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Plasma iperimmune, Mario Martinetti: “Associato alla giusta terapia domiciliare, azzererà la mortalità da coronavirus”

Parla l'anestesista autore di una prontuario per i medici di base impegnati contro il covid

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Le nuove indicazioni dell’anestesista di Sarzana Mario Martinetti sulla terapia domiciliare: in un’intervista a Fronte del Blog aveva raccontato come, tra chi si aggravava a casa, ne morissero 9 su 10.  I fatti gli hanno dato ragione. Ora dice: “Con l’intervento precoce e il plasma iperimmune, oro contro il covid, la mortalità da coronavirus sarebbe azzerata”

 

Di Rino Casazza

L’anestesista dell’ospedale di Sarzana Mario Martinetti, ha diffuso su Facebook  due post. Prima di addentrarci nel merito e di capire dove si vada a parare, diamo un’occhiata al primo di essi, sulla terapia domiciliare nella cura del coronavirus: 

NON FACCIAMOCI PRENDERE DI SORPRESA: Nella fase due rispettiamo il più possibile le regole di distanziamento e di igiene, ma nel caso venissimo contagiati, in scienza e coscienza, ricordo i punti essenziali, da condividere ovviamente con il vostro medico. Di sicuro non ci sono linee guida univoche né uniformità di trattamento.  Quello che sin da subito vi ho proposto ha comunque un grado di  EVIDENZA SCIENTIFICA di tipo III C. RICAPITOLANDO:

1) Il nodo centrale è quello di agire sui paucisintomatici per evitare progressione del quadro clinico ed ospedalizzazione
2) Allo stato attuale per evitare la progressione e bloccare la famigerata tempesta citochinica è ragionevole utilizzare Idrossiclorochina 400 mg x 2 il primo giorno poi 200mg x 2 per 7-10 giorni associando Doxiciclina 200 mg/giorno (non interferisce su QT). 
3) Sicuramente Enoxaparina sottocute.  Sul dosaggio più efficace ci sono studi in corso. Suggerito 100 UI/kg di peso ( max 8000 UI/giorno)
4) Sulla vitamina C non c’è nessuna evidenza. 
5) Qualcosa sulla vit D ma comunque non evidence based:  Giorno uno 50.000 UI, giorno cinque 50.000 UI, dal giorno dieci 10.000 UI/giorno.
6) Gli antivirali fino ad ora utilizzati li stanno progressivamente abbandonando.  Studi in corso sul Remdesivir
NB: Parliamo di terapia domiciliare!!!  In ospedale poi si può fare qualcosa di più ma non entro qui nel merito.
AGGIUNGO ESAMI EMATICI semplici, ma utilissimi per definire il quadro clinico!!! Emocromo con formula, Fibrinogeno, coagulazione, D Dimero, VES, PCR (proteina C reattiva), Ferritina, LDH, Transaminasi;
CERCHIAMO DI RESTARE POSITIVI E INFORMATI !

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Il secondo post è dedicato al plasma iperimmune, di cui molto si discute in questi giorni e su cui Martinetti ha idee chiare:

PLASMAFERESI  e PLASMA IPERIMMUNE, parole magiche contro la CoVID-19.

Non possiamo permetterci di perdere “l’oro” che circola (purtroppo solo per qualche settimana) nelle vene delle persone guarite, e che potrebbe salvare moltissime vite umane. Bisogna richiedere all’istante un tavolo tecnico con Pneumologi, Trasfusionale, Avis, Immunologi etc., per predisporre al più presto anche nella nostra ASL l’attivazione del protocollo del San Matteo di Pavia. Da un singolo paziente si recuperano circa 600 cc di plasma, che viene suddiviso in due sacche, che possono essere così utilizzate per salvare 2 persone.  Questo plasma può essere conservato per circa 6 mesi, e potrebbe così tornare utile anche in un’eventuale recrudescenza dell’infezione!!!

Associato alla terapia precoce dei paucisintomatici, si potrebbe AZZERARE la letalità del CoVID-19! NB:  E’ una terapia! NON è assolutamente in antitesi con le ricerche sul Vaccino, che è invece una profilassi! ” 

Può sembrare uno dei numerosi interventi estemporanei e di dubbia accuratezza sulla pandemia in corso che si trovano a profusione sui social.

Non è così.

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QUEI MORTI TRA CHI SI AGGRAVA A CASA

 

In un post dello scorso 26 marzo, al culmine del contagio, avevo intervistato l’autore, medico specializzato in anestesia e rianimazione e dirigente del settore Terapia del dolore e Cure Palliative dell’ospedale di Sarzana, in provincia di La Spezia.

L’avevo contattato perché colpito da un altro post che aveva diffuso su Facebook, contenente un prontuario con indicazioni cliniche e farmacologiche per la terapia domiciliare dei pazienti “paucisintomatici” con influenza da covid-19. – GUARDA IL PRONTUARIO

Martinetti ha poi costantemente aggiornato il documento sulla base delle novità terapeutiche.

Era la prima volta che sentivo il termine “paucisintomatico”, ma l’antico studio del latino mi è venuto in soccorso: significa “con sintomi di lieve entità”.

In quel momento l’attenzione dell’opinione pubblica era tutta rivolta verso la cosiddetta terapia intensiva, di cui con angoscia si constatava il sempre maggior ricorso per trattare i malati di coronavirus, in un’escalation che rischiava di assorbire da un giorno all’altro tutta la disponibilità delle strutture di rianimazione. A quel punto, non ci sarebbe stato più modo di curare i pazienti che avevano contratto la più grave complicanza dell’influenza pandemica: la temibile polmonite interstiziale bilaterale.

Perché il mio amico, in totale controtendenza, si preoccupava dei malati che avevano contratto l’influenza in forma lieve? Quelli che, nel linguaggio delle conferenze stampa giornaliere della Protezione Civile, avevamo imparato a conoscere come “pazienti in isolamento domiciliare”?

I fortunati che, per non essere in condizioni preoccupanti, potevano affrontare la malattia a casa loro, restando a riposo e contenendo gli attacchi febbrili con la tachipirina?

L’intervista mi ha aperto gli occhi.

Martinetti mi ha spiegato, in modo semplice ma rigorosamente documentato, facendo riferimento  agli studi clinici e ai report che provenivano da Wuhan in Cina, primo focolaio dell’infezione, che il modo più efficace di combattere il contagio non era potenziare la terapia intensiva, estremo rimedio per salvare i malati già gravi,  ma intervenire prima, dedicando la massima attenzione ai paucisintomatici .

Infatti, si aveva notizia di quanto la malattia fosse subdola, con un inizio lento e blando, per poi di colpo aggravarsi in modo pressoché irreparabile.

Ecco perché in Cina, come documentavano le immagini televisive, erano stati approntati con urgenza ospedali con un grandissimo numero di posti letto: non per accogliere malati bisognosi di terapia intensiva, ma per offrire cura ospedaliera ai pazienti ai primi stadi, con l’obiettivo di monitorarne costantemente le condizioni e somministrare rimedi farmacologici più sofisticati della semplice tachipirina. Così da scongiurare che, aggravandosi, mettessero in crisi le strutture di rianimazione.

Martinetti mi aveva inoltre confermato quanto si vociferava con sempre più insistenza, ovvero che la terapia intensiva fosse già da tempo insufficiente rispetto all’ondata di malati gravissimi, tant’è vero che la SIAARTI, l’organismo ufficiale dei medici specializzati in rianimazione, fin dalla fine di febbraio aveva diramato indicazioni per scegliere quali malati sottoporre alla terapia intensiva nel caso non ci fosse stato posto per tutti. (GUARDA IL DOCUMENTO CHOC) Perché lo avrebbe fatto, se le strutture di terapia intensiva stavano reggendo?

Sulla terapia intensiva Martinetti spiegava, inoltre, un altro motivo per cui non era da considerarsi la panacea contro il contagio:  l’aggravamento dei malati paucisintomatici non solo stava avvenendo in un numero di casi troppo elevato rispetto alle disponibilità di posti letto in rianimazione, ma risultava talmente serio che la stessa terapia intensiva non poteva più garantire la guarigione.

Affermazioni scioccanti.

Purtroppo, nei giorni successivi hanno ricevuto piena conferma, rendendo merito alla scrupolosità di Martinetti.

Innanzitutto, è diventato pubblico un appello sottoscritto da 100.000 medici,  rivolto al Ministro della Sanità che l’ha recepito ringraziando apertamente per il contributo, in linea con l’analisi di Martinetti sulla crucialità della terapia dei paucisintomatici.

Lo abbiamo pubblicato per primi, ma lo  riportiamo di seguito:

“Siamo un gruppo di circa 100.000 Medici,  di tutte le specialità e di tutti i servizi territoriali e ospedalieri sparsi per tutta Italia,  nato in occasione di questa epidemia,  che da quasi 2 mesi ormai,  sta scambiando informazioni sull’insorgenza della malattia causata dal  Coronavirus, sul come contenerla,  sul come fare , a chi rivolgersi,  come orientare la terapia, come e quando trattarla, e siamo pressoché giunti alle stesse conclusioni : i pazienti vanno trattati il più presto possibile sul territorio,  prima che si instauri la malattia  vera e propria,  ossia la polmonite interstiziale bilaterale,  che quasi sempre porta il paziente in Rianimazione.  Dagli scambi intercorsi e dalla letteratura mondiale, si  è  arrivati a capire probabilmente la patogenesi di questa polmonite,  con una cascata infiammatoria scatenata dal virus attraverso l’ iperstimolazione  di citochine, che diventano tossiche per l’organismo e che aggrediscono tutti i tessuti anche vascolari, provocando fenomeni trombotici e vasculite dei diversi distretti corporei, che a loro volta sono responsabili del quadro variegato di sintomi descritti. I vari appelli finora promossi da vari Organismi  e  Organizzazioni sindacali, che noi  abbiamo condiviso appieno, sono stati rivolti a chiedere i tamponi per il personale sanitario, a chiedere i dispositivi di sicurezza per tutti gli operatori,  che spesso hanno sacrificato la loro vita, pur di dare una risposta ai pazienti,  non si sono tirati  indietro, nessuno. Proprio per non vanificare l’abnegazione di medici e personale sanitario,  oltre ai 1)Dispositivi di Protezione e ai 2) Tamponi,  chiediamo di 3)Rafforzare il Territorio , vero punto debole del Servizio Sanitario Nazionale,  con la possibilità per squadre speciali, nel decreto ministeriale del 10 Marzo, definite 4)USCA, di essere attivate immediatamente in tutte le Regioni, in maniera omogenea,  senza eccessiva burocrazia, avvalendosi dell’esperienza di noi tutti nel trattare precocemente i pazienti,  anche con terapie off label, alcune delle quali peraltro già autorizzate dall’ AIFA. Siamo giunti alla conclusione che il trattamento precoce può fermare il decorso dell’infezione verso la malattia conclamata e quindi arginare, fino a sconfiggere l’epidemia. Il riconoscimento dei primi sintomi , anche con tamponi negativi ( come abbiamo avuto modo di constatare nel 30% dei casi) è di pura pertinenza Clinica, e  pertanto chiediamo di mettere a frutto le nostre esperienze cliniche,  senza ostacoli burocratici nel prescrivere  farmaci, tamponi, Rx e/o TC, ecografia polmonare anche a domicilio, emogasanalisi,  tutte cose che vanno a supportare la Clinica, ma che non la sostituiscono. Lo chiediamo,  indipendentemente dagli schieramenti politici e/o da posizioni sindacali , lo chiediamo come Medici che  desiderano ed esigono di  svolgere il proprio ruolo attivamente  e al meglio, dando un contributo alla collettività nell’interesse di tutti. Lo chiediamo perché tutti gli sforzi fatti finora col distanziamento sociale, non vadano perduti, paventando una seconda ondata di ricoveri d’urgenza dei pazienti tenuti in sorveglianza attiva per 10-15 giorni, ma che non sono stati visitati e valutati clinicamente e che ancora sono in attesa di tamponi. La mappatura di questi pazienti,  asintomatici o paucisintomatici,  e di tutti i familiari dei casi conclamati è oltremodo indispensabile per non incorrere in un circolo vizioso, con ondate di ritorno dei contagi appena finirà il ” lock down”.

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Inoltre, ha suscitato scalpore la notizia che anche il Servizio Sanitario britannico, travolto da un’ondata di contagio grave quanto quella italiana, aveva diramato una direttiva di “medicina delle catastrofi”, fornendo ai medici ospedalieri , nella penuria di risorse per soddisfare tutte le necessità, i criteri per selezionare  i pazienti da sottoporre a terapia intensiva , sacrificando gli altri.

È di questi giorni la testimonianza, raccolta da Repubblica, dell’anestesista di Piergiorgio Welby, Mario Riccio,  uno dei medici operativi in prima linea durante l’emergenza, il quale parla apertamente di un sacrificato su tre.

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Il dramma de “i sommersi e i salvati” del coronavirus è stato, insomma, una realtà durante il picco dell’epidemia.

Non basta. Dopo che si sono moltiplicate le segnalazioni di una vera e propria “strage degli intubati per coronavirus”, un articolo di Business Insider ha riferito di un dato medio di mortalità del 40/50% tra i pazienti dell’influenza pandemica sottoposti a terapia intensiva, con una punta dell’80% nella città di New York.

Sull’argomento è intervenuto uno dei luminari italiani della rianimazione,  Luciano Gattinoni, il quale ha spiegato in un’intervista rilasciata a ADNKRONOS come l’influenza da covid-19 sia una malattia sistemica, non solo polmonare, per cui le stesse procedure di rianimazione vanno modulate ed adattate, intervenendo ove possibile prima che la cosiddetta “tempesta di citochine”, l’abnorme reazione immunitaria dell’organismo umano al virus, che causa un grave stato di infiammazione in tutto il sistema circolatorio, arrivi al punto di non ritorno.

La non centralità della terapia intensiva nella terapia del covid-19 è altresì dimostrata dal fatto che l’ospedale specializzato in rianimazione approntato in tempo di record in un padiglione della Fiera di Milano, è rimasto pressoché inutilizzato in quanto, nel frattempo, le drastiche misure di lockdown disposte dal governo, e un miglioramento nella cura della malattia negli stadi iniziali ( quella per cui Martinetti si è appassionatamente speso) ad opera dei presidi territoriali hanno frenato il diffondersi dell’epidemia.

Si noti che, nel suo ultimo post, il dottor Martinetti inserisce nell’armamentario di cure dell’influenza pandemica precedenti e alternative alla terapia intensiva anche l’utilizzo del cosiddetto plasma iperimmune di cui tanto si sta parlando negli ultimi giorni.  (TUTTO SUL PLASMA IPERIMMUNE, QUI)

Questo plasma, ricavato da pazienti guariti, se trasfuso nei malati non ancora  giunti all’ultima, esiziale fase dell’infezione sarebbe in grado di ottenere la loro guarigione evitando il ricorso alla rianimazione.

Sottolineiamo che il dato ancora alto di decessi nella fase attuale, caratterizzata dal netto declino dei sintomatici, che così tanto preoccupa autorità sanitarie e opinione pubblica, è verosimilmente una drammatica coda della fase acuta. Ovvero, oltre a quanti sono in condizioni così compromesse, e particolarmente le persone in età avanzata, da non poter sopportare la terapia intensiva, si starebbero spegnendo i malati gravi che quest’ultima non è riuscita a salvare.

Rino Casazza

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Rino Casazza

Rino Casazza è nato a Sarzana, in provincia di La Spezia, nel 1958. Dopo la laurea in Giurisprudenza a Pisa, si è trasferito in Lombardia. Attualmente risiede a Bergamo e lavora al Teatro alla Scala Di Milano. Ha pubblicato un numero imprecisabile di racconti e 15 romanzi che svariano in tutti i filoni della narrativa di genere, tra cui diversi apocrifi in cui rivivono come protagonisti, in coppia, alcuni dei grandi detective della letteratura poliziesca. Il più recente è "Sherlock Holmes tra ladri e reverendi", uscito in edicola nella collana “I gialli di Crimen” e in ebook per Algama. In collaborazione con Daniele Cambiaso, ha pubblicato Nora una donna, Eclissi edizioni, 2015, La logica del burattinaio, Edizioni della Goccia, 2016, L’angelo di Caporetto, 2017, uscito in allegato al Giornale nella collana "Romanzi storici", e il libro per ragazzi Lara e il diario nascosto, Fratelli Frilli, 2018. Nel settembre 2021, è uscito "Apparizioni pericolose", edizioni Golem. In collaborazione con Fiorella Borin ha pubblicato tre racconti tra il noir e il giallo: Onore al Dio Sobek, Algama 2020, Il cuore della dark lady, 2020, e lo Smembratore dell'Adda, 2021, entrambi per Delos Digital Ne Il serial killer sbagliato, Algama, 2020 ha riproposto, con una soluzione alternativa a quella storica, il caso del "Mostro di Sarzana, mentre nel fantathriller Al tempo del Mostro, Algama 2020, ha raccontato quello del "Mostro di Firenze". A novembre 2020, è uscito, per Algama, il thriller Quelle notti sadiche.

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