Un’avvocatessa napoletana si batte per portare avanti la terapia a base di plasma iperimmune ideata dal professor Giuseppe De Donno, morto suicida la scorsa estate. Il legale ha parlato delle sue iniziative allo scrittore Antonino D’Anna, autore del libro che riporta decine di testimonianze di pazienti guariti
Ha scelto di battersi per il plasma iperimmune, la discussa cura sviluppata tra gli ospedali Carlo Poma di Mantova e Policlinico San Matteo di Pavia. E con caparbietà porta avanti “una mission”, ossia il ricordo di Giuseppe De Donno, il medico mantovano morto suicida nel luglio scorso, che del plasma è stato l’alfiere più noto al grande pubblico. Vi presentiamo Carmen Federico, napoletana doc, avvocato e presidente dell’associazione culturale “La rivincita”, attiva tra Saronno e Marina di Massa, che parla con noi del libro da poco pubblicato in collaborazione tra Algama editore e Teaserlab “Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal Covid con il plasma iperimmune” scritto da Antonino D’Anna – giornalista di RPL e scrittore – e disponibile su tutte le piattaforme online, sia in versione cartacea che elettronica.
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UNA MISSION
Spiega Federico: “È vero, ho definito “una mission” quella di supportare, in qualità di presidente d’associazione culturale, il libro di Antonino D’Anna. Perché in realtà il mio scopo è quello di restituire dignità ad un uomo, scienziato, che ha salvato decine di vite umane ed è stato completamente abbandonato. Questo l’ho ribadito già in due occasioni di presentazione del libro, ma… la vicenda del dottor De Donno mi ha destabilizzato sia come donna che come cittadina perché mi ha portato comunque a riflettere”. In altre parole: “Mi ha portato ad analizzare tanti aspetti della vita che, magari prima del lockdown, prima che il virus condizionasse le nostre vite, mi ha portato ha riflettere e cominciare a vedere le cose in altro modo”.
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Per Carmen la morte del dottore è stato un duro colpo, come per tutti quelli che lo hanno amato: “La prima cosa che mi è venuta in mente quando, il 27 luglio scorso, ho appreso della morte del dottor De Donno, è quella del complotto: “L’hanno ammazzato”, ho pensato. L’hanno ammazzato perché poi focalizzi l’attenzione sull’aspetto politico e ne trai anche tante conclusioni che possono essere distorte ma fanno parte dell’epoca che viviamo e in ogni caso va a condizionare il nostro pensiero e le nostre emozioni”. Da qui l’idea della sua mission.
Ma perché spingere sul ricordo del medico mantovano? “Questa è una mission perché questo scienziato ha salvato vite umane. Sul piano umano quest’uomo è stato abbandonato, completamente, volontariamente e strumentalmente nonostante la sua equipe sia stata in prima linea a combattere questo terribile male e cercare di restituire all’amore e un sorriso alle persone che ne avevano bisogno”.
UN GRANELLO NEL DESERTO
E l’avvocatessa napoletana va avanti per la sua strada: “Mi sono sempre definita “un granello in un deserto”, ma nel mio piccolo voglio restituire dignità al dottor De Donno, quella dignità che gli han tolto. Proprio per non dimenticare, il vizio della memoria come dice Antonino. E vorrei accendere una piccola luce nel cuore di ognuno di noi, un cuore che molto spesso è condizionato e anche amareggiato dagli umori”. Con un ricordo particolare: “Quando penso a De Donno penso ad un altro medico, al dottore Giuseppe Moscati, il medico Santo. C’è una citazione che ho letto e mi torna in mente ogni volta in cui penso a De Donno: “Ricordatevi che con la medicina vi siete assunto la responsabilità di una sublime missione. Perseverate con Dio nel cuore, con gli insegnamenti di vostro padre e vostra mamma sempre nella memoria; con amore e pietà per i derelitti; con fede e con entusiasmo; sordo alle lodi e alle critiche; tetragono all’invidia; disposto solo al bene””.
Il ricordo del medico napoletano che si fece ultimo tra i poveri e curava gratis gli ammalati è qualcosa che tocca il cuore di Carmen: “Questa è una citazione che ritengo sia ad hoc ed appropriata anche per descrivere l’operato del dottor De Donno, che rispecchia tutti i canoni di questa missione. Tutto qui”, dice. “E con tanta emozione – aggiunge – supporterò sempre e dovunque questo libro: ma non in senso materiale del libro, ma perché questo è IL libro, il libro di un uomo, un medico che nonostante abbia dedicato tutto se stesso alla medicina e abbia salvato tante vite umane, non ha salvato la sua”. Perché “La sua decisione alla fine rappresenta la conseguenza di tutto ciò che gli è stato fatto a livello psicofisico. Questo è il mio pensiero”, conclude. Ci viene difficile non essere d’accordo con lei.