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I Signori delle Città, tutti i segreti delle fondazioni bancarie: “Così li abbiamo svelati”

Intervista agli autori del libro sul potere economico

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È uscito il 27 febbraio per Ponte alle Grazie il libro d’esordio di due giovani giornalisti d’inchiesta, Alessandro di Nunzio e Diego Gandolfo. Titolo del libro: “I Signori delle città”, sottotitolo: “la prima inchiesta completa sul potere e i segreti delle fondazioni bancarie”. Un libro inchiesta coraggioso, frutto di anni di ricerca attraverso testimonianze inedite e misteriosi insider. Li abbiamo incontrati

 

Molti si chiederanno – ed è lecito – cosa sia una fondazione bancaria e cosa stia a indicare quel “Signori delle città”. Ecco, prima di entrare nel merito, va dato atto ai due autori di aver reso fruibile al grande pubblico un argomento solitamente riservato a pochi addetti ai lavori o a cultori della materia (in questo caso economica). Non solo, Gandolfo e di Nunzio hanno avuto la (rara) capacità di riuscire a sviscerare un tema di per sé complicato, dando forma a quello che si potrebbe definire un ibrido o, ancora più audacemente, un nuovo genere letterario in bilico tra l’inchiesta, il thriller economico e il manuale.

In questo caso, un vademecum di giornalismo investigativo, dove non mancano i consigli per riuscire a carpire informazioni (in modo legale, sia chiaro) e convincere fonti coperte a svelare i segreti di cui sono a conoscenza. Un lavoro durato anni (nove, per l’esattezza), non privo di rischi anche concreti, perché si sa, quando si parla d’interessi che scomodano cifre a tanti zeri, il pericolo di essere travolti da una valanga di querele e discredito è quanto mai reale.

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Ma torniamo alla domanda iniziale, cos’è una fondazione bancaria. Ci risponde la quarta di copertina del libro: A prima vista le fondazioni bancarie sono creature stranissime. Simbolo della filantropia italiana, custodiscono un tesoro da 40 miliardi di euro. Sono enti privati e autonomi, ma gestiscono un patrimonio sostanzialmente pubblico. Nate quasi per caso nel 1990 allo scopo di privatizzare il sistema bancario, sono finite per controllarlo del tutto. Fino a diventare il governo “ombra” di molte città italiane.

Naturale, a questo punto, delineare anche il profilo de “I Signori delle città”. “Inizialmente neanche noi sapevamo chi fossero” spiegano gli autori. “Poi, pian piano, sviscerando il potere delle fondazioni bancarie nel sistema economico attuale, iniziammo a capire che fino a quel momento i loro presidenti, spesso sconosciuti alla società civile, avevano governato le città in modo silenzioso, avevano di fatto controllato il sistema bancario per anni. I Signori delle città hanno avuto il privilegio di godere di un incontestabile alone da mecenati, di gestire un patrimonio miliardario della collettività, ma in alcuni casi hanno abusato di questo ruolo, sperperando i soldi dei cittadini”. Per definire ulteriormente il profilo di questi “Signori”, riprendiamo ancora la quarta di copertina: Sul trono delle fondazioni siedono presidenti spesso più rispettati dei sindaci, uomini in grado di spostare consensi e influenzare l’agenda politica del loro territorio. Professori universitari, massoni in sonno, benefattori illuminati, stimatissimi negli ambienti dell’alta società, ma anche despoti a vita, imperatori del no profit, mecenati coi soldi nostri e personaggi di autentico potere, sconosciuti ai più.

Le fondazioni bancarie, in poche parole, sono la spina dorsale di settori come l’arte, l’assistenza sanitaria e sociale, la ricerca, e molti altri. Settori che senza il supporto di queste curiose creature, andrebbero drammaticamente in affanno. Ma allo stesso tempo, le fondazioni bancarie, o meglio, i loro presidenti (leggasi anche “Signori”, nel senso più feudale possibile), in molti casi hanno affossato intere comunità e determinato il fallimento di quei settori che avrebbero dovuto beneficiare della loro esistenza, e tutto questo a causa di una gestione opaca e scriteriata del denaro collettivo, troppo spesso utilizzato come se fosse privato.

 


 

Un’inchiesta inedita, dunque, ma soprattutto coraggiosa. A chi mai verrebbe in mente di andare a chiedere al presidente di una fondazione in quale modo vengano utilizzati i denari della collettività? Ecco, i due giovani giornalisti l’hanno fatto e nel libro gli aneddoti (talvolta ai limiti del grottesco) si sprecano.

Alessandro di Nunzio e Diego Gandolfo si conoscono ai tempi dell’Università. Galeotto fu un incontro a Bologna con il giornalista Ferruccio Pinotti, che coinvolse i due – non ancora laureati – nella stesura del libro poi pubblicato con Chiarelettere “La lobby di Dio”. Questo il loro battesimo del fuoco. E da quel momento non si sono più separati. Ma perchè un libro sulle fondazioni?

“Dopo mesi di ricerca”, spiega Diego Gandolfo, “ne abbiamo capito finalmente il funzionamento, i cortocircuiti e il perfido malinteso di un patrimonio collettivo gestito privatamente. Gli spunti investigativi erano schiaccianti e nessuno se ne era mai occupato prima. Solo qualche articolo sparso e qualche critica feroce da parte di economisti come Boeri. Ma niente di più. Che altro serviva affinché il mondo s’interessasse di loro? Ci siamo presi sulle spalle un’investigazione più grande di noi”.

E Gandolfo non parla certo a sproposito: 40 miliardi gestiti, 88 fondazioni bancarie, personaggi potenti e sconosciuti, un mondo di enti privati dove le carte sono inaccessibili. Questi erano gli ingredienti iniziali, che non lasciavano certo presagire un lavoro semplice e immediato. La domanda sorge spontanea: da dove partire? Dove mettere le mani senza rischiare di restare imbrigliati in una matassa inestricabile?

“La primissima mossa”, raccontano gli autori, “è stata studiare la storia economica del passaggio tra banche pubbliche e banche private. È come il Big bang per uno studioso del cosmo. La legge Amato che cambia il sistema e fa nascere i Signori delle città è il passaggio cruciale. Mesi dunque a spulciare volumi di storia bancaria, articoli e pareri di economisti. La svolta è stata capire che le fondazioni gestiscono un tesoro che appartiene a noi in quanto collettività, non ai loro presidenti”. Ad aiutarli in questa impresa, circa 250 persone, “consapevolmente e inconsapevolmente”, ci tengono a precisare.

Come già detto, buona parte di questa inchiesta è stata realizzata grazie a fonti coperte, o per usare un termine oggi di moda, dei whistleblowers: “Questo lavoro non sarebbe stato possibile se non ci fossero state le fonti coperte con le loro segnalazioni, le loro testimonianze, i loro documenti. Non è stato semplice scovarle. Le abbiamo incontrate sotto la pioggia, a casa, al tavolino di un bar, persino dentro gli ascensori, ovunque. Sono loro i veri protagonisti di questo racconto. Per ingraziarci la fiducia di una fonte, abbiamo dovuto invitarlo quattro volte a pranzo fuori. È stato costosissimo”.

Un’inchiesta al cardiopalma, dove più di una volta agli autori del libro è capitato di seguire storie che si svolgevano in diretta e di cui, a loro modo, sono stati spettatori privilegiati. Ma anche momenti di profondo sconforto: “Ci siamo trovati a inseguire per due mesi la soffiata di un presidente che si accreditava soldi appartenenti al terzo settore. C’erano testimoni oculari, gente che aveva visto ma era stata licenziata, indizi forti. Alla fine non si arrivò a nulla”.

Non è certo una domanda che ci si pone spesso, ma quanto costa sostenere un’inchiesta del genere per tanti anni, senza alle spalle la garanzia di una testata giornalistica che faccia da tutela non solo economica ma, soprattutto, legale? “Tra viaggi, aerei, treni, benzina e caselli autostradali”, rispondo gli autori, “abbiamo speso circa tremila euro. Se poi contiamo i pranzi per saziare le fonti coperte, le centinaia di visure camerali, le consulenze tecniche e i collaboratori, arriviamo a circa settemila euro. Per non contare poi il nostro lavoro investigativo, che non riusciremmo a quantificare”.

Quello del giornalista d’inchiesta freelance (per non dire precario, che suona male), in effetti è al giorno d’oggi uno dei mestieri che offre sul piatto meno garanzie. Occorre certamente un incrollabile passione civile, senza cui sarebbe impossibile tollerare i sacrifici personali, il tempo sottratto ai propri cari e il rischio di perdere tutto. “Un lavoro investigativo del genere può attirare l’intolleranza e la violenza economica del potente di turno. Se ci fosse la legge sulle querele temerarie, che disincentiva l’arroganza del potere, saremmo più tutelati”. E allora perché esporsi a un rischio del genere? “Lo fai perché credi che si possa cambiare qualcosa”, spiega Gandolfo, “sicuramente non per il profitto o per la gloria. Le soddisfazioni spesso arrivano e cancellano tutto la sofferenza che c’è stata”.

Tornando al libro edito da Ponte alle Grazie, i due autori ci tengono a sottolineare la sua natura di esperimento letterario: “Non è la classica inchiesta economica tecnica e a tratti noiosa, ma una sorta di romanzo investigativo. Ci siamo divertiti a fare emergere il backstage del nostro lavoro investigativo: raccontiamo al lettore come facciamo a scoprire le cose, come ci siamo intrufolati ovunque, come fiutiamo una pista, come troviamo un numero di telefono introvabile, come “rubiamo” un’intervista al potente di turno che non vuole farsi intervistare. Insomma, non il classico saggio d’inchiesta, ma una cosa nuova, secondo noi molto bella. Ecco, in questo senso possiamo definirlo un manuale, in cui il lettore può trovare il dietro le quinte che di solito il giornalista tiene per sé”.

Gianluca Zanella

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I Signori delle città – GUARDA

 

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Gianluca Zanella

Gianluca Zanella, giornalista, editor e agente letterario. Dal 2015 collabora con alcune tra le maggiori realtà editoriali del panorama italiano. Specializzato in libri d'inchiesta, tra i molti titoli su cui ha lavorato troviamo Nome in codice Siegfried di Adriano Monti e Alessandro Zardetto (Chiarelettere, 2016); Supernova e Il Sistema Casaleggio, di Nicola Biondo e Marco Canestrari (Ponte alle Grazie, 2018); Dietro il mephisto del Comandante Alfa (Longanesi, 2020). Per la narrativa, ha riscoperto il caso letterario Frieda, di Christophe Palomar, già pubblicato da una piccola casa editrice nel 2015 e ripubblicato da Ponte alle Grazie nel 2020. Collabora con Aise (Agenzia internazionale stampa estera) dal 2018. Per Ponte alle Grazie cura l'ufficio stampa del settore inchieste e nel 2018 ha fondato Gianluca Zanella Editing, service per case editrici e privati.

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