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Plasma iperimmune, da Pisa la risposta a Giuseppe De Donno: “Mettere da parte campanilismi”

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La risposta della direttrice di Aoup Silvia Briani alle polemiche dello pneumologo mantovano sulla scelta di Pisa come capofila della sperimentazione nazionale della plasmaterapia: “Scelti per criteri qualitatitivi e non quantitativi”. Per forza, fino al 5 maggio a Pisa erano stati trattati 2 pazienti, a Mantova 48 (e 48 salvi). Ma da quando si confonde il merito con il campanilismo?

 

Di Edoardo Montolli

 

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Arriva da Pisa la risposta a Giuseppe De Donno. Dopo che Iss e Aifa avevano scelto l’Aoup di Pisa come capofila della sperimentazione sperimantale del plasma iperimmune, lo pneumologo mantovano, pioniere della tecnica, aveva liquidato la vicenda come una «scelta politica». In un’intervista a Radio Padania Libera, parlando con il direttore Giulio Cainarca, si era spinto oltre (GUARDA), dicendo: «Solo in Italia poteva succedere una cosa del genere. Come fa ad essere considerato esperto della materia e capofila un centro che ha trattato due casi con il plasma? Cremona per casistica li ha superati trenta volte. Noi certamente non lo seguiremo e andremo per la nostra strada».

LA RISPOSTA DI PISA

Dai media locali arriva la risposta di Silvia Briani, direttore dell’Aoup pisana: «Anche se posso comprendere il suo punto di vista dopo mesi di stress e fatica per combattere il coronavirus, non trovo tuttavia corretto liquidare con battute poco felici il fatto che Pisa e la Toscana, per fortuna, abbiano registrato un numero di contagi molto inferiore alla Lombardia. Trovo quindi fuori luogo affermare che “Pisa non sa neanche cos’è il coronavirus” dal momento che il Covid-19 purtroppo lo conosciamo, lo studiamo e lo combattiamo come in tutti gli ospedali del mondo. Aggiungerei anzi che la guerra contro questa pandemia si vince solo lavorando in sinergia. E la comunità scientifica internazionale, che lavora in open source, deve essere il nostro faro, perché da soli non si va da nessuna parte».

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CRITERI QUALITATIVI

E aggiunge: «Quanto invece alle ragioni del disappunto del professor De Donno, vorrei sottolineare che ancor prima dell’Iss e dell’Aifa, il protocollo di studio toscano messo a punto a Pisa aveva già raccolto l’adesione di 4 regioni (Lazio, Marche, Umbria e Campania) e ora anche della Liguria, con in più l’Ispettorato di Sanità militare, oltre ad aver registrato il consenso di tutte le associazioni dei donatori e del Centro nazionale sangue. Questo per dire che il protocollo dello studio multicentrico randomizzato, risultato della sinergia fra gli ospedali e la rete toscana dei centri trasfusionali per la cura del Covid-19, è ben strutturato ed è stato scelto evidentemente secondo criteri qualitativi più che quantitativi, pur non avendo ancora arruolato il numero di pazienti già trattati a Mantova e Pavia».

DUE CASI TRATTATI

E questo tuttavia, appare francamente surreale: fino al 5 maggio Pisa, per loro stessa ammissione, aveva trattato appena due 2 casi di coronavirus con il plasma iperimmune (GUARDA), contro i 48 di Mantova (senza che si sia registrata alcuna vittima) oltre agli altri curati al San Matteo di Pavia. Sarebbe interessante sapere in base a quale criterio, che non sia la cieca fiducia, siano arrivate le adesioni delle quattro regioni. Eppure c’era un trial registrato il 25 marzo da Mantova, prima città occidentale a sperimentare il plasma. C’era un successo clamoroso, che ha avuto eco mondiale con il caso di Pamela Vincenzi (GUARDA) e c’era perfino il caso di un paziente dato praticamente per morto a Bergamo, salvato dal team mantovano. Ha detto in proposito il medico: «Lo ha salvato direttamente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, perché il paziente arrivava da 18 giorni di sindrome respiratoria acuta e non rientrava nel mio protocollo, su cui ero abbastanza rigido. Il Quirinale ha chiamato il prefetto e abbiamo deciso di infondere il plasma per uso compassionevole. Ecco, il paziente si è svegliato. E da allora sostengo: bisogna fare attenzione a dire di no alle cure. E non mi sento più di dire di no a nessuno». Soprattutto, e questo è davvero surreale davanti a migliaia di morti, De Donno ha ricordato: «In merito alla scelta di preferire il centro di Pisa alla nostra sperimentazione, non so perché sia accaduto. Pensi che io l’ho saputo dalle agenzie. Non hanno nemmeno atteso i nostri risultati, che francamente mi pare incomprensibile». – GUARDA

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BASTA CAMPANILISMI

Nè è dato modo di comprendere in cosa i criteri qualitativi possano portare l’Aoup di Pisa ad essere preferita al San Matteo di Pavia. In proposito, i media toscani riportano ancora le frasi della dottoressa Briani: «Proprio perché da soli non si va da nessuna parte, fra i principali investigators c’è anche il San Matteo di Pavia insieme a Pisa. In conclusione, vorrei smorzare le polemiche che, in questa fase, non hanno alcun senso, esortare a mettere da parte campanilismi di sorta e invece ringraziare tutti gli operatori sanitari di tutt’Italia che hanno dato il massimo in questi mesi così difficili e il cui contributo, ora più che mai, sarà decisivo per ripartire con le attività ordinarie, mantenendo altissima la guardia affinché la curva dei contagi non si rialzi e si possa presto tornare alla normalità».

Ma quelli che lei chiama campanilismi, si chiamano nel resto del mondo con un nome più appropriato: meriti. Prima offuscati da deliranti polemiche sui costi del plasma (in realtà irrisori) e sulla sua pericolosità (praticamente non bisognerebbe allora fare più una sola trasfusione, dato che il criterio di purificazione del plasma iperimmune è il medesimo del plasma comune), poi dall’accusa che il professore mantovano cercasse visibilità paventando inesistenti complotti.

Di fatto la sperimentazione gli è stata portata via da sotto il naso da un’azienda ospedaliera che ha trattato due casi. E ad aver visibilità, in tv, sono ancora le stesse persone che ci propinavano scemenze sull’assenza di rischi in Italia o che bollavano il coronavirus come una forte influenza. Tuttora, lì, a pontificare senza vergogna su cosa sia giusto fare e cosa non lo sia. – TUTTO SUL PLASMA IPERIMMUNE

Edoardo Montolli

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

Un commento

  1. Gentile Dr.ssa Briani,ritengo inqualificabile la scelta di Pisa per la continuazione della sperimentazione e ritengo sia una scelta POLITICA ingiusta .Parlare di ”lasciare da parte i campanilismi’ è ridicolo! La sperimentazione di Mantova e Pavia è di valenza diversa da quella di Pisa.Non sono un medico e quindi non entro nel merito della professionalità dell’ospedale di Pisa,sicuramente più che idoneo e serio,ma non di questo stiamo parlando.
    Ho seguito la sperimentazione del Dr. De Donno e ho potuto constatare quanto sia stato boicottato dalla medicina in primis e dai media poi.
    Buona continuazione e..nulla di personale.

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