare delle auto lungo la corsia. Le luci dell’albero di Natale gli sembravano debolissime e vacillanti, non meno minuscole e tenui delle stelle che punteggiavano la volta del cielo.
“Coraggio” si disse.
Abbandonato quel posto infernale, dove s’era consumata una tremenda esecuzione per amore in cui la vittima era indistinguibile dal carnefice, i sensi di colpa e le paure si sarebbero attenuati. Solo Clara, ahimè, e il suo felice matrimonio erano irrimediabilmente persi….
Strinse il pacco dei giocattoli sotto il braccio, per farsi forza con una parte piacevole del presente ( i figli, l’amore materno), che pure non lo riguardava in prima persona, e si avviò verso la Lancia Thema.
Gli ultimi metri li fece addirittura di corsa, come se fosse inseguito.
Sedette al posto di guida con un sospiro di sollievo, richiudendo la portiera con un colpo secco, come se dovesse separarlo definitivamente dalla calma minacciosa del piazzale e dal lato oscuro e tormentoso di sé.
Si volse verso Mata, porgendole il pacco con un sorriso.
Lo folgorò l’immobilità della donna, appoggiata allo schienale col capo reclino sul petto e gli occhi sbarrati. Aveva i capelli spettinati e gli abiti sgualciti come per una colluttazione.
Attorno al collo, i segni inconfondibili, e tristemente noti, di una stretta mortale.
Sul viso di Arsenio si disegnò un’espressione di sbigottita incredulità mista al terrore che solo gli incubi sanno provocare.
Ma in quella fredda sera della vigilia di Natale il risveglio non gli sarebbe venuto in soccorso.
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