Ho avuto il piacere di fare una lunga chiacchierata con Maria Masella, ai vertici nell’ambito della narrativa poliziesca italiana, su uno dei suoi romanzi più significativi , Mariani e la cagna. In esso l’autrice, col suo stile inconfondibile, sobrio e allo stesso tempo ricco di sostanza, ci fa apprezzare le qualità umane e investigative del suo personaggio seriale più conosciuto, il Commissario Antonio Mariani, alle prese con una inchiesta difficile e coinvolgente.
RINO: Ciao Maria, la prendiamo un po’ da lontano, ti va? Come Venditti nella sua canzone, “la matematica non sarà mai il mio mestiere”. Al liceo sono riuscito a farmi rimandare due volte in matematica, negli anni in cui non andavo sufficientemente bene nelle materie letterarie per fare ingoiare al professore di matematica il mio menefreghismo per la sua materia. Diventando adulto l’ho molto rivalutata e approfondita, anche se i simboli astrusi delle equazioni mi rimangono indigesti…Vedo che tu sei stata insegnante di matematica. Quanto ha influito la cultura scientifica nel tuo approccio alla narrativa? Gli scrittori con una forte base culturale di questo tipo di solito, ed è un complimento che estendo anche a te, si caratterizzano per una scrittura semplice e pregnante, il massimo direi, che li porta ad essere, alla fine, molto più evocativi e poetici dei colleghi di cultura umanistica.
Mi vengono in mente due esempi: Primo Levi e Leonardo Sinisgalli.
La mia impressione è giusta?
MARIA: Ciao Rino, alla lontana va benissimo.
Leggere il mio nome vicino a quello di Primo Levi mi ha tolto il respiro. Non so se sono uno scrittore, so soltanto che scrivere è una specie di necessità.
Sono un matematico un po’ diverso, perché le mie materie erano quelle letterarie e, per rendere tutto più complicato, avevo (e ho) una gran passione per le arti figurative (schizzo paesaggi a china). Però capivo velocemente i discorsi matematici, mi piaceva la limpidezza e il rigore (Cartesiana, insomma), anche se poi, da distratta, pasticciavo i calcoli. Dopo il Liceo Scientifico, con voti clamorosi in italiano latino storia e filosofia a contrastare quelli soltanto ottimi in matematica avevo due alternative: farmi un esame integrativo e iscrivermi a lettere (scelta caldeggiata dai miei prof letterati) o iscrivermi a matematica. Nota per i giovani: ai tempi miei per iscriversi a lettere ci voleva la maturità classica). Con la laurea in matematica avrei trovato lavoro con minori difficoltà. Scelta al cento per cento pragmatica? No, perché mi ero imbattuta per caso nella logica matematica, nei problemi sui fondamenti… Matematica, quindi. Con un piano di studi anomalo che includeva logica matematica, storia della matematica, filosofia della scienza. Ed esami di geometria, che riesce bene a chi disegna bene.
E insegnante perché mi piacciono le persone, mi piace comunicare. E insegnare mi piaceva.
Tanti anni di matematica forse mi hanno resa rigorosa nella scelta delle parole, nella costruzione delle frasi. Gli studi di logica mi hanno addestrata a valutare la coerenza di una storia. Gli anni da insegnante (appassionata) mi hanno insegnato comprensione e attenzione verso gli altri, diciamo un po’ di psicologia spicciola. Nota: quando sono stata premiata al Solinas la prima domanda è stata “come mai un’insegnante di matematica ha la passione per la scrittura?”
Al Premio Azzeccagarbugli? copia e incolla.
La risposta? Sono una gran lettrice e soprattutto rileggo molto.
RINO: La tua risposta è, sostanzialmente, una conferma!
Veniamo al romanzo che ho letto, Mariani e la cagna, il primo per ora, e me ne scuso, ma come si dice non si riesce a leggere tutto. Nel tuo caso la lacuna è grave, perché il tuo stile narrativo è fatto per piacermi. Non mi dilungherò sulla trama del romanzo, non si deve mai per i polizieschi. A proposito: io distinguo, nella categoria dei polizieschi, i gialli a enigma, incentrati sul mistero di chi sia il colpevole, e i gialli di indagine, in cui al centro c’è il percorso per scoprire la verità. Il tuo romanzo appartiene alla seconda categoria, in cui probabilmente il più grande è George Simenon (stilisticamente a te simile, nonostante non venga dalla cultura scientifica…), col suo Commissario Maigret, a cui il tuo Commissario Mariani è accostabile. Direi che il tuo Commissario è un Maigret meno costruito e più naturale, ma su questo torneremo. Conosci sicuramente la saga simenoniana di Maigret, ti ritrovi nel paragone?
MARIA: Simenon! Maigret. Uno dei giallisti più grandi. A Il porto delle nebbie ho dedicato un incontro in biblioteca. Sì, mi interessa il percorso. E Mariani è umano come Maigret, niente celluline grigie, soltanto attenzione agli esseri umani, senza pregiudizi. Ancora una volta ammirata per l’ottima mira.
RINO: Certo, Simenon! Poi mi manderai la tua relazione sul Porto delle nebbie.
Nel tuo romanzo ho ritrovato una delle più auree qualità simenoniane: il narrare in punta di piedi, per rapidi tocchi, portando il lettore per mano senza forzare, rifiutando ogni retorica e volo pindarico descrittivo. Simenon diceva: se piove scrivo che piove, non che il cielo piange. O ancora: se un passaggio mi piace particolarmente, lo tolgo: quello che scrive non deve piacere a me. Può sembrare che nel giallo d’indagine il lettore sia così interessato allo svolgersi dell’inchiesta, se si dipana con la giusta suspence, da consentire allo scrittore di sbizzarrirsi in bravure stilistiche, ma non è così. L’indagine resta al centro di tutto, comunque, e bisogna accompagnarla con misura. Tutto questo l’ho ritrovato nel tuo romanzo. Eppure gli spunti di riflessione e di approfondimento ci sono, eccome.
Torniamo al personaggio: Maigret è una icona, ma spesso non sembra reale, il tuo Mariani lo è sempre. Potrebbe essere il poliziotto che molti hanno incontrato davvero. È in gamba ma non un genio. Da’ l’impressione di essere uno di noi. Ti sei ispirata a qualcuno?
MARIA: Parte prima: il narrare in punta di piedi.
Non è una questione semplice. Devo tornare indietro. Scrivo in prima persona perché l’indagine sia “onesta”, il lettore sa, vede e sente quello che sa, vede e sente Antonio, senza se e senza ma. Perché l’onestà sia completa ho scelto il presente per evitare il filtro del tempo che seleziona ed evidenzia soltanto i ricordi utili. Lavorando con questi due parametri, una scrittura “barocca” e immaginifica sarebbe stata grottesca e presuntuosa. Ritengo, in qualsiasi contesto, che la semplicità sia una qualità. Sempre a proposito di descrizioni: all’inizio descrivo una strada e quella descrizione servirà.
Parte seconda: come è nato Antonio Mariani.
Per caso. Morte a domicilio doveva essere pezzo unico. Infatti in quel primo romanzo è molto scarno. C’è soltanto la sua integrità, l’attenzione agli altri e un vena di malinconia, di spleen. Romanzo dopo romanzo gli ho dato carne, soprattutto da Primo (l’ottavo, il prequel). Da Mariani e la cagna, lo spleen diventa più pronunciato. Ho scritto, in tempo zero, quel romanzo poco dopo la morte di mio padre (che nove anni prima era stato ricoverato dove è Emma), afflitta da un mal di schiena feroce, tanto che scrivevo in piedi. Ho faticato a tenere sotto controllo le mie emozioni e sono filtrate, filtrate in Antonio. No, non mi sono ispirata a nessuno. Mi piacciono gli uomini con capelli e occhi scuri, non magri e piuttosto alti, non palestrati e nuotatori. E l’aspetto fisico è sistemato. Ma la sua testa è la mia, al novanta per cento. Romanzo dopo romanzo gli do sempre di più. Terribilmente imbarazzante.
Spero di aver comunicato in modo corretto. Spesso è più facile la scrittura che la metascrittura.
RINO: La tua risposta è significativa, Maria.
Si legge e si “sente” che Mariani è “uno di noi”. Il fatto che tu metta in lui molto di te stessa , giova a questa sensazione. Un mio amico, Andrea Carlo Cappi, sostiene che in ogni propria storia uno scrittore deve versare una goccia del suo sangue. Se Mariani è così “vero”, dipende dal fatto che tu sei riuscita a versarne una quantità anche superiore. Ripeto: Maigret è splendido, ma è in qualche modo unico, un mosca bianca. Nessun altro saprebbe indagare come lui, anche se non per la sua intelligenza superiore ma per la sua straodinaria sensibilità umana. Mariani, nel romanzo che ho letto, è travagliato da problemi professionali, personali e famigliari soverchianti rispetto all’indagine. E la porta avanti quasi senza volerlo, per risolvere conti con se stesso più che per bisogno di giustizia. Anche se poi ce la fa benissimo, dando prova di essere un poliziotto di valore.
A questo punto mi viene da chiederti come costruisci le tue storie.
C’è chi, come sosteneva il mio indimenticabile amico Andrea Pinketts, che le inizia senza sapere esattamente come proseguiranno, “guidando nella nebbia”; altri, come me, vanno avanti come in una corsa ad ostacoli, creandosi problemi che poi dovranno riuscire a risolvere per far quadrare il tutto.
Tu come procedi? La cosa, confesso, mi incuriosisce molto per il risultato finale così credibile.
MARIA: Raccontare come si scrive è molto più difficile che scrivere.
Provo.
Andrea Pinketts guidava nella nebbia? Io nuoto con il mare grosso. Mi butto, senza sapere dove approderò, ma mi eccita il tirarsi su per respirare, l’assecondare l’onda e il contrastarla.
Un’immagine iniziale che vuole diventare storia: il buon senso direbbe di aspettare e raccogliere qualcosa di più. Anche evitare perché certe storie mi fanno soffrire. Arriva un momento in cui è più sofferenza non scriverla che cominciare.
Niente scaletta. Inizio una frase senza un’idea del suo senso nell’architettura complessiva. Dico spesso che scopro l’assassino in itinere, di solito superata la metà. Ovviamente se dico “assassino” intendo assassino in carne e ossa, movente e come.
Vado avanti, capitolo dopo capitolo. Se sento la necessità di cambiamenti di rotta, salvo il file con numero progressivo.
Arrivata alla fine (diciamo in due mesi, lavorando due ore al giorno), lascio riposare.
E poi comincia il lavoro vero: revisione. Rileggo. Sposto blocchi, elimino indizi che capisco inutili, aggiungo. Di solito un mese di lavoro per controllare la coerenza (matematica!) e perché desidero che sia ben chiaro (ma non sbattuto in faccia) quello che volevo dire con la mia storia.
Questi sono i tempi per un Mariani, perché lo conosco. Per il primo Maritano ho impiegato molto di più.
RINO: Sono dell’avviso che la scaletta vada evitata. Stephen King dice che lui ha in mente un’idea, una situazione ( ad esempio lettrice psicopatica rapisce lo scrittore preferito per fargli riprendere una serie chiusa) e comincia con quella lasciando che si sviluppi via via…
Il tuo modo di lavorare ( sei velocissima!) è da condividere. Spesso io ho iniziato a scrivere racconti basati su delitti paradossali e inesplicabili, trovano la soluzione in corso d’opera.
Quanto a Mariani e la cagna, mi è molto piaciuto l’uso ambivalente del termine cagna, affettuoso se riferito all’animale , spregiativo se riferito a una donna. Bello anche l’ultimo finale, di cui non si può parlare, se non a tu per tu.
Mi rammarico ancora di non averti letto prima, ma ti seguirò con piacere. A proposito, hai accennato a “Maritano”, ti va di parlarne più diffusamente?
MARIA: Il romanzo è nato proprio sulla duplicità del termine cagna e ho voluto quel titolo che a Carlo Frilli piaceva poco.
Non ricordavo il finale del romanzo, l’ho trovato. Nessuno è del tutto innocente o colpevole. Rispecchia abbastanza la mia opinione e non porta come conseguenza un “assolviamoci tutti”, ma la necessità di andare oltre le apparenze e di cogliere i tanti grigi delle nostre azioni. Gli ultimi Mariani sono tutti dedicati alla colpa, nelle varie sfumature. Anche quello che uscirà a fine settembre parlerà della colpa, perché è, per me, un tema centrale in qualsiasi noir.
Maritano?
Quale è il tormentone di uno scrittore che ha già scritto molti romanzi di genere con il medesimo personaggio?
Avere un’idea per una storia che rientra in quello stesso genere ma non indossa bene sul corpo di quel personaggio.
Nel 2008 mi arriva l’idea per un noir, genovese. Non è un’idea che funzioni nel ciclo Mariani. Resisto. Lo scrivo senza di lui e in terza e al passato. non mi piace. L’ho riscritto una decina di volte fino ad avere un io narrante donna, teresa maritano, e al presente.
Sapevo che sarebbe stato il primo di una trilogia dedicata al passato dei protagonisti. Passato a me sconosciuto, anzi neppure sapevo se sarebbe stato quello di lei o di lui.
Ora avrei chiuso la trilogia sul passato di lui, Marco Ardini, ma c’è forte richiesta di andare avanti. Vedrò perché sono storie molto dure e nere, dolorose da scrivere. Più rabbiose dei Mariani.
RINO: Ho visto che ti sei cimentata in un romanzo a quattro mani con lo scrittore torinese Rocco Ballachino. Io ho fatto più volte questa esperienza, tu come ti sei trovata, visto che hai uno stile molto personale?
MARIA: Molto difficile. L’aveva proposto rocco. Aveva l’idea del serial killer. Ha scritto il suo pezzo, il mio l’ho fatto attorno. Arduo.
RINO: Avevo immaginato che fosse un coinvolgimento di investigatori e scrittori diversi nella stessa storia, una formula comunque stimolante. A questo punto, direi che possiamo chiudere con una domanda di rito. Cosa bolle nella pentola della tua fantasia di narratrice?
MARIA: Ho consegnato il mariani 2020 che uscirà a fine settembre. Ho già consegnato il romance storico per mondadori (marzo 2021). Sto lavorando un romanzo un po’ diverso. Dopo, forse, farò un “Maritano”.
Rino Casazza
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