Dopo due promettenti incursioni nel noir, con Invece Linda e Chi dà il nome agli uragani, Laura Campiglio si cimenta in un godibile e brioso romanzo di “satira paradossale” al modo di Ennio Flaiano: Caffé Voltaire.
Questo romanzo appartiene al filone della satira paradossale, in cui eccelleva il compianto Ennio Flaiano.
Il paragone tra l’opera di uno dei protagonisti della letteratura, ed anzi tout court della cultura, italiana del novecento e l’ultima fatica narrativa della giornalista e scrittrice trentenne Laura Campiglio, è audace ma non improprio.
Non solo per la verve stilistica della Campiglio, non a caso ammiratrice del grande Andrea Pinketts, che ci manca sempre di più, ( e infatti nelle sue due precedenti prove ne ha seguito le orme cimentandosi in storie noir non indegne dell’illustre esempio) ma anche perché questo Caffè Voltaire riprende, sviluppandola fino alle estreme conseguenze in modo esemplare, l’idea di un folgorante racconto breve di Flaiano, “Il repertorio facoltativo”.
La satira paradossale consiste nel creare una situazione tra l’improbabile e il fantastico, servendosene per mettere criticamente a nudo, in modo efficace e gustoso, aspetti del costume e della mentalità imperanti.
Esempio tipico la celebre pièce teatrale di Flaiano “Un marziano a Roma”, in cui lo sbarco di una astronave extraterrestre nella capitale è il pretesto per fornire uno spaccato pungente e ironico dell’ambiente romano degli anni cinquanta.
In Caffé Voltaire accade che una giornalista free lance con una miriade di collaborazioni precarie, specchio della traballante situazione lavorativa delle giovani generazioni, brava ma sottopagata, si trova ad accettare due incarichi eguali e contrari per due testate ideologicamente agli antipodi, svolti sotto pseudonimo senza che nessuno dei datori di lavoro sospetti l’anomalia.
Siamo nel corso di una campagna elettorale che somiglia a molte già avvenute negli ultimi anni nonché ad altrettante del prossimo futuro, e in un clima, per così dire, di “dejavu anticipatorio”, il doppiogiochismo per ragioni alimentari della protagonista innesca una serie di eventi grotteschi quanto istruttivi, che divertono e aprono alla riflessione.
Per quanto possa sembrare sorprendente, o addirittura riprovevole, alla estemporanea pennivendola, che vive la situazione con imbarazzo e sensi di colpa, ma anche con esaltante autocompiacimento, non è difficile cambiare di volta in volta casacca parlando dello stesso argomento da versanti diametralmente opposti.
Sarà perché abbiamo finito per introiettare, allo stesso modo, le parole d’ordine e gli slogan di destra e sinistra che ci bombardano ogni giorno senza tregua?
O perché la politica è semplice lotta per il potere e tra gli schieramenti in lizza non c’è, stringi stringi, sostanziale differenza?
Caffé Voltaire ci conduce irresistibilmente per mano in questo vortice di contraddizioni e verità col doppio fondo, non senza sconfinare, con lo stesso sguardo amaramente allegro e soffertamente complice, in altre tematiche più private ( ma il privato non era, od è, politico e viceversa?).
Come l’amore, esemplificato dalla quotidiana relazione in videochiamata (senza sesso virtuale!) tra la protagonista e un aspirante principe azzurro con cui, forse, ha trascorso una notte di passione anche se entrambi erano troppo sbronzi per ricordare.
O come la sorte dei rapporti di coppia, di cui sono epigoni due personaggi femminili anch’essi contrapposti e intercambiabili: la moglie, svampita ma tosta, di un riccone che l’ha lasciata per la solita partner molto più giovane; e l’ex pasionaria di sinistra tutta di un pezzo che non sa gestire onorevolmente la crisi col compagno storico, buono e fedele ma povero.
Da ultimo, non posso non citare una piccola chicca : Laura Campiglio, collaboratrice storica di Cronaca Vera, a un certo punto racconta, e ci spiacerebbe se fosse un’invenzione, che la sede del settimanale nazional-popolare per antonomasia è nientemeno che un ex night club. Non ristrutturato ma lasciato intatto, ben s’intende.
Rino Casazza
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