Da un autore ai vertici della narrativa poliziesca storica, un omanzo ammirevole di atmosfera e introspezione, ambientato negli anni 30
Il romanzo “Omicidio al civico 7” di Angelo Marenzana è un giallo di ambientazione storica, un genere in cui l’autore si è già cimentato con successo, tanto da poterne essere considerato uno dei migliori esponenti italiani.
Ci troviamo nel pieno dell’Era Fascista, quattordicesimo anno, e l’italia ha appena concluso trionfalmente la campagna di Etiopia.
Alessandria, città natale di Marenzana e sfondo privilegiato della sua narrativa, è come il resto della nazione ai piedi del Duce, orgogliosa ed entusiasta del regime littorio.
Di vero dissenso verso il totalitarismo in camicia nera non si può neanche parlare.
Il protagonista del romanzo, il Commissario Augusto Maria Bendicò è un funzionario di Pubblica Sicurezza fondamentalmente apolitico, ma comunque integrato nel sistema, se non altro per la sua innata fedeltà di servitore della legge.
Bendicò, per la verità, in quel momento è alle prese con problemi privati ed esistenziali soverchianti: da poco è scomparsa la sua amatissima moglie, e sta penando a mantenere acceso dentro di sè l’interesse per la vita.
A tenerlo in piedi ci sarebbe la propensione e la passione per il lavoro di poliziotto, che gli ha guadagnato la stima di colleghi e superiori, ma sta accorgendosi che questo è solo la metà di ciò che gli è sempre stato necessario per realizzarsi, l’altra, il rapporto con la moglie, particolarmente fecondo perché fatto di dialettica tra diversi ed anzi in larga misura opposti, è irrimediabilmente persa.
Così da lunghissimi mesi Bendicò è in preda all’abulia, e l’unico contributo professionale che riesce a offrire è immergersi con pignola meccanicità nella parte burocratica dell’attività di polizia che il regime, nella sua mania di controllo e catalogazione di tutto e tutti, ha sviluppato a dismisura.
Se Bendicò non ha deciso di farla finita, è solo perché il filo del dialogo con la moglie Betti in realtà non si è spezzato, e la donna continua a fargli risuonare dentro la propria voce, portatrice di quel punto di vista originale e spiazzante che tanto gli manca.
L’ala della pazzia sta sfiorando la mente di Bendicò, o ha trovato un canale di comunicazione con lo spirito della consorte?
Marenzana porta avanti la storia tra questo equivoco e l’altro leit motiv narrativo del romanzo, ovvero la presenza densa, minuziosa, ammirevolmente precisa della sua città in quel passato lontano, che restituisce al lettore con descrizioni di luoghi e persone così vivide da far dubitare un segreto uso della macchina del tempo.
Ma è solo affetto sconfinato dell’autore per Alessandria, altrettanto inesausto di quello di Bendicò per Betti.
Così inesausto che la vicenda ha la sua svolta quando, pur riluttante, il Commissario accetta di dedicarsi, dopo tanto tempo, a una indagine vera, ben diversa dal giro ossessivo di scartoffie in cui si è autorecluso.
Qualcuno ha ucciso, in modo impietoso e crudele, una giovane promessa locale del bel canto, così bella, oltre che talentuosa, da aver attirato su di sé l’interesse di molti pretendenti, non solo tra gli appassionati della lirica ma anche tra notabili, professionisti e faccendieri locali.
Addirittura sembrerebbe che l’omicidio della ragazza possa aver a che fare con oscure trame politico-affaristiche, pericolose perché il regime reclama, e particolarmente in quel periodo di gloria militare, la propria assoluta purezza nella gestone della cosa pubblica.
Così Bendicò torna ad essere un investigatore, ma nell’unico modo in cui gli sarebbe possibile in quella fase esistenziale, ovvero diventando una coppia investigativa.
A dargli la motivazione e l’energia per dimostrare a se stesso di poter tornare quello di prima, è l’accompagnamento lungo l’indagine da parte della voce di Betti che, come se fosse davvero al suo fianco, lo incoraggia e supporta con osservazioni, pareri e critiche, indispensabile controcanto che, per quanto sia assurdo, non viene da lui, ma proprio da lei.
Rino Casazza
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