L’editoriale di Franco Bechis su Il Tempo dal titolo “Morti di tutto ma non di covid” ha scioccato l’opinione pubblica. Ecco cosa dicono davvero i dati
Tra i molti documenti che l’Istituto Superiore della sanità sforna sulla pandemia ce n’è uno, aggiornato periodicamente, denominato “Caratteristiche dei pazienti deceduti positivi all’infezione da SARS-CoV-2 in Italia”.
Si tratta di una raccolta di dati sulle persone morte per covid, accompagnata da analisi statistiche sui principali fattori legati a questa causa di mortalità (età, sesso, compresenza di altre patologie ecc).
Gli ultimi due aggiornamenti, succedutisi a distanza di circa due mesi, riguardano il punto della situazione al 21 luglio (leggi qui ) e al 5 ottobre (leggi qui).
Benché i due rapporti non si discostino significativamente nelle loro risultanze, mentre quello di luglio non ha suscitato particolare attenzione, quello di ottobre, uscito da pochi giorni, ha avuto da parte del giornale “Il tempo”, con un editoriale del suo direttore Franco Bechis in prima pagina, un commento dal titolo appariscente: “Morti di tutto ma non di covid”. Nella pagina interna dove il lettore viene rinviato per la conclusione del pezzo si legge, a cappello, in modo ancora più tranchant: “Per l’Istituto superiore di sanità i morti non sono colpa del Covid”.
Il testo completo lo trovate qui.
Va preliminarmente notato che Bechis non può in alcun modo essere ascritto al “negazionismo” preconcetto, non fosse altro perché, come risulta da questa intervista, è stato colpito, a causa della pandemia, da una grave tragedia famigliare.
Va notato altresì che il contenuto dell’articolo è, come spesso accade, molto più articolato e meno drasticamente perentorio del titolo, che tende a semplificare, in questo caso – secondo me – in modo eccessivo.
Entrando nel merito, Bechis punta l’attenzione su un aspetto che certamente emerge dalla lettura del rapporto: solo una minoranza dei deceduti non avevano altre patologie in corso. La maggioranza ne aveva almeno tre, e in media si va da una a cinque.
Si tratta di un fatto noto. Esaminando il rapporto ISS di luglio, lo si ritrova puntualmente.
Tuttavia né allora, né oggi si trova nel documento la conclusione indicata nel titolo dell’articolo e, certamente accompagnata da considerazioni più complesse che vedremo, all’interno del pezzo, ovvero che le 130.000 persone morte per la pandemia sono all’80 per cento vittime non del covid, bensì di altre malattie preesistenti.
Innanzitutto v’è da dire che, come riporta lo stesso editorialista, l’individuazione di una percentuale di “morti di solo covid” pari al 2,9% non si ricava dall’analisi sistematica di tutte le 130.000 cartelle cliniche dei deceduti, ma dall’esame di un campione di circa 7900, che viene definito dal documento “opportunistico”, ovvero “rappresenta solo i decessi in soggetti che hanno avuto necessità del ricovero, e le Regioni sono rappresentate cercando di conservare una proporzionalità rispetto al numero di decessi”
Per questo motivo calcolare, come pure si fa nell’articolo del Tempo, che i “morti di solo covid” sono 3783 su 130.468 è improprio.
Lo è altrettanto, in generale, sostenere che la rappresentazione della pandemia da parte degli organismi sanitari sarebbe distorta, nel senso di un’indebita drammatizzazione, in quanto a soccombere sotto i colpi della stessa sarebbe stato un esiguo numero di nostri connazionali mentre la causa della morte di quasi tutti i deceduti andrebbe ricercata in patologie che questi avevano già (le famose 5 di cui sopra).
Di quanto logicamente non corretta sia questa conclusione, è consapevole lo stesso Bechis, che infatti finisce per parlare di “pasticcio” e scarsa accuratezza da parte dell’ISS nell’organizzare e presentare i dati.
Senza una verifica dettagliata di tutti i 7900 casi del campione (comunque indicativa perché questa analisi andrebbe fatta su tutti i 130000) volta a stabilire le precise condizioni di ciascun paziente e il ruolo effettivo che ha avuto la sars (la sindrome da insufficienza respiratoria grave acuta) indotta dal nuovo virus nel determinare l’aggravamento fatale dello stato di salute, niente giustifica minimizzare l’effetto del contagio sulla mortalità.
Peraltro dei cinque fattori di comorbilità – evidenzia Bechis – il più frequente è la pressione arteriosa alta, un “acciacco” comunissimo nelle persone adulte, ed anche molti altri, come la demenza senile e il diabete, si ritrovano in moltissimi anziani.
Poiché queste malattie – si può aggiungere – di norma sono seguite dal nostro sistema sanitario e curate validamente, è ragionevole ritenere che il covid-19, sommandosi ad esse, abbia fatto precipitare la situazione in modo purtroppo decisivo.
Questa considerazione è suggerita da un altro fatto che il rapporto ISS evidenzia nell’analisi statistica del campione di 7900 (paragrafo 3): la complicanza riscontrata in più del 90% dei casi è, appunto, l’insufficienza respiratoria acuta.
Ovvero quasi tutte queste persone hanno presentato l’effetto più terribile del covid: polmoni così malridotti da non essere più in grado di ossigenare normalmente il sangue.
A conferma che sia una forzatura interpretare il rapporto del 19 ottobre come una smentita riguardo alla pericolosità dell’epidemia, o comunque che sino a un certo punto esso è viziato da scarsa chiarezza, sta il paragrafo 6 (Confronto caratteristiche decessi SARS-COV-2 positivi nei ‘non vaccinati-nessuna dose’, nei ‘vaccinati con contagio precoce’ e in quelli con ‘ciclo vaccinale completo).
In questa sezione del documento si evidenzia come, tra i 38.096 deceduti totali per covid dopo l’inizio della campagna vaccinale, solo un numero esiguo, 1440, erano vaccinati con ciclo completo.
È veramente improbabile, se la protezione vaccinale si è dimostrata così efficace contro la morte degli infettati dal virus, che i 36656 non vaccinati deceduti dopo essersi infettati non siano vittime della pandemia.
Ricordo, peraltro, che secondo il rapporto dell’Istat di cui ho parlato in questo post, nel 2020 risultano circa 100.000 morti in più secondo quanto atteso in base alla media degli anni precedenti. E’ disponibile, qui, un rapporto Istat più aggiornato, che ricomprende anche i primi quattro mesi del 2021.
Non mi sembra sostenibile che questo picco anagrafico di mortalità possa essere dovuto alle patologie compresenti nei morti di covid, già conosciute e curate da gran tempo.
Che questa vera e propria strage sia dovuto allo scatenarsi del nuovo virus è una sgradevole ma indiscutibile certezza.
Rino Casazza
Guarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI