E’ appena uscito l’aggiornamento periodico, alla data del 10 novembre 2021, del bollettino sulla “sorveglianza integrata Covid 19, emesso dall’Istituto Superiore della Sanità. Immediatamente, sui social e anche in alcuni dibattiti televisivi, si è accesa la polemica poiché sembrerebbe che quel documento bocci clamorosamente l’efficacia della campagna vaccinale iniziata lo scorso 27 dicembre. Vediamo di capire cosa c’è di vero.
Da quando è iniziata la pandemia, l’Istituto Superiore della Sanità, due volte al mese, pubblica un bollettino che riassume l’andamento del contagio in base ai dati che affluiscono dal sistema sanitario. Le informazioni riguardano i principali aspetti critici dal punto di vista epidemiologico ( numero di contagi, ricoveri, terapie intensive e vaccinazioni ) suddivisi per periodo, zona geografica, fasce d’età ed altri parametri.
Questo documento non si limita a riportare i dati nudi e crudi, ma effettua elaborazioni statistiche utili a inquadrare gli sviluppi tendenziali della pandemia. La più importante di queste elaborazioni riguarda la misura di efficacia dei vaccini.
Sono oramai molti mesi che il succitato bollettino registra una quasi equivalenza di contagi, ricoveri e morti tra vaccinati e non vaccinati. Addirittura, in taluni casi, per certe fasce d’età, l’incidenza risultava maggiore tra i vaccinati rispetto ai non vaccinati.
Nell’ultimo bollettino, questo quadro si consolida, con “sorpasso” dei vaccinati sui non vaccinati nel conteggio dei infezioni, ospedalizzazioni e decessi. Si veda la Tabella n° 3 a pagina 17, riportata sotto.
C’è un ma.
Il rapporto, alla pagina precedente, la n° 16, contiene una dettagliata didascalia della Tabella n° 3 , dove, in particolare, si spiega perché è un errore prenderne alla lettera i dati. Riportiamo sotto anche questa.
Come si vede, L’ISS mette in guardia da una svista nella lettura dei dati tanto facile quanto marchiana. La circostanza, obiettivamente vera, che negli ultimi trenta giorni ci sono stati più contagiati, ricoverati e morti per covid nei vaccinati che nei non vaccinati non implica che la campagna vaccinale stia fallendo.
Questa conclusione è frutto del cosiddetto “effetto paradosso” , ben conosciuto nella scienza statistica. Si tratta, in buona sostanza di una erronea valutazione che porta a proporzionare la frequenza di un dato fenomeno alla grandezza di riferimento sbagliata.
Nel caso in questione, non è la ripartizione percentuale del verificarsi di un certo evento ( per esempio la morte per covid) tra vaccinati e non , a dirmi se quell’evento è più frequente nell’una o nell’altra categoria. Bisogna prima calcolare la frequenza dell’evento sul totale degli appartenenti alla prima categoria ( vaccinati) e poi sul totale degli appartenenti alla seconda (non vaccinati); quindi confrontare i risultati.
E’ esattamente quanto il bollettino dell’ISS fa nella Tabella A3 a pagina 32 ( sotto) calcolando , distintamente per vaccinati e non vaccinati, il tasso di infettati, ricoverati e morti per 100.000 abitanti.
Come si può constatare, l’evento considerato ( morte per covid), che nella Tabella 3 sembra avvenuto nel 46,8% dei casi tra i non vaccinati, e nel 53,2 tra i vaccinati nella Tabella A3, risulta essere in realtà avvenuto nell’ 80% dei casi tra i non vaccinati e nel 20% tra i vaccinati.
Il risultato si ribalta.
Ciò implica alcune importanti considerazioni.
Innanzitutto, l’ISS non dichiara affatto che è più facile morire di covid tra i vaccinati che non tra quelli che non lo sono. L’ISS argomenta ampiamente il criterio statistico che lo porta a correggere la lettura dei dati “grezzi”sugli effetti del contagio su vaccinati e non.
Certamente la metodologia adottata dall’ISS può essere criticata e addirittura respinta, ma in base ad argomenti tecnico-scientifici. Gli studi epidemiologici implicano un ricorso rigoroso alla statistica, complessa branca del sapere insegnata nelle università.
Mi pare di vedere la faccia scettica, ed anche un po’ irridente, di molti lettori di queste mie righe, sospettosi che mettere in campo l'”effetto paradosso” sia un arrampicamento sugli specchi.
Bene. Consiglio di aprire Wikipedia alla pagina “Paradosso di Simpson” ( nome dello studioso che per primo ha descritto questa “svista”).
Contiene un esempio che, personalmente, mi ha strabiliato.
Prendiamo due giocatori di baseball, Tizio e Caio, entrambi battitori.
In una stagione agonistica, Tizio colpisce 12 palle su 48, il 25%. Nella stessa stagione, Caio ne colpisce 104 su 411, il 25,3.
La stagione successiva, Tizio colpisce 183 palle su 582, 31,4%; Caio 45 su 140, il 32,4%.
Se pensate che , nel complesso delle due stagioni, Caio, che ha primeggiato in entrambe su Tizio, sia stato un battitore migliore di quest’ultimo, vi sbagliate. E’ vero il contrario.
Tizio nei due anni ha colpito 12+183 = 195 palle su 48+ 582 = 630 tentativi; Caio ha colpito 104+ 45= 149 palle su 411+140 = 551 tentativi.
195/630 da’ 31%; 149/511 da’ 27%.
Rimane, per onestà, qualcosa da aggiungere.
Secondo il rapporto dell’ISS la percentuale di vaccinati sul totale della popolazione vaccinabile (over 12) è pari all’ 84%.
E’ ragionevole ritenere che si possa controbilanciare la diminuzione dell’efficacia vaccinale che si osserva ( vedi tabella a pagina 23, riportata sotto) a sei mesi dal completamento del ciclo vaccinale, intervenendo sulla circolazione del virus veicolata dal 16% della popolazione over 12 restia a vaccinarsi?
Verosimilmente, questo calo di efficacia del vaccino può essere meglio contrastato attraverso una campagna di somministrazione della terza dose, il cosiddetto booster, che rinforzerà – dicono gli studi scientifici – la risposta immunitaria al virus.
Non sembra così scontato che si ottengano risultati significativi riuscendo a indurre a vaccinarsi – con un ulteriore giro di vite sul green pass o addirittura l’introduzione dell’obbligo vaccinale – tutto il rimanente 16% di popolazione recalcitrante.
Altro discorso quello di ampliare la platea dei vaccinati coinvolgendo nella campagna di somministrazione gli under 12.
In questo caso, visto che la percentuale di vaccinati sulla popolazione totale è pari a circa il 76%, ci sarebbero più ampi margini per migliorare il livello della “protezione di gregge”.
Naturalmente andrebbe prima confermata la tolleranza dei bambini al vaccino, tenendo presente che, stando ai dati disponibili, i più piccoli sono (involontari) diffusori del virus senza esser messi in particolare pericolo dal contagio.
E’ anche da verificare quanti benefici potrà portare la diffusione, in affiancamento al vaccino, di nuovi farmaci antivirali capaci di scongiurare la malattia grave e i decessi.
Non è nemmeno da trascurare la chance di passare a tipi di vaccino più “performanti” in termini di durata dell’efficacia, come ad esempio quello menzionato qui.
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