Pubblichiamo in anteprima su Fronte del Blog la Nota con cui Antonino D’Anna, l’autore di Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal Covid con il plasma iperimmune racconta il perché di questo volume
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Il telefono squillò alle 20.36 del 27 luglio 2021, un martedì. L’amico Luciano, con la voce distrutta, era all’altro capo del filo: “Ha fatto quello che nessuno si aspettava”, esordì. “Ma chi?”, chiesi. “De Donno. Si è suicidato”. Avevo seguito le vicende del plasma iperimmune sin dal marzo del 2020, quando lo studio Tsunami (primo in Italia) aveva suscitato le attese e dato i primi risultati; insieme a Giulio Cainarca, direttore di RPL – La tua radio, avevamo intervistato il dottor Giuseppe De Donno nella primavera dello stesso anno, quando Tsunami aveva completato la Fase 1 e avrebbe potuto cominciare la Fase 2 se lo Stato italiano non avesse deciso di avviare (all’insaputa di De Donno) un’altra sperimentazione, con lo stesso nome, in quel di Pisa. La sperimentazione toscana, all’inizio del 2021, diede il suo responso: no, il plasma iperimmune non funziona. Eppure a Mantova aveva salvato e continuava a salvare vite umane: e allora? Nel dicembre 2020, quando lo Tsunami mantovano era stato già scavalcato dallo studio pisano, mentre il dottor De Donno si era ritirato dall’attenzione mediatica del Paese e continuava a svolgere il suo lavoro di primario di Pneumologia al Carlo Poma di Mantova, poi lasciato a giugno del ‘21 per andare a Porto Mantovano a fare il medico di base, come aveva promesso, mi sono reso conto della necessità di conservare memoria di tutto quello che era stato, ricordare la luce di speranza che aveva acceso.
Una sera, parlando con chi forse è stata tra le persone più vicine in corsia al dottore (e che ringrazio per quanto ha fatto), lei osservò: “Quando questa pandemia sarà finita, il peso psicologico ed emotivo lo porteremo noi sanitari. E questa è una prospettiva che voi sul divano non potrete mai capire”. L’uscita era severa ma giusta: nella prima ondata della pandemia i nostri medici e infermieri erano stati osannati come salvatori della Nazione e poi, gradualmente, dimenticati se non malmenati con tanto di video finiti sul Web. L’unica risposta ad un’osservazione del genere era allora questa: raccogliere le testimonianze di chi si è curato col plasma iperimmune a Mantova, perché il plasma iperimmune non è stato un miracolo e De Donno non era un pifferaio magico o un imbonitore da corsia. Era un medico, che in silenzio ha fatto il suo dovere fino alla fine e in silenzio se n’è andato: e i guariti non sono adepti di una setta religiosa, ma persone facilmente identificabili che saranno ben felici ora, domani, tra cinquant’anni, di raccontare la loro esperienza e il loro rapporto umano col dottore e la sua equipe.
Salde radici meridionali, padre carabiniere perso in giovane età, lavoretti per mantenersi prima della laurea con lode a Parma, De Donno ha sempre messo una carica di umanità in tutto quello che ha fatto al Poma e fuori portando avanti e difendendo la “sua” (che poi sua – com’egli stesso diceva non era: era la sperimentazione del Poma insieme al San Matteo di Pavia) creatura. Nessuno, al Poma, è morto di Covid senz’avere qualcuno accanto e spesso quel qualcuno è stato proprio De Donno che, come nei nostri paesi del Sud, si metteva accanto al letto come si fa d’estate quando si frescheggia la sera e ci si racconta la giornata: un social network di quartiere molto più umano di quelli virtuali. E si può anche stare zitti, perché – come diceva Italo Pietra di Aldo Moro – secoli di scirocco sono nel nostro sguardo. Lo scirocco non ti fa parlare, devi comunicare usando l’anima: e il dottore questo ha fatto nei confronti dei moribondi con i quali non poteva più parlare, con gli intubati in attesa di guarigione, con chi non era cosciente ma si attaccava ad una cura figlia della scienza e della speranza. Parla ancora adesso: perché, diceva Pier Paolo Pasolini, la morte non consiste nel non poter più comunicare, ma nel non essere più compresi. Quando vedo che De Donno viene indicato come no-vax o loro padre putativo, quando sento il modo in cui viene trattato, allora a maggior ragione ritengo la pubblicazione di questo libro un gesto di tutela di quest’uomo, della sua famiglia, della sua magnifica equipe perché il suo ricordo non vada perso. E perché la sua voce, da queste pagine, si possa ancora alzare. Tra le 100 cose che avrei voluto fare nella mia vita prima di morire ci sarebbe stato anche poter stringere la mano a Giuseppe De Donno: posso solo pubblicare questo libro in sua memoria, ringraziandolo per avermi insegnato a non essere un mammalucco. Non siatelo anche voi.
Antonino D’Anna, agosto 2021
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Giuseppe De Donno – Il medico che guariva dal covid con il plasma iperimmune – LIBRO ED EBOOK
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