Il radiologo cremasco, in trincea contro il coronavirus, non si capacita: “È per me un mistero che in un’epoca dove l’informatica è ai livelli che tutti conosciamo e che tocchiamo, non con mano, ma con dita tutti i giorni, si possano comunicare dati … così grezzi da essere paragonabili a quelli che viaggiavano su improbabili schede compilate con la biro Bic”
Chi quotidianamente, negli ospedali, fino a qualche settimane fa autentiche trincee di lotta e combattimento al Coronavirus, lotta e si fa il mazzo da mesi, indubbiamente, dello stramaledetto (virus) si è fatto un’idea tanto pratica, quanto competente e funzionale sulle modalità d’azione dello stesso, rapportate alla zona di riferimento. Per questo il dottor Maurizio Borghetti, sereno, rassicurante comunicatore, nonché medico radiologo e DocRock d’Italia, ha voce in capitolo, per esprimere, appunto forte della sua esperienza in prima linea (il reparto di radiologia presso l’ospedale Maggiore di Crema), ponderazioni e pensieri sulla pandemia che ha sconvolto la Lombardia e in particolare, la provincia di Cremona. Ecco le sue nuove considerazioni:
Allo stato attuale, il numero di polmoniti da Covid-19 resta minimale e di modesta gravità. Per chi insegue i contagi col tampone il numero un po’ cresce sempre, insieme alla difficoltà di comprendere ciò che avviene.
È per me un mistero che in un’epoca dove l’informatica è ai livelli che tutti conosciamo e che tocchiamo, non con mano, ma con dita tutti i giorni, si possano comunicare dati … così grezzi da essere paragonabili a quelli che viaggiavano su improbabili schede compilate con la biro Bic. Questo quando tutte le strutture sanitarie pubbliche e private, compresi i medici di base, sono dotati di computer e software ove inseriscono dati per database regionali e statali.
Come è possibile ad esempio che non siano mai stati associati a questi numeri, quello delle polmoniti accertate e il grado delle stesse, visto che la Tac viene ampiamente utilizzata a tal fine dai Pronto Soccorso, dai reparti degli ospedali e dai medici di base.
Oppure come mai non sono mai stati associati i percorsi, visto che ai fini di una valutazione dell’andamento della epidemia è evidentemente diverso il caso, purtroppo, finito subito in rianimazione, da quello che ci è arrivato dopo un periodo di ricovero con malattia già datata.
Tutto questo lo dico perché a mio avviso, in un’ epidemia terribile negli effetti più gravi, ma con larga prevalenza di asintomatici e paucisintomatici (vale a dire persone alle quali il virus non fa nulla o quasi) e localizzata prepotentemente in determinati territori, la valutazione preponderante del contagio e dello studio virologico, beh rischia di creare equivoci importanti ai fini delle misure da prendere, unito al fatto di non considerare correttamente l’evoluzione dello stesso virus epidemico, con buona pace del dottor Ippolito dell’Istituto Spallanzani di Roma, il quale a fine gennaio in televisione affermò un rischio molto basso di epidemia da SARS-CoV-2 in Italia, mentre oggi definisce “pagliacci” i colleghi che parlano di virus mutato.
Noi siamo sempre gli stessi. Quelli che stanno attenti, ma guardano quello che succede e non perdono la fiducia.
Dai Burdèl che ghe la fèm!
Così postò sulla sua pagina Facebook, Maurizio Borghetti, DocRock d’Italia.
Stefano Mauri