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Pronto Soccorso milanesi al collasso? Ecco le sale d’attesa nel giorno dei contagi record

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Ha suscitato innumerevoli polemiche il post sui pronto soccorso lombardi. Quali sono i tempi di attesa reali? Ecco cosa indicano gli stessi Ps il giorno in cui si sono verificati i contagi record di Milano…

 

Di Manuel Montero

Facciamo una premessa. Mentre a febbraio gli esperti ritenevano inutili le mascherine e molti di loro parlavano del Covid come una semplice influenza, su questo sito veniva denunciato come gli studi cinesi sostenessero esattamente l’opposto (GUARDA) e come gli ospedali lombardi fossero sguarniti di dispositivi di protezione (GUARDA). Per primi invitavamo a non ascoltare i politici e gli scienziati italiani e a dar retta al virologo americano Robert Gallo, l’unico che dicesse che di questo virus non ne sapevamo nulla e che la mortalità in Italia fosse più alta (GUARDA). Abbiamo pubblicato i documenti choc sulla medicina delle catastrofi (GUARDA) e raccontato nel dettaglio la tragedia vissuta in Lombardia (GUARDA).

Sicché a nessuno venga in mente di appellarci come negazionisti. Detto questo, non possiamo non evidenziare le troppe cose che non tornano. A partire dalla leggenda sul mercato di animali vivi di Wuhan, da cui è impossibile sia sorto il virus (GUARDA), nonostante continuino a raccontarcela in questa maniera.

Molte polemiche ha suscitato il post sui Pronto Soccorso lombardi, mostrati come tutt’altro che al collasso, diversamente da come viene universalmente narrato. Qualcuno ci ha accusato nientemeno che di negazionismo perché abbiamo raccontato una realtà che cozza con quelle fornita dalle versioni televisive.
E questo, nonostante, all’interno del post (GUARDA), ci fosse il video del responsabile del Pronto Soccorso di Varese che parlava di «situazione intermedia», il video del responsabile del Pronto Soccorso di Sondalo che non evidenziava alcun “collasso” in corso, il video girato al Pronto Soccorso di Treviglio, tra i cuori pulsanti della pandemia primaverile, che illustrava ben altra situazione rispetto all’allarmismo.
Riportavamo stralci di interviste al Corriere della Sera di due primari dell’ospedale di Bergamo che descrivevano tutt’altra situazione rispetto a marzo.
Tutto, insomma, portava in direzione opposta al “collasso” dei Pronto Soccorso, perfino chi dentro i Pronto Soccorso ci lavora.

IL CASO MILANO

L’attenzione si è però focalizzata su Milano.
A nulla è servito riportare quanto sosteneva il sindaco Beppe Sala sul fatto che i numeri fossero lontani dal “collasso” nei Pronto Soccorso. E non si capisce perché dovesse mentire.
A nulla è servito riportare la singolare discrasia tra il primario del Sacco Massimo Galli, che parlava di una situazione tale da portare presto ad una nuova chiusura totale, e il primario del San Raffaele Alberto Zangrillo, che illustrava una situazione sotto controllo in cui almeno la metà degli accessi ai pronto soccorso era di codici verdi, ovvero di persone rimandate a casa dopo la visita.

La domanda che avevamo posto era: com’è possibile tale discrasia di opinioni tra due medici che lavorano negli ospedali della stessa città? Dobbiamo ipotizzare che i milanesi gravi si presentino tutti al Sacco e al San Raffaele vada solo chi sta ancora bene? Ovviamente si tratta di una cosa impossibile anche solo da pensare.

A finire nel mirino è stato però un video girato al Pronto Soccorso del Sacco e messo da una cittadina su Youtube, che lo mostrava vuoto. E che subito è stato smentito in tv. Ma noi su quel video, su quel solo video, non avevamo espresso alcun commento, limitandoci a constatare come i cittadini volessero verificare di persona ciò che a loro non tornava. E questo, come vedremo, perché nessuno fornisce loro dati esatti.

Il punto è infatti stabilire, come precisato all’inizio di quel post, se l’emergenza sia tale da giustificare un lockdown generalizzato o se non sia più logico stabilire restrizioni locali che non affossino l’economia o, ancora, isolamenti per chi si trova in età avanzata o soffre di particolari patologie a rischio.

L’APP REGIONALE

Sicchè, per tornare al punto, esiste un’App ufficiale della Regione Lombardia, Salutile Pronto Soccorso, collegata a tutti i Pronto Soccorso della Regione. É un’app estremamente utile perché chi deve dirigersi al Pronto Soccorso può controllare in tempo reale quante siano le persone in attesa nei singoli ospedali, quante in trattamento e quale codice (rosso, giallo, verde, bianco) sia stato assegnato loro. L’abbiamo scaricata e invitiamo il lettore a fare lo stesso. A verificare personalmente.
Una volta installata, ci si può geolocalizzare o scegliere un’area e controllare tutti i pronto soccorso della zona o della città.
Nel giorno in cui si sono verificati i contagi record a Milano (3211 in provincia e 1393 in città) abbiamo quindi focalizzato l’attenzione solo sui Pronto Soccorso di Milano città in quattro orari diversi: a metà mattina, nel primo pomeriggio, all’ora di cena e alla sera, dieci minuti dopo il coprifuoco. Così, per non sbagliarci. I risultati potete verificarli voi stessi dagli screenshot, presi tutti a distanza di un paio di minuti per gruppo e a circa 4 ore di distanza da gruppo a gruppo. Ospedali diversi tra loro da cui è stato escluso il traumatologico Galeazzi. Osservate bene non solo i diversi indici di affollamento, ma anche le persone in attesa per i codici rossi e gialli (i più urgenti) e il numero trattato dei codici verdi:

Mattina:

Pomeriggio:

Ora di cena:

Dieci minuti dopo il coprifuoco:

Dunque, nel giorno dei contagi record di Milano, più o meno la metà dei pazienti, esattamente come detto dal professor Zangrillo , è in codice verde o bianco. Gente che poi torna a casa, ma che nel frattempo porta a situazioni di sovraffollamento. Sovraffollamento da codice verde, che è un bel po’ diverso dall’essere sopraffatti dal numero di emergenze. E questo è il punto uno.

Si noterà poi che, tra i Pronto Soccorso meno affollati c’è proprio il Sacco, che peraltro funziona in maniera eccellente e senza affanni, tanto che sia la mattina che al pomeriggio che all’ora di cena ha 0 pazienti in codice rosso e giallo in attesa e solo 2 codici gialli in attesa dieci minuti dopo le 23. Così come negli altri ospedali la gestione dei casi gravi è sempre assorbita, con code praticamente quasi nulle. E questo è il punto due.

D’altra parte un conto sono i tamponi, un conto i ricoveri, un conto le terapie intensive, piene circa al 30%. Un conto, infine, è la paura dovuta al numero di contagi comunicati e agli allarmi televisivi che porta la gente ai ps anche senza essere malata.

Di fatto, questi sono dati inviati ai cittadini in tempo reale dai Pronto Soccorso milanesi in quattro momenti diversi della giornata. Non è un video di una cittadina, è un’App ufficiale della Regione. E non documenta affatto una situazione di collasso: fotografa una situazione sulla quale è ancora possibile ponderare decisioni. E non era un giorno qualsiasi: è stato il giorno dei contagi record. Perché dunque in tanti parlino di collasso, non possiamo saperlo.

I CASI DI BERGAMO

Però il collasso, per essere definitivamente chiari, è quello che abbiamo vissuto a Bergamo, dove risiede chi scrive, quando la gente era stipata perfino nei corridoi e le ambulanze non arrivavano nemmeno più. Dove i medici erano disperati e dovevano scegliere chi salvare. – GUARDA

Il collasso è quando – ci si è dimenticati troppo in fretta, come sempre – la Protezione Civile diramava i comunicati secondo i quali dall’insorgenza dei sintomi del Covid alla morte passavano 6 giorni. Anche se qui accadeva prima.

Ecco, quello è il collasso. E la situazione milanese, perfino nel giorno dei contagi record, non gli è nemmeno lontanamente parente. Per dare una vaga idea che potete verificare ancora in Rete, il San Carlo è arrivato a ospitare mediamente, senza pandemia, 300 accessi giornalieri, altrettanti il Niguarda. Rho e Garbagnate sono arrivati a gestirne in periodi di influenza 450, Legnano 215.
E questo è un periodo anche di influenza.

IL LOCKDOWN

La questione è naturalmente più complessa e non dovrebbe essere sviscerata da estenuanti ricerche personali, tantomeno da cittadine esasperate che vanno con il cellulare negli ospedali per cercare di capire cosa accada.

Ci troviamo di fronte ad un fatto senza precedenti, sottovalutato inizialmente soprattutto da chi oggi, e non ieri, fa allarme (su questo sito iniziammo a informare della pericolosità del virus il 22 febbraio, il giorno dopo Codogno, pubblicando i dati cinesi che smentivano gli “esperti” italiani a partire dall’uso della mascherina che i nostri scienziati ritenevano inutile).

Le realtà inconfutabili di oggi, rispetto a marzo, sono tre: la prima è che la malattia è per la gran parte curabile (lo sentite più il refrain sui 6 giorni dalla comparsa dei sintomi alla morte?) grazie a protocolli codificati a base di antibiotici e steroidi (come vedremo in altro post, con dati ufficiali alla mano) e al famoso plasma iperimmune. Dalle terapie intensive si esce molto più spesso vivi e non c’è più la spasmodica corsa a cercare ovunque bombole d’ossigeno, saturimetri e perfino maschere da snorkeling.

La seconda realtà inconfutabile è che purtroppo, per quanto il virus sia pericoloso, si trova ormai ovunque. Le istituzioni hanno preso provvedimenti demenziali per prevenirlo, dai banchi a rotelle nelle scuole al coprifuoco per i locali, ma con i trasporti lasciati incredibilmente intasati: innumerevoli foto, che documentano vere e proprie resse alle fermate da settimane, fanno sembrare questa scelta degli allarmisti che ci governano, e che pure adombrano il lockdown, talmente assurda da risultare oggettivamente inspiegabile.

La terza realtà è infine più inquietante: non sappiamo perché la Svezia, che non ha MAI imposto alcun lockdown, registri al 29 ottobre 11973 contagi per milione di abitanti e 586 morti per milione. Mentre l’Italia, che fu la prima ad applicarlo, abbia 10203 contagi per milione di abitanti, ma 631 morti per milione. Un dato piuttosto spiazzante, anche perché doveva essere il caldo ad attenuare il virus, dicevano sempre i soliti “esperti”. E in Svezia è tutto aperto e non c’è questa temperatura, diciamo, equatoriale.

Nonostante questo, nonostante l’evidenza che il virus potrebbe così circolare comunque, ci troviamo lo stesso di fronte a richieste di ulteriori lockdown generalizzati – e non localizzati nelle aree più a rischio o limitati a fasce d’età fragili – che possono distruggere mezzo secolo di economia. Farla letteralmente a pezzi, mandando sul lastrico milioni di famiglie. Affossare il Paese. Eppure, nella stessa Lombardia, la situazione è estremamente diversa da zona a zona, e il virus sembra aver invertito la rotta, crescendo nelle province solo lambite dalla prima ondata, in particolare Milano, Monza e Varese.

LE INFORMAZIONI

Davanti alla devastante prospettiva di una nuova chiusura totale, al cittadino andrebbero almeno prima fornite le informazioni basilari provenienti dall’emergenza. E non mi riferisco solo alla famosa relazione sanitaria scandalosamente secretata dal ministero. No. Ci sono altri dati cruciali che gli italiani, nel caso particolare chi vive in Lombardia, hanno diritto di conoscere senza doversi improvvisare detective per scoprirlo. Perché si tratta di dati pubblici e neutri, utilissimi però a capire l’andamento della situazione e della reale mortalità attuale. Quali? Mi limito ad una breve lista.

  1. Non viene più comunicato da tutti, come avveniva la scorsa primavera, il numero di contagiati per ogni Comune: un dato fondamentale perché il cittadino sappia se la propria zona è a rischio e perché decida di prendere maggiori precauzioni. Altresì non vengono comunicati MAI i decessi per Comune. Ma questo, è il meno.
  2. Non è MAI stato comunicato il numero di ricoveri e di decessi giornalieri per Covid del singolo ospedale. Eppure sappiamo che sono state adottate terapie diverse da ospedale a ospedale e che per una settimana fu autorizzato dall’Aifa l’utilizzo di un farmaco poi revocato. Non è MAI stato comunicato chi lo utilizzò, su quanti pazienti fu usato e che sorte hanno avuto quei pazienti.
  3. Non è MAI stato comunicato se nel numero dei morti giornalieri siano tuttora contabilizzate anche persone già considerate negativizzate e decedute per altre cause. Anche se sappiamo da agosto, da dati ufficiali Istat e Iss, come ciò sia avvenuto per certo. Un dettaglio che, naturalmente, potrebbe fornire prospettive sensibilmente diverse anche sulla scelta del lockdown. – GUARDA
  4. Non è MAI stato comunicato quanti siano stati, ad oggi, i morti attribuiti a Covid il cui decesso sia avvenuto invece a causa di trombi provocati dalla risposta immunitaria, prima che le autopsie – sconsigliate inizialmente da precise disposizioni governative, ma svolte comunque da coraggiosi medici di Bergamo – svelassero il problema. Un problema poi risolto dai dottori applicando l’eparina sui pazienti ed evitando così un’ulteriore catena di decessi. – GUARDA
  5. Non è MAI stato comunicato, nel parlare di “collasso” attuale dei pronto soccorso, quanti siano gli accessi giornalieri per Covid di ogni pronto soccorso e quale fosse la media giornaliera degli accessi agli stessi pronto soccorso negli altri anni, in assenza di pandemia.
  6. Nemmeno viene comunicato, nel parlare di “collasso” dei pronto soccorso, quanti siano gli accessi per Covid in codice bianco o verde.
  7. Nemmeno viene comunicato, nel parlare di “collasso” dei pronto soccorso, quante siano infine le persone che giornalmente vengono rimandate a casa dopo la visita.

Potrei continuare a lungo, ma mi fermo qui, perché tanto i dati non arriveranno. Di sicuro, fornire questi semplici numeri, a parte le fesserie raccontate da taluni medici in tv, non costituirebbe alcuna violazione della privacy, perché si tratta unicamente di dati neutri, cruciali per informare.

Però, vedicaso, non viene fatto: è più comodo per le istituzioni nascondere alla stampa le informazioni che dovrebbero dare e poi dire che la stampa non informa correttamente sul lavoro delle istituzioni.
È più comodo allarmare, invece che diffondere dati, soprattutto per prendere decisioni su cui il cittadino non ha elementi per ribattere, costringendolo a subire o a correre disperatamente per cercare di informarsi da solo.
È più comodo infine parlare, senza alcuna vergogna, di negazionismo da parte di chi chiede spiegazioni, quando gli unici a minimizzare la pandemia quando questa dilagava e si mangiava la gente in tre giorni, furono proprio loro: i più autorevoli esponenti delle istituzioni, taluni giornalisti che arredano i salotti televisivi, e gli “esperti” governativi, tra i quali, denunciò la Società Italiana di Virologia, non siede manco un virologo. Per dire, la serietà.

Manuel Montero

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Manuel Montero

Manuel Montero scrive da vent’anni per diversi settimanali nazionali. Ha pubblicato nel 2019, per Algama, Fenomeni Paranormali Italiani, in cui ha raccontato storie di cronaca, fatti ed eventi apparentemente incredibili, raccolti in prima persona negli anni sulla Penisola. In allegato a Il Giornale (e in ebook per Algama) sono invece usciti i volumi Telefilm Maledetti, dove l’autore narra la triste fine di alcuni dei più amati protagonisti di telefilm degli anni Settanta e Ottanta. E Wuhan - Virus, esperimenti e traffici oscuri nella città dei misteri.

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