Infuria la polemica su chi, tra Regione Lombardia e Governo dovesse istituire la zona rossa. Come stanno davvero le cose?
La legge conferisce alle pubbliche autorità il potere di emanare “ordinanze contingibili ed urgenti”.
Di che si tratta?
In certi casi si determina una situazione di pericolo nella vita sociale che richiede una risposta immediata e decisa da parte dello Stato. Per esempio si apre una crepa in un ponte di grande comunicazione, e bisogna bloccare il traffico per evitare incidenti con vittime. Oppure si libera nell’aria un gas venefico ed è necessario obbligare i cittadini di una certa zona a rimanere nelle loro abitazioni con le finestre sbarrate per scongiurare un’intossicazione letale.
In queste circostanze è di estrema importanza che un organo dello stato possa dettare senza indugio disposizioni stringenti ed imporle ai cittadini per il loro bene, con l’appoggio della forza pubblica.
Nessun dubbio che quando nei mesi scorsi il contagio da coronavirus nel nostro paese ha raggiunto un trend di diffusione esponenziale, con il famoso “R 0” che volava, si sia determinata in molte zone d’Italia una situazione di pericolo passibile di interventi con “ordinanza contingibile ed urgente” per limitare la libera circolazione e i contatti sociali, veicolo di propagazione dell’epidemia.
Infatti, ciò è accaduto a più riprese.
Dapprima con due ordinanze firmate congiuntamente il 21 e 22 febbraio scorsi dal Ministro della Sanità e dai Governatori di Lombardia e Veneto, per creare “zone rosse” ovvero aree in cui, appunto, libera circolazione e contatti sociali sono temporaneamente limitati , con sospensione drastica delle attività economiche e commerciali e forti prescrizioni di profilassi sanitaria.
Le aree interessate erano, come tutti sanno, quella lombarda del Lodigiano, e quella veneta intorno al paese di Vo Euganeo. All’epoca, la legittimazione normativa di simili interventi stava in due articoli di legge. Per la precisione l’art. 32 della legge 833/78, la quale ha istituito il Servizio sanitario nazionale, e l’art. 117 della legge 112/98, provvedimento che, nell’ambito della “riforma Bassanini”, si occupa del “decentramento amministrativo”.
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Entrambe le norme dicono la stessa cosa, ovvero che il “potere di ordinanza contingibile ed urgente”, in materia di sanità e igiene pubblico, spetta sia agli organi del governo nazionale che a quelli del governo locale (Regioni e Comuni) con un criterio di competenza territoriale.
In parole semplici, ciascuno deve intervenire a casa sua: se il pericolo sanitario riguarda il territorio di un comune, se ne occupa il Sindaco; se riguarda un territorio che ricomprende più comuni di una Regione, se ne occupa il Governatore della stessa; se è interessato un territorio a cavallo tra più regioni, se ne occupa il Governo.
Una ripartizione di compiti molto sensata, anche se, giustamente, l’art. 117 della legge 112/98 prevede che, se Governo e Regione rimangono inerti, il potere/dovere del Sindaco di provvedere in casa propria si conservi intatto.
Faccio notare che l’“ordinanza Codogno”, come viene chiamata dal nome della città più grande di quella zona, e quella “Vo’ Euganeo”, sono state sottoscritte, di comune accordo, dal Ministro della Sanità e dal Governatore, anche se a rigore avrebbe potuto provvedere autonomamente quest’ultimo.
Per completezza, aggiungo che le due ordinanze contingibili ed urgenti , del 25 e 30 gennaio, che hanno bloccato in funzione anti contagio il traffico aereo dalla Cina sono state firmate, coerentemente, dal solo Ministro della Sanità.
Tutto chiaro, quindi?
Non proprio, perché il 23 febbraio di quest’anno, a immediata ruota delle citate due ordinanze congiunte Ministro della Sanità/ Governatori, il governo ha emanato il Decreto Legge 6/2020.
Questo provvedimento, assai criticato per presunta violazione della riserva di legge costituzionale in materia di limitazioni alla libera circolazione sul territorio nazionale, all’art. 1 stabilisce che, con specifico riguardo all’emergenza coronavirus, in deroga alla già illustrata previsione generale delle leggi 833/78 e 112/98, a intervenire per far fronte ai pericoli del contagio debba essere il governo, con lo strumento del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri.
Cosa ripetutamente avvenuta, per esempio col DPCM dell’8 marzo, che ha decretato la “zona arancione” in tutto il territorio della Repubblica.
Si deve dunque ritenere che col decreto legge 6/2020 il governo nazionale abbia avocato a sé ogni potere di intervento di emergenza per frenare il contagio da coronavirus? Privandone totalmente Regioni e Comuni?
Sarebbe così, se il Decreto Legge 6/2020 all’art. 2 non disponesse, testualmente: “Le autorita’ competenti possono adottare ulteriori misure di contenimento e gestione dell’emergenza, al fine di prevenire la diffusione dell’epidemia da COVID-19 anche fuori dai casi di cui all’articolo 1, comma 1.”
Questa norma fa salvo il potere di ordinanza contingibile e urgente di Comuni e Regioni durante lo stato di emergenza per la pandemia da Coronavirus, decretato, ricordiamo, sino alla fine di luglio dal provvedimento del Consiglio dei Ministri dello scorso 31 gennaio.
Si sono effettivamente dati numerosi casi, oltre un centinaio dall’inizio del contagio, in cui le Regioni hanno esercitato questo potere, istituendo “zone rosse” in aree circoscritte all’interno del proprio territorio.
Rino Casazza
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