Così il politicamente corretto sta distruggendo cultura, storia, letteratura, cinema. E, soprattutto, la libertà di parola.
Lo chiamano politicamente corretto. Ma somiglia a qualcosa di diverso. Si comincia dalle cose superficiali, come l’estetica: se una modella che fa della bellezza il proprio lavoro è brutta, oggi non puoi più dirlo, perché fai body shaming. E bisogna uniformarsi. Va bene. Però ti vogliono anche obbligare a dire che il suo sia un nuovo canone di bellezza. E non è la stessa cosa. Da qui allo spettacolo il passo è breve: Gerry Scotti e Michelle Hunziker fanno un’innocente gag in tv sui cinesi con gli occhi a mandorla, come ce ne sono a milioni sugli italiani pizza e mandolino. Apriti cielo. Sono costretti a scusarsi dopo le accuse di razzismo e migliaia di insulti e minacce di morte ricevute in Rete. Va bene. Però ai tempi della strage di Charlie Hebdo era un unanime “siamo tutti Charlie”. Non era una difesa del diritto di satira? Costringere alle scuse i due conduttori e minacciarli di morte è molto diverso dall’atteggiamento degli integralisti islamici?
Andiamo avanti, perché queste sono solo gocce nell’oceano. In Italia hanno appena abolito la censura cinematografica. Ma tanto non serve più: da anni il cinema si censura da solo, sempre in nome del politicamente corretto, anche guardandosi indietro. Si comincia fin da piccoli, con la Disney in America che bolla alcune pellicole a +7 anni perché possono risultare discriminatorie. Al centro dell’attenzione Dumbo, Peter Pan, Lilli e il Vagabondo, Il libro della giungla, Gli Aristogatti: film di settant’anni fa. Casomai si fa un remake dove in Dumbo non si fuma più e non ci sono i corvi che parlano con accento afroamericano. Non sarebbe politicamente corretto. Va bene, ma non staranno esagerando? Poi si passa ai classici del cinema e della letteratura. “Via col vento” è stato bandito da HBO per razzismo. Razzista anche Mark Twain con “Le avventure di Huckleberry Finn”, rimosso dalle scuole del New Jersey. In Francia il capolavoro di Agatha Christie “Dieci piccoli negretti” era diventato come da noi “Dieci piccoli indiani”. Ma hanno sentito il bisogno di essere ancora più corretti: ora si chiama “Erano in dieci”. Va bene, ma comincia a suonare ridicolo.
E ci spostiamo alla storia. Alla Howard University hanno cancellato gli studi classici perché Omero e Cicerone sono considerati nientemeno che suprematisti della razza bianca. E siamo all’assurdo: il politicamente corretto non si può applicare al passato, è una cosa folle. Eppure, proprio nel nome del politicamente corretto in America hanno anche abbattuto le statue di Cristoforo Colombo. E pensandoci bene non è più molto diverso da quanto fecero i Talebani con le statue di Buddha in Afghanistan: rimuovere la storia perché non si identifica più con la propria cultura. I pilastri della democrazia sono così diventati Talebani d’Occidente: nel linguaggio, nell’arte, negli studi. L’opinione diversa viene zittita come politicamente scorretta. Oppure bollata come fake news. Già, perché il politicamente corretto si applica oggi soprattutto alla libertà di parola.
Bonus e incentivi: attenti a chiederli. Li vorranno indietro
Era iniziata come battaglia contro le fake news in Rete, battaglia che definimmo da subito idiota. Idiota e pericolosa, perché se si affida a qualcuno il potere di stabilire quale opinione sia giusta e quale sbagliata, la libertà scompare e internet, che dovrebbe rappresentarne la massima espressione, perde tutto il suo significato. Così in epoca di Covid tale battaglia si sta rivelando un’arma contro tutte quelle voci dissonanti che cercano di far luce sull’origine e sulla gestione della pandemia da parte delle istituzioni. Anche e soprattutto in Italia. L’ultimo a farne le spese è stato Leonardo Facco, fondatore del Movimento Libertario, tra i primi ad evidenziare come l’altissimo numero di morti in Italia fosse da imputare alla raccomandazione ministeriale di non fare le autopsie: solo grazie a queste si è infatti scoperto come tanti malati di Covid siano deceduti non a causa del virus, ma per via dei trombi. Bene. Youtube, che non è un editore ma una piattaforma di condivisione, gli ha cancellato comunque il canale dopo aver rimosso il suo ultimo video perché “i tuoi contenuti violano le norme sulla disinformazione in ambito medico”. Davvero? Sono andato a guardarmi le norme del social. C’è scritto così: “YouTube non tollera contenuti che diffondano disinformazione in ambito medico, in contraddizione con le informazioni fornite sul COVID-19 dalle autorità sanitarie locali o dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)”.
Quindi è vietato dissentire da quanto stabiliscono i governi o l’OMS. Come nel regime cinese. Peccato che questa dovrebbe essere una democrazia. E peccato che gli unici ad essersela cavata sulla pandemia siano proprio quelli che l’OMS non l’hanno ascoltata. Come Taiwan che, con quasi 24 milioni di abitanti dall’inizio della pandemia ha avuto solo undici morti. Ecco, il punto è questo: a furia di uniformare tutto, opinioni, storia, arte e anche le libertà, rischiamo di finire uniformati nel nome del politicamente corretto. Di solito il colore di quell’uniforme è il nero. E con la verità non ha nulla da spartire.
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