Era un periodo buio per lei. Si muoveva a fatica e spesso si appisolava sulla poltrona di vimini in cucina. Mangiava sempre meno, perdeva peso a vista d’occhio e relazionarsi con lei era diventato un problema.
Io e Cash, talvolta, ci avvicinavamo cercando di comprendere quale fosse il suo problema.
Lei fissava i miei baffi e mi allontanava con un gesto repentino. Spazientito.
Non aveva voglia di compagnia.
Non aveva voglia di sentirsi compatita.
Ormai si affacciava alle giornate solo dedicando qualche minuto agli Intrusi. Li sfiorava, cercando quel conforto che non riusciva più a trovare nel silenzio della notte.
Talvolta, con una certa fatica, dondolava sulle scale fino al giardino, si rifugiava all’oscuro e aspettava.
Gli Intrusi cercavano di convincerla a rientrare.
“Fa freddo”, le dicevano. “Vieni dentro, ti prego.”
Lei li ignorava, diventando sempre più piccola.
Non voleva che soffrissero, che la vedessero in quello stato.
Non voleva nessuno accanto mentre, da sola, sapeva di dover affrontare l’ultimo miglio.
Quando io e Cash quella notte ci svegliammo affamati e scendemmo le scale in silenzio per non svegliare gli altri, la trovammo distesa sotto il tavolo che annaspava.
Ci avvicinammo titubanti.
Avevamo paura che gli Intrusi si svegliassero, che assistessero a quell’ultima dolorosa agonia.
Lei ci guardò, incapace di reagire, e provò a dire ancora qualcosa.
Pensammo ci volesse costringere a levarci di torno.
Era il suo momento. Era il buio che la circondava regalandole in premio una tregua a quel dolore che da tempo la tormentava.
Cash mi guardo e capii, per la prima volta, quanto avesse finto il suo disinteresse.
Era distrutto, mortificato. Non aveva più il coraggio di fare il pagliaccio come suo solito.
Ci stringemmo tutti e tre in un ultimo definitivo abbraccio mentre l’aria nei polmoni della nostra vecchia amica si consumava per sempre.
Ci girammo dall’altra parte, codardi, quando i suoi occhi si spalancarono e la bocca si aprì in un ultimo solenne sorriso sardonico.
Ci eravamo rifugiati a letto, inabili al sonno, quando sentimmo i passi dell’Intruso scendere le scale poco dopo il sorgere del sole.
La solita macchinetta del caffè non entrava in funzione. Solo dei minuti di attesa interrotti dal battito dei nostri secchi cuori che scandivano il dolore che stava per sfoderare la propria infamia.
Udimmo di nuovo dei passi, questa volta più vicini, e la Sua voce spezzata che annunciava all’Intrusa la notizia.
Poi non la rivedemmo più.
La poltrona di vimini in cucina, ora, resta disabitata. L’impronta del suo ricordo echeggia ancora tra queste mura. Una delle due lettiere è stata deposta in cantina, le ciotole si sono ridotte.
Io e Cash alterniamo le fusa, nonostante tutto.
Alex Rebatto