Mauro Suttora, apprezzato cronista ed editorialista, ha di recente pubblicato su Huffington Post un articolo che tratta in modo documentato e pungente il problema della mancata istituzione di una “zona rossa” nel territorio dei comuni di Alzano Lombardo e Nembro, in provincia di Bergamo, durante il periodo più crudo dell’epidemia da covid-19. Com’è noto, a seguito del numero di vittime particolarmente alto registrato in Val Seriana, dove si trovano i due comuni, è nato un vasto movimento di opinione pubblica, sfociato nella costituzione del comitato “Noi denunceremo”, che chiede a gran voce di chiarire le responsabilità amministrative e politiche, ed eventualmente anche penali, nella vera e propria falcidie di vite umane causata dal non adeguato contenimento del contagio in quelle terre.
RINO: Ciao Mauro. Ti ho già fatto privatamente i complimenti per il tuo fresco articolo su Huffington Post sul problema della “zona rossa” nei comuni di Alzano e Nembro, che giudico circostanziato ed esauriente.
Al riguardo sono convinto che la polemica politica contro il governo in carica (dal mio punto di vista potrei essere animato da una cauta benevolenza…) vada messa da parte per cercare di ricostruire esattamente come si sono svolti i fatti. Anche io, come molti concittadini della provincia di Bergamo, sono stato colpito da un lutto a causa del Covid (è morto un mio cugino in secondo grado) perciò trovo giusto, ed anzi doveroso, che chi aveva responsabilità pubbliche nel contrastare un’epidemia così letale venga chiamato a rispondere delle scelte fatte e del loro perché.
Il fatto, indubitabile, che queste fossero difficili, per la necessità di tenere conto anche del primario interesse a minimizzare le conseguenze economico sociali delle misure adottate, in questo caso non può essere invocato come attenuante. Incominciamo dalla cronologia.
Le carte confermano, giusto?, quanto già si sapeva, ovvero che è il 3 marzo la data in cui i consulenti del governo hanno lanciato l’allarme per la situazione del contagio nel territorio di Alzano e Nembro, i cui dati, pur minimi in termini assoluti, indicavano che si erano raggiunti i valori del famigerato andamento esponenziale, foriero di rapido allargamento dell’epidemia a tutta la popolazione.
MAURO: Sì, e si sono svegliati tardi pure i prof, già a fine febbraio c’erano morti e numeri alti ad Alzano.
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RINO: Si, anche questo lo sapevo… comunque, volendo e dovendo considerare decisivo il parere formale dei “prof” del comitato tecnico, il 3 marzo è la data fatidica. Conte ha molto insistito sull’argomentazione, tipicamente giuridico-avvocatesca, che si trattava, comunque, di un parere “non vincolante”, ma su questo torneremo. Però, sui tempi di presa d’atto di questo parere tecnico da parte degli organi di governo, c’è confusione. Vuoi spiegare che cosa hai appurato?
MAURO: In un’intervista dello scorso 2 aprile al “Fatto quotidiano”, il Presidente del Consiglio ha dichiarato di essere a conoscenza fin da subito del parere del Comitato Tecnico Scientifico circa la necessità di zone rosse nei comuni di Alzano e Nembro, di recente desecretato e riportante la data, appunto, del 3 marzo. In un’altra intervista, sempre allo stesso quotidiano, dell’8 agosto scorso, il Premier sostiene, invece, che di quel verbale lui è venuto a conoscenza solo il 5 marzo.
RINO: Quindi?
MAURO: Un ritardo di due giorni non è irrilevante, di fronte alla progressione esponenziale, o “quadratica” come si dice in statistica, del contagio. Perché si è perso quel tempo? Come si sa, dal 5 marzo sono passati altri 3 giorni prima che il Presidente del Consiglio emanasse il DPCM che chiudeva l’intera Lombardia…
RINO: Su questo provvedimento vorrei tornare in modo più specifico in seguito. Riguardo al problema delle date, posso confermarti che, a Bergamo, fin da 3 e 4 marzo, circolavano voci sull’imminente istituzione di una zona rossa ad Alzano e Nembro. Aggiungo che la cosa era impopolare tra la gente per il “coprifuoco” pesante che ne sarebbe derivato, anche se le notizie sugli ospedali al collasso per i troppi malati gravi erano sempre più allarmanti. A conferma del mio ricordo, cito questo lancio Ansa del 4 marzo:- “BERGAMO, 04 MAR – Clima d’attesa e poche persone in giro nei Comuni di Nembro e Alzano Lombardo, centri della media valle Seriana, nella Bergamasca, dove vivono quasi 25 mila persone. Dopo l’incremento di casi di coronavirus di ieri proprio in provincia di Bergamo, con una crescita di 129 contagi in poche ore, aumentati da 243 a 372, il governo sta valutando la decisione di estendere anche a questi due centri della Bergamasca la ‘zona rossa’. La decisione e’ attesa oggi. A Nembro, 11.500 abitanti, tra i contagiati c’e’ anche il sindaco Claudio Cancelli: lo ha comunicato lui stesso ai cittadini e sta bene. Alzano Lombardo, paese di 13.600 abitanti, ospita invece l’ospedale dove si sono registrati i primi casi della Bergamasca, tra cui un primario che è già stato curato all’ospedale di Legnano e dimesso. I due centri sono confinanti e distano una decina di chilometri dalla città di Bergamo”.
MAURO: Appunto! Risulta inequivocabilmente che il 5 marzo c’è stato un concentramento di forze dell’ordine nella zona di Nembro e Alzano, che hanno effettuato sopralluoghi in vista dell’allestimento di un cordone di sicurezza per isolare il territorio dei due comuni. Nel mio articolo su Huffington Post ho usato una metafora colorita per descrivere la situazione: se è vera la seconda versione fornita da Conte, ovvero che lui ha appreso del parere tecnico solo il 5 marzo, la velocità con cui i reparti della forza pubblica si sono riversati in loco sarebbe istantanea come quella di Nembo Kid…
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RINO: Aggiungo che ancor più straordinaria, in questo caso, sarebbe stata la rapidità di diffusione delle indiscrezioni su questo intervento, visto che l’ANSA ne parla fin dal giorno prima. Tralasciamo i molti dubbi, sicuramente fondati, sulla cronologia per esaminare il problema delle “zone rosse” in val Seriana da un altro punto di vista. Come già detto, Conte ha sottolineato con forza che il parere del Comitato Tecnico Scientifico non era vincolante, ovvero il Governo non era tenuto a seguirlo alla lettera. Non so cosa ne pensi tu, ma l’argomentazione non mi convince. Se io pubblica autorità non seguo, legittimamente, un consiglio a cui non ero tenuta a conformarmi, se poi disattendendolo sbaglio resto comunque responsabile… Infatti, il Presidente del Consiglio ha sfoderato quella che ritiene la difesa più forte: il governo è stato ancora più rigoroso di quanto suggeriva il Comitato Tecnico scientifico nel parere del 3 marzo, mettendo col DPCM dell’8 marzo in zona rossa non solo i due piccoli centri di Alzano e Nembro ma l’intera Lombardia. Visto che abbiamo citato a più riprese il Fatto Quotidiano, un giornale certamente non avverso al governo e al suo premier, permettimi di riprendere questo articolo.
Come vi si evidenza, confrontando, leggi qui, il testo del DPCM dell’8 marzo, con quello del 9 marzo, leggi qui , che ha istituito il c.d. “Lookdown nazionale”, ovvero l’ applicazione a tutto il territorio nazionale della “zona arancione”, risulta che il secondo, quanto a contenuti, è la copia del primo, a parte la diversa valenza geografica. Sempre seguendo il ragionamento del “Fatto”, se ne ricava che la “zona” applicata alla Lombardia, e di conseguenza ai comuni di Alzano e Nembro, al termine della farraginosa ( come minimo) vicenda delle consultazioni tra Governo e Comitato Tecnico Scientifico nei giorni tra il 3 e 7 marzo, non è stata “rossa”, bensì “arancione”. Lo dimostra che, continuando a citare la nostra fonte, lo stesso sindaco di Codogno, a cui una “zona rossa” è stata effettivamente applicata, ed era allora in vigore, con ordinanza del Ministro della Salute e del Governatore regionale del 21 febbraio, leggi qui, notava la differenza, e si preoccupava che, in conseguenza del DPCM dell’8 marzo, ci fosse un prematuro allentamento delle misure introdotte nel territorio del suo comune, che così efficacemente avevano contribuito a frenare il contagio , pur avendo imposto gravi sacrifici ai cittadini e fermato l’economia locale per la loro estrema drasticità.
MAURO: La zona arancione o lockdown o come lo si voglia chiamare, ovvero quello decretato per tutta Italia il 9 marzo e rimasto in vigore per due mesi, non ha niente a che fare con le zone rosse. Ma è la diretta conseguenza del non avere imposto zone rosse in precedenza, come quella chiesta dal Cts per Bergamo il 3 marzo. Nessuno può avere la controprova, naturalmente, ma è probabile che se si fosse bloccato al 100% l’epicentro una settimana prima, non ci sarebbe stato bisogno di bloccare poi all’80% l’Italia intera. Quindi la gravità dall’avere fatto marcia indietro sulla zona rossa di Bergamo è doppia. Sia per le vittime supplementari provocate a Bergamo, sia per i danni economici al resto d’Italia.
Rino Casazza