Alberto Marubbi è un fotografo e illustratore di talento dagli innumerevoli interessi. Tra questi rientra la passione per un genere letterario affascinante quanto particolare: la “ludolinguistica”, di cui è profondo conoscitore e avido lettore e che lo vede cimentarsi anche come apprezzato autore.La ludolinguistica si caratterizza non per l’argomento, sotto questo profilo la si può considerare appartenente alla narrativa in senso lato, ma per il “modo” di raccontare, basato sul “calembour”, ovvero la scomposizione e ricomposizione, grafica e semantica, delle parole e delle frasi ricercandone un significato del tutto nuovo e piacevolmente spiazzante. Si tratta di un “gioco”, come indica la radice “ludo” del nome, ma non futile, per la ricchezza degli echi e delle corrispondenze che riesce a creare, stimolando la riflessione e la capacità di scavare sotto la superficie del linguaggio..
RINO: Caro Alberto, ho visto che oltre a LE VIE DELLA PAROLA NON SONO FINITE, Edizioni della goccia, uscito qualche mese fa, hai pubblicato un altro testo di giochi linguistici. Mi riprometto di leggerlo! Sbaglio o la tua passione per l’esplorazione delle sfaccettature del linguaggio è più antica?
ALBERTO: Non sbagli affatto! Gli studi classici indubbiamente mi hanno agevolato, ma tutto è iniziato una quindicina di anni fa. Il primo libro in tal senso (LE VIE DELLA PAROLA SONO INFINITE, Ennepilibri) è datato 2008.
RINO: Vuoi parlarcene più in dettaglio?
ALBERTO: Beh, da “cruscante” ho partecipato, tanti anni fa a diverse competizioni nazionali in ambito ludolinguistico e da lì, il passo è stato breve. Ho organizzato diverse serate di giochi di parole, anche inventati da me. L’idea di scrivere in modo alternativo è stata una logica conseguenza. Ho cercato di non copiare da altri che facevano buon uso della lingua italiana (sono pochi, a dire il vero…); insomma, volevo creare qualcosa di unico. E il libro appena uscito lo dimostra
RINO: Mi viene da chiederti che rapporto c’è tra la ludolinguistica e l’enigmistica. A proposito, il termine cruscante è bellissimo, non lo conoscevo. Significa cultore della purezza della lingua, giusto?
ALBERTO: L’accademia della Crusca ha origini antiche ed era il punto di riferimento per la nostra lingua, prima che i dizionari facessero la loro comparsa. Oggi abbiamo un progressivo impoverimento nell’utilizzo dei vocaboli… La ludolinguistica è calembour, boutade (ah, il francese!) , mentre l’enigmistica è più tecnica. Ciò non toglie che le due cose possano intrecciarsi.
RINO. Non sono un conoscitore approfondito della letteratura ludolinguistica, ma il tuo libro mi ha ricordato due testi: Esercizi di stile di Raymond Quenau, in cui la stessa breve e banale frase viene riproposta in tutti i possibili ludolinguaggi, e Il Secondo diario minimo di Umberto Eco. Li conosci? Ti ci sei ispirato? Ci sono altri modelli di riferimento che maritano di essere citati?
ALBERTO: Guarda, a dire il vero non mi sono ispirato direttamente a qualcuno in particolare. Indirettamente, Eco, Rodari e Cesare Marchi. Però, ripeto, ho cercato di essere me stesso, prima di tutto. Se ci fai caso, oltre alle parole, qui c’è molto altro.
RINO: Parliamo del libro allora. Non prima di aver dedicato un pensiero a un amico che non c’è più a cui sarebbe piaciuto molto e che lo avrebbe recensito meglio di me: Andrea G. Pinketts, eccezionale conoscitore e manipolatore della nostra lingua. Il libro, allora. Su tratta, a tutti gli effetti, di una raccolta di racconti, giusto? Di generi svariati aggiungo io.
ALBERTO: Pinketts età un genio senza dubbio. Un grande. Lo conobbi. Per quanto attiene al libro, sì, 37 racconti suddivisi in tre parti. Si ride, si riflette e ci si commuove.
RINO: Il libro è diviso in un prologo, o “antipasto” , e tre sezioni, caratterizzate da diverse tecniche di ludolinguistica. Vogliamo parlare di ciascuna? Incominciamo dalla prima, anche se io ti ho già detto di aver particolarmente apprezzato la seconda, poi spiegherò perché.
ALBERTO: Beh, la prima parte è quella più evasiva e, per certi versi , spensierata. Ciò non toglie che di satira sociale ce ne sia pure lì. In questo caso, le situazioni kafkiane e pirandelliane si susseguono. D’altronde, la prima parte si intitola “Le vie del nonsense”. Che poi, a dire il vero, di senso ne hanno molto! Un dettaglio non trascurabile che caratterizza tutto il libro: va letto adagio…. sennò molti dei doppi sensi si perdono…. e io ho faticato per niente!
RINO: L’avevo capito, e penso di averne colto e apprezzato la maggior parte. Veniamo alla seconda sezione, quella dedicata ai “tautogrammi”. Confesso che questo genere ludolinguistico, di cui ritenevo il non plus ultra le variazioni di Umberto Eco sul mottetto di Montale “Addii, fischi nel buio” , mi ha sempre affascinato. Devo farti i miei complimenti: i tuoi tautogrammi sono esemplari, specie quello, difficilissimo, con la lettera zeta.
ALBERTO:Grazie. Questa seconda parte è stato un parto…. lo ammetto. Però è stata la più stimolante: cercare di dare un senso e un messaggio con l’auto imposto limite della lettera iniziale identica per ogni parola di ciascuno dei componimenti. Un aneddoto: il primo (quello con la lettera A) è stato effettivamente il primo che ho creato; mi trovavo in treno e in mezz’ora l’ho buttato giù. Non sapevo che cosa fare, capisci?
RINO: Avresti potuto dedicarti a passatempi molto più futili! E la terza sezione?
ALBERTO: La terza sezione, le vie della riflessione…. dice tutto! Scherzi a parte, è in effetti la sezione più “profonda”, benché il canovaccio resti il medesimo delle prime due. Il tutto termina con il racconto “Memorie di un libro”, a suffragio degli amanti della lettura e della lingua italiana.
RINO: Va bene Alberto, credo che abbiamo offerto più di uno spunto per la lettura del tuo bel libro. Chiudo con una domanda classica: stai preparando qualcosa d’altro? A me viene in mente che potresti fare un ulteriore salto, passando al romanzo!
ALBERTO: Beh, idee ce ne sono tante e progetti altrettanti…. Mai dire mai…
Rino Casazza
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