Riprendo qui la recensione, uscita sul blog “Gialloecucina”, del libro di Massimo Carlotto Variazioni sul Noir , un’antologia di racconti che rappresenta un esempio riuscito e illuminante di cosa si debba intendere per genere “noir”, parente stretto del genere “giallo” ma con una sua ben distinta peculiarità.
Secondo la definizione più in voga, la differenza tra “giallo” e “noir” sta nella loro struttura inversa.
Nel giallo si parte dal delitto per andare a scoprire l’assassino che l’ha commesso; nel noir si parte dell’assassino per andare a scoprire il delitto che commenterà.
Non si deve credere che conoscere dapprincipio il colpevole nuoccia alla suspense. Lo dimostra il grande Hitchcock, che prediligeva la formula del noir e ci ha dimostrato che lo spettatore, e naturalmente anche il lettore, può essere avvinto in modi altrettanto potenti, ad esempio dall’incertezza se il colpevole ce la farà a farla franca. Chi segue la storia, infatti, finisce per sviluppare una sorta di sindrome di Stoccolma, affezionandosi a quello che dovrebbe essere il “cattivo” ma, conoscendone motivazioni e pensieri, si tocca con mano che, come ci dice con suggestiva incisività Ivano Fossati, “i cattivi poi così cattivi non sono mai”.
Nell’antologia di racconti “Variazioni sul noir” Massimo Carlotto riesce in pieno a creare questa suspance contraddittoria, mettendo in scena una variegata galleria di cattivi, in una gamma che va dallo spregevole ( senza che si riesca a disprezzarlo fino in fondo…) all’apertamente simpatico (ebbene sì!).
Lo scrittore veneziano, con la sua prosa diretta e ben ritmata, di piacevolissima lettura, non si ferma qui, declinando con efficacia l’assioma uguale e contrario a quello della bontà ( parziale) dei cattivi : “le vittime non sono santi”.
Nell’antologia si trova una collezione di vittime più o meno insopportabili, da quelle che quando periscono si trattiene a stento la soddisfazione, a quelle che se la sono andata a cercare, o comunque lasciano pochi rimpianti.
Non manca, in un caso, una vittima assolutamente innocente e immeritevole di morire, che tuttavia non riesce a farci odiare in tutto e per tutto il suo assassino…
È notorio che Carlotto è arrivato alla letteratura dopo una gravissima vicenda giudiziaria personale, durata dal 1976 al 2004 in una tormentata alternanza di esiti, e chiusasi infine con la sua riabilitazione.
Non si stenta a credere, se è vero che uno scrittore vero, come scrive l’amico Andrea Carlo Cappi, deve versare sulla pagina almeno una goccia del proprio sangue, che Carlotto sia così convincente nel narrare storie di crimini, anche efferati, e nel tratteggiare in chiaroscuro i loro protagonisti, perché porta nella sua narrativa l’amara saggezza di una vita trascorsa sperimentando l’ambiguità e forse l’impossibilità della giustizia.
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