Ve la ricordate l’ormai celeberrima frase dell’ex ministro dell’economia Roberto Gualtieri? Era l’11 marzo, l’Italia era appena stata chiusa per lockdown e, nonostante fosse evidente a chiunque lo sfascio cui si andava incontro, lui azzardò una previsione lungimirante: «Nessuno perderà il lavoro». Bene, secondo l’Istat ad oggi i posti occupazionali persi rispetto a febbraio 2020 sono 945mila, di ogni classe d’età, 355mila dei quali autonomi e 590mila dipendenti.
Ma non basta. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che il nostro tasso di disoccupazione continuerà a salire, fino all’11,6% nel 2022, ovvero il triplo previsto per la Germania. Strano davvero che non abbiano inciso sulla ripresa le brillanti politiche sui vari bonus, dai monopattini alla lotteria del cashback fino ai “cospicui” aiuti governativi: dai 600 euro dell’Inps ai mille euro a fondo perduto per chi è stato devastato dai Dpcm. Eppure, ragionavano Lorsignori, con quei soldi gli italiani si sarebbero dovuti sentire gaudenti e risarciti. Non è andata così. E, come avevamo avvertito per tempo, sono ricominciate le proteste di ambulanti e ristoratori, che si moltiplicano in tutto il Paese al grido di «Chiediamo solo di lavorare». Esempi di dignità che a Palazzo non si sono mai sognati.
Bonus e incentivi: attenti a chiederli. Li vorranno indietro
Non a caso chi lotta per sopravvivere, improvvisandosi personal trainer, barbiere o estetista a domicilio – ovvero facendo a casa ciò che prima faceva in palestra o in bottega – al solo scopo di sfamare la propria famiglia, viene definito senza vergogna “furbetto del Covid”. A giudizio dei soloni di Stato, costoro dovrebbero accontentarsi dell’elemosina governativa da usare, evidentemente, per pagare le cartelle esattoriali, dato che, ennesima farsa, è stata spacciata per pace fiscale la cancellazione di crediti inesigibili. D’altra parte quello che un tempo era il partito dei lavoratori, vede oggi come prioritario lo ius soli o la legge sull’omotransfobia. Non ne discutiamo i principi, ma ritenerne la calendarizzazione immediata a fronte di italiani ormai alla fame, ci pare semplicemente lunare.
Come tirare a campare, allora? Forse togliendosi di dosso la nomea di “furbetti del Covid” e provando un concorso pubblico nel Lazio, lasciando così che a pagarvi sia lo Stato. Il Giornale l’ha ribattezzata la “Stipendiopoli del Pd” e il giornalista Giuseppe Marino la racconta così: «Il trucco è chiaro nella sua semplicità: un piccolo Comune bandisce un concorso. Partecipano in massa eletti, militanti e portaborse di un partito, ma non ci può essere posto per tutti in un Comune che non arriva a quattromila abitanti. Fa niente: in questo caso, davvero, l’importante è partecipare (e risultare idonei). Pochi giorni dopo la pubblicazione della graduatoria, altri enti, casualmente, decidono di assumere sfruttando la norma che consente di ricorrere alla graduatoria dell’ultimo bando di concorso dello stesso territorio. E il gioco è fatto. Alla Regione Lazio ormai lo chiamano tutti “concorso dei miracoli”: l’esame che ha moltiplicato i pregiati posti di lavoro pubblico a tempo indeterminato e ne ha distribuiti almeno 24, in gran parte tra chi ha la tessera del Pd. Fino a prova contraria, in modo del tutto legale». La vicenda ha già provocato le dimissioni del presidente del consiglio regionale del Lazio Mauro Buschini, che si è difeso così: «Ho sempre lavorato nel pieno rispetto della legge, delle istituzioni e nella massima trasparenza».
Ma se non vi va di cimentarvi in un concorso pubblico, per rimettervi in piedi potreste provare sul mercato asiatico. Secondo il politologo Edward Luttwak «la penetrazione cinese in Italia è considerevole, senza precedenti. Ci sono ministri, sottosegretari sull’elenco della Città Proibita. Di questo sì, dovreste preoccuparvi». In effetti 210 dei nuovi 660 miliardari registrati da Forbes sono cinesi. Già, perché non proprio tutti si sono impoveriti a causa del Covid. Nella classifica che vede i ricchi sempre più ricchi (sono 2755 i miliardari) al primo posto, con 177 miliardi, c’è Jeff Bezos, il fondatore di Amazon, una società che in America ha appena ammesso che talvolta, dati i ritmi di lavoro, i loro autisti sono costretti a fare pipì nelle bottiglie di plastica. Succede, anche se succedeva di più decenni (parecchi decenni) fa.
Ma come si arriva ad essere tanto ricchi? A ottobre il centro studi di Mediobanca fece i conti in tasca ai colossi del web. Emerse, riportava Il Fatto Quotidiano, che Amazon avesse pagato in Italia tasse per 10,9 milioni a fronte di un fatturato di 1 miliardo. Google aveva versato all’erario 5,7 milioni, Facebook 2,3 milioni e Netflix la bellezza di 6mila euro. Tutti avevano infatti scelto per il fisco Paesi con un prelievo bassissimo. Ma questo non preoccupa i nostri governanti. Meglio dare dei “furbetti del Covid” agli italiani che tentano ancora di mettere insieme il pranzo con la cena. Meglio strozzare un parrucchiere, mandare sul lastrico un barista, tassare fino allo stremo i poveri, così i ricchi non piangono. Come in “Ho visto un re!”, famosissimo brano musicale di Enzo Jannacci, Dario Fo e Paolo Ciarchi. Solo che qui nessuno ha più voglia di cantare.
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