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Il teorema degli australopitechi dell’economia

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Un taglio delle tasse è ormai indispensabile, dopo che l’Italia è precipitata agli ultimi posti mondiali per competitività. Sono così tante che agli uffici preposti sbagliano le risposte per farcele pagare…

 

 

Si stringono i tempi per la riforma fiscale. Secondo Eurispes non è «più rinviabile». E «a prescindere dal modello che si riterrà più idoneo al sistema italiano (tedesco o riduzione scaglioni attuali, o altro), appare evidente come il punto focale sia riuscire a mettere mano anche al sistema delle tax expenditures, senza il quale ogni riforma che alleggerisca la pressione fiscale non sarebbe comunque sostenibile per le casse erariali». Dunque, resta l’annoso problema: se si abbassano le tasse, come si recuperano i soldi? Abbiamo avuto all’economia stirpi di governatori, provenienti da ogni cattedra universitaria, banche d’Italia e quant’altro.

Riformare la giustizia? Una mera illusione

 

Ma il quesito resta sempre senza soluzione da decenni. E le tasse continuano a salire. L’evidenza direbbe che se io sono imprenditore e tu Stato mi dimezzi le tasse, non incasserai la metà, ma domani al posto di un imprenditore ne avrai tre disposti a investire e incasserai di più. L’evidenza dice sicuramente che se tu Stato mi alzi ancora di più le tasse, io imprenditore ho quattro sole scelte: la prima è quella di trasferirmi in un Paese dove pago meno imposte. La seconda è quella di chiudere, perché non vedo la ragione di dover rischiare del mio solo per far mangiare te. La terza è quella di sottopagare i dipendenti con stipendi da fame, magari con contratti a progetto, cococo e quante altre diavolerie esistono oggi. La quarta è quella di soffrire e lavorare il triplo solo per farti ingrassare, rischiando l’osso del collo ogni fine mese e passando regolarmente per evasore ogni volta che devo dialogare con il fisco.

Talebani d’occidente

Ecco, nell’Italia degli australopitechi dell’economia, il Paese è trainato di quest’ultima e masochistica quarta scelta. Una scelta che mantiene le poltrone di gente che decide il loro futuro. Non è populismo e non è demagogia. Come sempre citiamo numeri. Che siamo al Pleistocene dell’economia mondiale lo certifica infatti l’ultima classifica dell’Imd World Competitiveness Center, che ci ha piazzato al 44° posto su 63 paesi sulla competitività. Per quella della Banca Mondiale sui Paesi dove è più facile fare business (Doing business 2020) siamo invece al posto numero 58, che precipita al 122 se si prende in considerazione l’esecuzione dei contratti e la possibilità di farli rispettare, complice la micidiale inefficienza della giustizia civile.

A queste latitudini non c’è traccia di Occidente, non c’è vanto di Made in Italy, non c’è più traccia del Paese più bello del mondo da visitare almeno una volta nella vita. E la situazione, per via della pandemia si è fatta tragica, con i bonus e i prestiti garantiti di Stato chiesti perfino indietro da Inps ed enti garanti, con le cartelle esattoriali soltanto rinviate, con le elemosine concesse al posto degli indennizzi agli autonomi. Perché naturalmente siamo in Italia e la tragedia ha sempre qualcosa della farsa.

TOH, AVEVANO RAGIONE I COMPLOTTISTI

 

Solo che da noi la farsa raggiunge livelli di comicità inarrivabili. Lo racconta l’Osservatorio sui conti pubblici di Carlo Cottarelli, che ha contattato 105 uffici provinciali dell’Agenzia delle Entrate per porre dei quesiti su come fare delle “istanze” proprio a loro. Trattavasi di un’istanza di revisione della rendita catastale di un immobile, che puntualizza la stessa Agenzia delle Entrate sul proprio sito «si può effettuare presentando all’Ufficio provinciale un modulo compilato assieme a dati anagrafici, catastali e documentazione della differenza tra rendita effettiva e rendita catastale». La cosa grottesca? Ben 62 uffici, che coprono due terzi della popolazione, non hanno risposto o non hanno dato la risposta corretta. Insomma ci sommergono così tanto di tasse che non sanno neanche più come farcele pagare. Salvo poi, è evidente, mandarti una cartella accusandoti di evasione: una spirale infinita. Eppure non c’è più tempo per porvi rimedio.

La fotografia sugli under 35 dell’Eures è impietosa. In un sondaggio sui giovani tra i 18 e i 35 anni emerge come solo uno su 3 abbia trovato lavoro stabile a 5 anni dal completamento degli studi. Appena il 12% ha una casa di proprietà e ben 4 su 10 non hanno requisiti per chiedere un mutuo: uno su due vive ancora con i genitori, solo il 6,5% ha figli, nel timore di non poterli mantenere. Le retribuzioni? La gran parte sotto i 10mila euro annui, quasi il 24% sotto i 5mila, più della metà ha detto di aver lavorato in nero. I motivi di tali cifre, probabilmente, li abbiamo raccontati all’inizio di quest’articolo. Serve un colpo di scure netto. O lo si dà alle tasse. O lo daranno loro al destino dei nostri figli.

Dal Momento di Cronaca Vera, in edicola il 25 maggio 2021

 

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