Una versione inedita di un connubio classico: Sherlock Holmes e Jack lo Squartatore. Dalla vera storia del serial killer più famoso di sempre l’ultimo thriller di Rino Casazza, ora in edicola e in ebook
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Sherlock Holmes fa la sua comparsa nella storia della letteratura col romanzo “Uno studio in rosso”, pubblicato nel 1887. Il creatore del personaggio, Arthur Conan Doyle, era nato nel 1859, e morì nel 1930.
L’epopea sanguinaria di “Jack The Ripper”, in italiano “Jack lo Squartatore”, si consuma tra il 31 agosto del 1888 (uccisione di Mary Ann Nichols) e il 9 novembre dello stesso anno ( uccisione di Mary Jane Kelly).
Queste date giustificano una domanda: come mai Doyle non scrisse una storia in cui il suo investigatore privato, divenuto velocemente popolarissimo anche al di fuori dell’ambito letterario, si cimentasse a scoprire l’identità e catturare il più famigerato e universalmente conosciuto assassino della cronaca nera?
Ho detto assassino, ma in realtà l’importanza di questo criminale sta nel fatto che è il primo “assassino seriale” ( serial killer secondo la dizione inglese divenuta universale) di cui si ha notizia nell’epoca moderna. Di eventuali altri maniaci con le sue stesse caratteristiche in epoche precedenti non si ha testimonianza certa, anche se è probabilissimo ce ne siano stati.
La “fortuna” di Jack lo Squartatore sta nel fatto che colpisce nel momento in cui inizia a diffondersi la comunicazione popolare di massa, rappresentata dai molti quotidiani ad alta tiratura e distribuzione capillare che sorgono nell’ultimo ventennio del 1800 a Londra, al tempo indiscussa capitale politica ed economica del mondo occidentale.
Impossibile, quindi, che Doyle, tra l’altro anche collaboratore giornalistico, non abbia conosciuto e non si sia appassionato, come l’Inghilterra ed anzi l’Europa intera, al mistero del personaggio senza volto e senza nome che in due mesi scarsi ha terrorizzato i sobborghi popolari di Londra, e suscitato lo sdegno di un’intera città, infierendo, nel modo barbaro indicato dal suo soprannome, su cinque prostitute di strada.
Si dirà che la materia dei delitti di “Jack”, per la sua intollerabile crudezza, mal si prestava al genere poliziesco delle origini, in cui il gioco intellettuale della caccia al colpevole prevaleva sugli aspetti impietosi della violenza omicida.
La spiegazione calza, ma la vicenda di “Jack” aveva, ed ha continuato ad avere, un altro potente risvolto: l’enigma sull’identità del crudele massacratore dell’East End, che porta con sé l’irrisolta domanda sul perché lo facesse e soprattutto su come ci riuscisse impunemente. Dopo il suo primo delitto, infatti, l’opinione pubblica londinese fu messa in allarme, e la polizia, incalzata dalla stampa, costretta a dedicarsi in forze alla caccia dell’assassino.
Se a Doyle, e al suo investigatore, indubbiamente lo “splatter” non doveva piacere, la risoluzione di un enigma di quella portata non poteva che attirare entrambi…
Il binomio Holmes/Squartatore ha avuto una grande fortuna, invece, quando, scomparso Doyle e scaduti i diritti d’autore, la letteratura e il cinema hanno potuto donare al detective una particolare forma di immortalità, facendolo rivivere in un numero ormai incalcolabile di storie “apocrife” che il suo autore non aveva mai narrato, ma avrebbero potuto legittimamente vederlo come protagonista.
Ad oggi non è possibile stabilire quanti “apocrifi”, letterari e cinematografici, mettono Sherlock Holmes alle prese con Jack lo Squartatore. Basti soltanto dire che esiste addirittura un gioco di avventura grafica intitolato Sherlock Holmes contro Jack lo Squartatore.
L’esempio più celebre di apocrifo, per dir così, ” holmes-ripperiano” è senz’altro il romanzo di Ellery Queen “A study in terror” nella versione italiana Uno studio in nero, in cui il conosciuto detective newyorkese si imbatte in un diario segreto del dottor Watson che racconta, appunto, di come lui e il suo amico si fossero dedicati alla caccia del noto serial killer. Ellery, a distanza di un secolo, riesamina l’indagine e ne fornisce una diversa soluzione.
Del romanzo citato esiste anche una pregevole versione cinematografica con titolo inglese identico, tradotto nella versione doppiata in italiano Sherlock Holmes: notti di terrore.
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Sherlock Holmes, Auguste Dupin e la verità sullo Squartatore, in edicola e i ebook questo mese per I gialli di Crimen
pur inserendosi nel filone “holmes-ripperiano” ha la particolarità, per così dire, di raddoppiare. Ad affiancare Holmes nell’indagine sui delitti di “Jack”, è Auguste Dupin, il personaggio di E.A.Poe che deve a buon diritto considerarsi precursore e maestro del detective di Doyle.
Una collaborazione possibile, anche se difficile per l’ego ingombrante dei due investigatori, poiché Dupin nel 1888, prossimo alla pensione, doveva avere una settantina d’anni mentre Holmes, agli inizi della carriera, una trentina.
E’ ovvio che l’incontro tra due simili autorità nel campo della detection alza il livello dell’inchiesta, ponendo le basi -come appare chiaro nell’estratto che segue, tratto dal romanzo – per una “teoria degli assassini seriali”.
“Sherlock Holmes, Auguste Dupin e la verità sullo squartatore” ha un’altra particolarità, resa possibile dall’esistenza di di un libro inchiesta completo e documentato sul caso dello squartatore: Lettere dall’inferno: la vera storia di Jack lo Squartatore, di Gian Luca Margheriti.
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La storia è evidentemente d’invenzione, avendo come protagonisti personaggi immaginari, ma la cronologia dei delitti di Jack e tutti gli elementi di fatto (comprese testimonianze, descrizione dei luoghi ed esami autoptici) che li caratterizzano sono tratti dalle cronache del tempo come puntualmente riportate nel libro di Margheriti.
E’ la regola cui mi sono attenuto tutte le volte che ho “ricamato” di fantasia su vere vicende criminali, come ad esempio il caso del Mostro di Firenze o quello del Mostro di Sarzana.
Giorgio Vizzardelli, storia del serial killer bambino – VIDEO
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Sherlock Holmes, Auguste Dupin e la verità sullo Squartatore, un capitolo in esclusiva
Nuovo tipo di delinquenteLondra, 221/B di Baker Street, 7 settembre 1888, mattino.«Non avevo dubbi che ci saremmo intesi, mio giovane collega.» si rallegrò il Cavaliere. «L’illustre storico cinese sostiene che Liu Pengli uccideva “per puro divertimento”.»«Tuttavia, vero?,» completò il discorso Holmes «non è da prendere in considerazione che l’accoltellatore di Whitechapel abbia il “passatempo” di pugnalare a morte le sue vittime. Liu Pengli poteva permetterselo, essendo nella comoda posizione di capo della forza pubblica chiamata a contrastare le sue malefatte, ma il nostro ipotetico Pengli londinese no. Deve fare i conti con l’agguerrito servizio di polizia della capitale, particolarmente attivo nell’East End. Se non procura di agire con accortezza, senza commettere errori, rischia di finire in men che non si dica sulla forca.»«Aggiungerei un altro fattore di stress, per lui: dover agire nella città dove vive e opera il più rinomato cacciatore di delinquenti.»Holmes era certo che il Cavaliere avesse scelto a ragion veduta l’aggettivo “rinomato” in luogo di “valente”. Non c’erano dubbi che Dupin lo considerasse, nell’ ipotesi più favorevole, al secondo posto nella graduatoria dei migliori detective . Ma non era il momento per riaprire la polemica. «Mi chiedo, dunque, quale sia secondo lei» proseguì« il tratto in comune tra l’accoltellatore di Whitechapel e…»«”Squartatore”» lo interruppe Dupin.«Prego?»«Il delitto dell’altra notte, ed anche l’altro all’inizio agosto di cui non abbiamo ancora parlato, rendono più appropriato il termine “squartatore”. Si può a buon diritto sostenere che nell’uso del coltello da parte dell’assassino c’è un’escalation: non si accontenta più di trafiggere ma vuole mutilare.»«Come preferisce.» concesse Holmes.«Non la consideri una sottigliezza, mio giovane collega: mettere a fuoco il modus operandi del nostro “Liu Pengli londinese”, per usare il suggestivo soprannome da lei coniato, può aiutare molto a identificarlo, ma ci torneremo…»«Certo… Che stavo dicendo? Ah, già: la somiglianza tra l’accoltellatore, ovvero lo “squartatore”, di Whitechapel e il principe sanguinario del “Divino Impero”… Se ho ben capito entrambi hanno una motivazione al delitto non utilitaristica.»«Ben detto! I criminali, non diversamente dagli uomini onesti, perseguono un tornaconto, economico o morale. La differenza sta nel fatto che mentre gli uomini onesti si astengono, per raggiungerlo, da mezzi illeciti, i criminali non si fanno scrupolo di ricorrervi.»«Voglio seguirla nel ragionamento. Conosciamo il movente non utilitaristico del tenebroso Liu Pengli dagli scritti di Sima Quiang: il diletto di uccidere. Quale sarebbe quello del nostro ipotetico “squartatore”?»«Suppongo conosca gli studi di Wilhelm Griesinger.»Holmes non poté nascondere il proprio fastidio. Non gli piaceva lo sfoggio di erudizione da parte di Dupin. Non aveva difficoltà ad ammettere che la cultura del Cavaliere era più ampia della sua. Il suo interlocutore era un raffinato intellettuale dai vasti interessi. Alla detection era arrivato da cultore della logica filosofica. L’ approccio di Holmes alle indagini criminali era molto più pratico. S’era accorto che il suo eccezionale spirito di osservazione, unito ad un’intelligenza acuta, potevano servire a colmare le lacune nell’azione della polizia, troppo spesso incapace di venire a capo dei delitti più misteriosi. Aggiungendo a questo la sua enorme curiosità per i fatti della vita, specie se difficili da interpretare, il passo di occuparsi professionalmente di detection era stato breve.Il suo background teorico, al contrario di quello del Cavaliere, non era sistematico ma strettamente funzionale al mestiere scelto. Il suo amico Watson diceva il vero nel sostenere che lui era esperto in due sole materie: la chimica e la storia della cronaca nera.Proprio per questo, l’accenno di Dupin a Griesingier, che sapeva essere un insigne neurologo e alienista tedesco, l’aveva irritato. Di nuovo Dupin indovinò i suoi pensieri: «Non tema: non voglio farle una colpa se è digiuno dei più recenti studi sulle cosiddette “malattie mentali”. In realtà fa bene a trascurarli. È una branca dello scibile ancora lontana da una solida base scientifica, cui siamo entrambi affezionati.»«Tuttavia, se vi ha fatto riferimento una ragione dev’esserci.»«Questo è altrettanto vero. Sappia allora che Griesingier, nel suo saggio “Patologia e terapia delle malattie psichiche”, edito ormai una quarantina di anni fa, è convinto sostenitore di una relazione stretta tra cervello e patologie mentali, rifiutando così le conclusioni del movimento dei cosiddetti “Psychiker”, secondo cui i pazzi sono afflitti da una “malattia dell’anima”, conseguenza di qualche colpa morale. Come certo avrà intuito Griesingier ha aperto un mondo. Innumerevoli e imprevedibili, infatti, possono essere i modi d’ammalarsi del cervello umano. E non serve a nulla cercare di ricondurre l’infermo sulla retta via poiché le cause del suo squilibrio affondano nello stato del suo sistema neurologico. Spesso, ce lo dice chiaramente lo studioso di Stoccarda, addirittura si celano nell’enigmatico, e ancora inesplorato, “inconscio” umano.»«Sarà, ma tutte le volte che mi sono imbattuto nelle azioni criminali di un pazzo, non ho tardato ad accorgermene. Ed è stato facile individuarlo e fermarlo per la sua incapacità a mettere in atto una valida strategia di dissimulazione. Attualmente, non appena mi accorgo che in un caso c’è la mano di un matto, rifiuto l’incarico. Non credo sia il giusto pane per i miei denti. La mia logica sarebbe sprecata contro un avversario illogico.»«Come smentire le sue sagge parole? Resta il fatto che nell’infinita varietà dei disturbi mentali, dovuta alla complessità dell’ “encefalo” umano, possano darsi casi di malattia psichica compatibili con una piena razionalità. In altre parole non si può escludere che esistano matti raziocinanti, la cui tara psichiatrica, anche grave, non ne intacca l’intelligenza. A parte la distorsione che li induce a delinquere, per il resto sono lucidi e determinati a sottrarsi alla giustizia.»«Deduco che Liu Pengli appartenga a questa categoria.»«Esatto. Spero che lo spirito del professor Griesingier non se n’abbia male se invado con una certa presunzione il suo campo, ma credo che Liu Pengli si presti ad essere “tipizzato” dal punto di vista psichiatrico, e investigativo, come “tueur répétitif”»«“Tueur répétitif”? Nella mia lingua suonerebbe…»«”Serial killer”» gli tolse la parola di bocca Dupin.Rino CasazzaGuarda gli ultimi libri di Rino Casazza – QUI