L’evidenza dei dati statistici ufficiali dimostra che la sars covid 2, la malattia provocata dal virus covid 19, ha sia una letalità che una mortalità non particolarmente elevate.
Una breve spiegazione di questi due concetti.
Per letalità di una malattia si intende la percentuale di persone che, contraendola, muoiono.
Per mortalità di una malattia, si intende la percentuale di persone che, sul totale dei deceduti a qualsiasi titolo, muoiono per quella malattia.
A fine settembre,( faremo più avanti un discorso sull’andamento nel tempo di questo dato, da febbraio sino ad oggi) la letalità del covid 19, (leggi per esempio questo articolo di Quotidiano Sanità), è pari, all’11,5%.
Undici persone morte su cento non sono poche, ma basta leggere la graduatoria di letalità delle malattie, pubblicata su Wikipedia per accorgersi che ci sono ci sono patologie molto più funeste, per fare un esempio recente, la Mers covid 2, per la quale morivano ben 35 persone su 100.
Per quanto riguarda la mortalità del covid 19 il virologo emerito Giorgio Palù, uno dei maggiori esperti italiani in materia, indica un tasso oscillante tra il 3 e il 6 % che non fa certamente della sars covid 2 una delle cause di morte più diffuse nell’attuale momento storico.
A ciò deve aggiungersi una importante considerazione, suffragata dai dati. Recentemente, il prof. Bernabei, geriatra del Policlinico Gemelli , in questa intervista, ha evidenziato come, secondo le tabelle dell’Istituto Superiore di Sanità, la pressoché totalità dei deceduti per covid 19 sia costituita da pazienti over 80 che soffrivano di almeno altre tre serie patologie.
A tal proposito giova sottolineare che un post di Manuel Montero, pubblicato su Fronte del Blog il 1 novembre, aveva già messo in evidenza che le statistiche ufficiali mostravano chiaramente questa situazione.
E veniamo all’andamento dell’ indice di letalità. Il già citato articolo di Quotidiano sanità ( vedi sopra) sottolinea che a fine settembre, durante la seconda ondata, esso risulta inferiore di 3 punti rispetto a quello registrato durante la prima ondata (fino al 15 giugno),
Da questo complesso di dati si deve dedurre che l’epidemia da covid 19 sta suscitando un’allarme sproporzionato rispetto alla sua gravità, visto che , per combatterla efficacemente, sembrerebbe sufficiente, come molti indicano, aumentare la protezione degli unici che, dati alla mano, per età e comorbilità, rischiano di morirne?
Le cose, purtroppo, non sono così semplici.
Bisogna infatti fare i conti con la caratteristica veramente maligna del covid 19, ovvero la sua elevata rapidità di circolazione.
Si può tranquillamente dire che sotto questo profilo il virus sia unico nella storia delle malattie infettive. In un post apparso su questo Magazine il 21 aprile scorso, abbiamo riportato l’opinione di un esperto di virus informatici, il quale sostiene che il covid 19 è il primo virus naturale che si propaga con una rapidità paragonabile a quella, per antonomasia “supersonica”, dei virus digitali.
Il covid 19, insomma, e lo vediamo dal resoconto giornaliero che ci viene fornito dalle autorità sanitarie, ha la tendenza ad accelerare, in brevissimo tempo, il proprio c.d. indice r con 0 ( o r con t) , ovvero il numero di riproduzione di base.
Questo indicatore misura a quante persone mediamente un contagiato trasferisce il contagio. Non c’è bisogno di spiegare quanto sia pericoloso l’effetto di moltiplicazione insito in questo fenomeno, poiché a sua volta ogni nuovo contagiato infetta altre persone, e così via, in una catena inarrestabile.
Recenti studi, ad esempio questo, hanno dimostrato che il covid 19, in determinati contesti, ovvero luoghi chiusi e affollati, diventa molto più contagioso perché aggiunge alla modalità di diffusione usuale, attraverso “droplets”, goccioline di respiro che cadono a terra nel raggio di un metro, un’altra maggiormente pervasiva, attraverso areosol, ovvero goccioline di respiro più leggere che rimangono sospese in aria, finendo per saturare l’ambiente.
Fortunatamente, è ormai universalmente noto, e lo ribadisce il già citato virologo Giorgio Palù, per esempio qui, che ben il 95% degli infettati si rivela asintomatico, ovvero ha in corpo il covid 19 senza che la propria salute ne sia compromessa, anche se è di oggi l’avvertimento dell’immunologo Roberto Burioni, secondo cui il contagio, anche nella forma asintomatica, avrebbe qualche effetto dannoso sull’organismo umano.
Tutto bene, dunque?
Niente affatto.
Se, come è avvenuto in Italia nel mese di febbraio, e probabilmente anche di gennaio, si lascia liberamente circolare il virus, la sua progressiva crescita, tendente a raggiungere in breve un trend esponenziale, farà sì che quel 5 per cento che si ammala con sintomi aumenti fino a raggiungere, in numero assoluto, una dimensione tale da eccedere la capienza delle strutture sanitarie.
La rete sanitaria, insomma, entra in crisi sotto due aspetti:
-non si possono trattare tutti i malati di covid che necessitano di ospedalizzazione, una parte rilevante dei quali con ricorso alla terapia intensiva. Ricordiamo la denuncia shock pubblicata su questo Magazine in cui si dava conto che, in Italia, nelle zone dove l’epidemia infuriava, i medici applicavano i criteri della c.d. “medicina delle catastrofi”, ovvero sceglievano quali pazienti curare e quali lasciare al proprio destino.
–essendo le risorse sanitarie abnormemente assorbite per fronteggiare l’ondata di malati di covid 19, non si possono trattare adeguatamente le persone affette da patologie non covid, che sono nella maggioranza dei casi ancora più letali del nuovo virus. Alla letalità diretta del covid 19 può, insomma, aggiungersene una indiretta.
Questa situazione è drammaticamente esplosa nello scorso marzo.
Ricordiamo che all’epoca, Fronte del Blog è stato tra i primi a denunciare il grave rischio che stavamo correndo, soprattutto in Lombardia e nella provincia di Bergamo dove, stando all’allarme lanciato da un luminare della virologia, Robert Gallo, leggi qui il post, il virus manifestava i suoi effetti devastanti, anche in termini di letalità, molto più che nelle altre parti del mondo.
A tal proposito, non pare azzardato ipotizzare che la particolare durezza del contagio in quelle zone dipendesse dal fatto che, per l’ alta densità abitativa e/o i massicci spostamenti su mezzi pubblici ( ricordiamo che nella martoriata val Seriana è attiva una affollata linea di “metrò leggero”), si siano verificati più che altrove casi di propagazione del virus attraverso areosol.
Bisogna tuttavia dire, con altrettanta chiarezza, che attualmente siamo lontani da un allarmante stress del sistema sanitario come quello verificatosi nello scorso fine inverno e inizio di primavera.
Innanzitutto, il livello dell’indice “r con t” non ha ancora raggiunto i livelli di allora, leggi per esempio qui e il diminuito indice di letalità ( vedi sopra) prova che, pur in assenza del rimedio risolutivo del vaccino, c’è stato un significativo miglioramento delle terapie.
Per quanto riguarda l’intasamento attuale delle strutture sanitarie , rimandiamo a questo post, in cui si documenta che l’affollamento dei pronto Soccorso in Lombardia è dovuto in larga misura a pazienti con sintomi non gravi, indotti a richiedere il ricovero per timore dell’aggravarsi della malattia.
D’altro canto non può nemmeno negarsi che l’innalzamento dell’indice di propagazione del virus e il graduale aumento del tasso di occupazione dei posti di rianimazione da parte di pazienti covid, dati entrambi obiettivamente evidenti, impone di adottare contromisure serie e tempestive per evitare che la situazione peggiori di nuovo pericolosamente.
Purtroppo, l’unica arma sicura contro un virus subdolo come il covid 19 consiste, allo stato, nel fargli intorno terra bruciata, ovvero limitare la circolazione delle persone, che accresce le occasioni di contatto ravvicinato consentendo al “nemico invisibile” di passare più facilmente dall’uno all’altro.
Il lockdown insomma.
Una “medicina” che, tuttavia, deve essere somministrata in un dosaggio oculato, per i suoi pesanti effetti collaterali, non solo strettamente finanziari.
Come sottolineato in questo post, che inquadra il contagio da covid 19 nei fenomeni “sindemici”, caratterizzati dall’azione combinata di un egente infettivo, altre malattie non trasmissibili e fattori di disuguaglianza, creare sacche di disagio sociale e impoverimento con la chiusura delle attività economiche, rischia di favorire la circolazione del virus.
E’ questa la ragione per lui la proposta, in sé ragionevole, di salvaguardare solamente la popolazione anziana con altre patologie pericolose, senza disporre il fermo generalizzato delle attività economiche, appare impraticabile: se il virus continua a girare vorticosamente tra la gente più giovane, sarà possibile isolare e assistere gli anziani a rischio presso il loro domicilio soltanto in contesti contraddistinti da un benessere diffuso e condizioni abitative e familiari favorevoli.