Il ministro del Lavoro Andrea Orlando si è detto sorpreso dallo sciopero generale annunciato da Cgil e Uil per il 16 dicembre. E fonti a Palazzo Chigi rivelano al Messaggero che «la manovra è fortemente espansiva e il governo ha sostenuto lavoratori pensionati e famiglie con fatti, provvedimenti e significative risorse». State già meglio, no?
Tra queste riforme, sottolineano, l’assegno unico per i figli, sgravi fiscali per lavoratori e pensionati, contrasto al caro bollette di gas e luce e altre frasi ad effetto. A dirla tutta, siamo sorpresi anche noi dall’idea dello sciopero generale. Da quando l’11 marzo 2020 l’allora ministro dell’economia Roberto Gualtieri, oggi felice sindaco di Roma, se ne uscì con la ridicola frase «nessuno perderà il lavoro» e in un anno rimasero senza stipendio quasi un milione di persone, non avevamo ancora visto i sindacati alzare la testa per una protesta.
Non quando i lavoratori venivano umiliati con un bonus Inps imbarazzante e spesso chiesto indietro senza ragioni, né quando la rottamazione quater usciva dall’agenda di governo anche per i meno abbienti. Non quando è stato rivelato che in realtà l’assegno unico penalizzerà 2,5 milioni di famiglie su 7, quelle che lavorano e magari non sono sposate. Non quando sulle bollette si è scoperto un mero (e blando) intervento tampone a tempo. Non quando sono stati introdotti green pass e super green pass per poter guadagnarsi da vivere, questione che potremmo sindacalmente riassumere con una battuta tagliente che un follower, tale Andrea, fece a Matteo Salvini tutto orgoglioso di aver ottenuto un (molto) presunto taglio delle tasse: «Matteo, ma cosa vuoi tagliare che ci fate pagare 15 euro ogni 2 giorni per andare a lavorare!». Ecco, nemmeno lì i sindacati si fecero vivi, tacendo pure sull’obbligo vaccinale per alcune categorie di lavoratori, sulle detrazioni cancellate per le famiglie, e su una lista lunga così di altre misure d’emergenza.
L’unica chiamata a raccolta ci fu dopo l’attacco di un manipolo di idioti, liberi di assaltare, con tanto di video e dirette, la sede Cgil di Roma, in un luogo in cui c’erano proprio tutti – manifestanti, cineoperatori, curiosi e giornalisti – tranne la polizia. Ora, sappiamo tutti che lo sciopero generale costituisce l’ultima arma che ha il lavoratore per protestare, alzare la voce e combattere per i propri diritti in una democrazia.
E come vengono allora spronati gli italiani a far sentire la propria rabbia? Come inizia la dichiarazione di fuoco dei sindacati al governo? Inizia così: “Pur apprezzando lo sforzo e l’impegno del Premier Draghi e del suo Esecutivo, la manovra è stata considerata insoddisfacente da entrambe le Organizzazioni sindacali”. Non so voi, ma a noi ha ricordato molto la scena cult di “Tre uomini e una gamba”, in cui Giacomo Poretti confessava a Marina Massironi che il giorno dopo si sarebbe sposato. Ma siccome era innamorato segretamente di lei e non voleva perderla, aggiungeva «…sì, ma niente di serio». Ecco, sciopero sì, ma con moderazione, in amicizia, con apprezzamento. E quali sono le cose che hanno lasciato soltanto “insoddisfatti” i sindacati? “Sul fronte del fisco, delle pensioni, della scuola, delle politiche industriali e del contrasto alle delocalizzazioni…”. Un po’ generico, no?
Bene, prendiamo le delocalizzazioni. La questione dovrebbe essere evidente a chiunque: l’imprenditore va all’estero se i costi in Italia sono troppo alti. Lo fa, dunque, perché la nostra manodopera ha prezzi improponibili? No, dato che, come informa La Stampa, l’Italia è l’unico Paese dell’Ue dove i soldi in busta paga sono diminuiti. I costi elevati sono rappresentati dalle tasse sul lavoro, che costringono l’imprenditore a versare un lordo che talvolta è il doppio di quanto il dipendente percepisce. Senza contare gli innumerevoli balzelli burocratici cui è costretto per tenere aperta l’azienda.
Non basta. L’Italia è piena di contratti collettivi, peccato che sia uno dei sei Paesi europei che non preveda un salario minimo. Sicchè abbiamo due scenari: uno nel quale ormai milioni di persone lavorano con stipendi da fame, un altro in cui il salario potrebbe essere dignitoso se soltanto lo Stato rinunciasse a una fetta della sua torta, che diventa sempre più grossa. Risolvere il salario minimo senza risolvere la questione delle tasse sul lavoro porterebbe solo alla chiusura di altre attività. Ma questo è un problema tutto italiano. Quali sono infatti gli altri Paesi senza salario minimo? Non certo Stati poveri, ma Austria, Cipro, Danimarca, Finlandia e Svezia. E questo guaio non lo avvertono: per fare due esempi, in Austria lo stipendio medio è di 52mila euro l’anno, in Danimarca di 58,4 mila euro l’anno.
E in Italia? Il lordo medio si attesta molto più giù, a quota 32,7 mila euro, per di più nelle tasche dei lavoratori ne entrano enormemente di meno: e secondo uno studio di OpenPolis basato su dati Ocse, il nostro è anche l’unico Stato europeo dove si guadagna meno di 30 anni fa. Siamo rovinati. Dopo trent’anni di schiaffi ci aspetteremmo le barricate. Invece no: sciopero generale, ma con “apprezzamento dello sforzo e dell’impegno”… Niente di serio, come sempre.
Italia, no future.
Troppo stato, troppo statalismo, troppe tasse, troppa burocrazia, troppa zavorra politico-amministrativa.
Per avere un poco di ricupero e ripresa in economia e nell’industria occorrerebbe un taglio immediato di tutte le aliquote fiscali, tout-court.
Poi ci sarebbe molto altro.
Per iniziare , giù le tasse.
Poi giù la burocrazia , a base di licenziamenti dei dipendenti inutili, la chiusura di uffici ed ufficetti inutili, la cancellazione immediata di norme inutili e liberticide.
E poi, e poi, e poi….. servirebbe un libro.