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L’urlo di Bebe Vio

La confessione dopo l'ennesima medaglia d'oro

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A volte, per capire il valore di un sogno, dovremmo provare a levarci i nostri vestiti stirati, le abitudini e accantonare per un secondo i progetti. Dovremmo cercare di sforzarci ad entrare in altre realtà, a viverle e comprenderle.
Solo così potremo essere partecipi di un urlo di gioia sincero. Un ruggito che sgorga dal girone più bastardo dell’inferno ed esplode squassando le disgrazie, i pregiudizi e le rassegnazioni.
Quell’urlo di Bebe Vio, ventiquattrenne veneziana dalle palle cubiche, ha un significato profondo.
Quando ad undici anni le viene diagnosticata una meningite fulminante che la costringe per tre mesi in un letto d’ospedale lei, ragazzina dal futuro ancora da scrivere, si ritrova tradita dal suo stesso corpo. Le vengono amputate braccia e gambe.
Chiunque di noi, guardandosi allo specchio, avrebbe forse desiderato di morire. Avremmo accantonato la nostra vita come uno sbaglio, anzi una sconfitta.
Invece Bebe non si arrende. Ha una passione: la scherma, che pratica già dall’età di cinque anni.
Era brava, maledettamente brava. Se solo quella meningite non le avesse tagliato le gambe sarebbe potuta diventare una campionessa.
“Non sarei potuta diventare una campionessa. Sarò una campionessa!”, decide.
Come un supereroe i suoi arti vengono sostituiti artificialmente. La sua mano diventa un fioretto.
Lotta, si allena ogni santissimo giorno migliorando sempre di più. Partecipa ai campionati nazionali paralimpici di scherma, poi a quelli europei e mondiali, facendo sfaceli. Non molla mai, non si arrende né si arrenderà mai.
Ora torniamo a quest’ultimo urlo, probabilmente il più bello. Ecco la sua dichiarazione, dopo aver vinto l’ennesima medaglia d’oro contro la cinese Zhou, alle paralimpidi di Tokyo:
“Ad Aprile ho rischiato di morire. Ho avuto un’infezione da stafilococco che è andata molto peggio del dovuto e la prima diagnosi era amputazione entro due settimane del braccio sinistro, quello con cui gareggio, e morte entro poco. Sono felice, ecco perché ho pianto così tanto”.
Ecco cosa significava quell’urlo.
L’ennesima rivalsa contro un destino avverso e spietato che non vuole mollare il colpo.
Proviamo davvero a immedesimarci per un attimo in questa ragazza, gente.
Anche noi probabilmente piangeremmo, ma di rassegnazione. Lei di gioia, perché quello stesso destino che noi subiremmo, lei lo sconfigge ogni volta con un colpo da maestro del suo amato fioretto. Dritto al cuore.

 

Alex Rebatto

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Alex Rebatto

Alex Rebatto, classe 1979. Ha collaborato nei limiti della legalità con Renato Vallanzasca ed è stato coautore del romanzo biografico “Francis”, sulle gesta del boss della malavita Francis Turatello (Milieu editore), giunto alla quarta ristampa. Ha pubblicato il romanzo “Nonostante Tutto” che ha scalato per mesi le classifiche Amazon. Per Algama ha pubblicato il noir "2084- Qualcosa in cui credere"

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