Parlare della violenza sulle donne di questi tempi è difficile. Pare non sia politicamente corretto, l’emergenza emerge su ogni altra esigenza, e la paura su ogni altra paura, la semplificazione su ogni situazione complessa
“Dora chi è al telefono”
“La mamma Caro, ma ora chiudo”
“ Sempre la mamma, tutto bene? Salutamela, anzi passamela un secondo!”
Sono Dora ho 43 anni. Tu oggi ti senti rinchiuso, io lo sono da quando ho detto di si al mio aguzzino 10 anni fa. La quarantena e #iorestoacasa mi sono scesi lungo la schiena e nel cuore come una pugnalata, come una seconda porta chiusa, sbattuta sul mio viso.
La chiave è sempre nelle sue mani ma ora ha anche il lucchetto, la scusa plausibile della nostra incolumità fisica. Penso alle botte che arriveranno precedute da insulti e seguite da lunghe scuse e pianti. Si moltiplicheranno perché il tempo e lo spazio saranno tragicamente ridotti.
Sono terrorizzata. Non posso più accudire la signora anziana che curavo. Lavoro in nero, e comunque lei il coronavirus lo ha preso. Era l’unico lavoro che lui mi permetteva di fare e anche un oasi di pace. Non perché potessi usare il telefono i social e chiacchierare con chi volevo, avere relazioni umane, no, lui avrebbe controllato comunque.
La signora era il mio rapporto umano. Magari le avessi dato ascolto. Mi bastava respirare un’aria più leggera. Credo si sentano così i detenuti durante l’ora d’aria. Ieri sera l’ennesima notte passata a urla e schiaffi, per una cena non di suo gusto, eppure prima avevamo brindato. E’ riuscito come sempre nei suoi monologhi assurdi a darmi della troia, era geloso.
La mattina sono andata con lui in farmacia per cercare disinfettante e mascherine. Posso così coprire i lividi di ieri. La farmacista mi guarda, mi scende una lacrima ma ho poco tempo, non so come lei potrebbe aiutarmi, e forse neppure lei sa come fare. Non dico altro, esco e credo sia meglio così, in fondo lui è buono, è solo che in questi giorni tutti sono nervosi.
Io del Virus non ho paura, non ho paura di morire, non ho neppure paura che lui muoia, tanto penso toccherà a me. Al ritorno intravedo alla finestra il mio vicino di casa, che ci guarda torvo. Caro vicino curioso, se invece di criticarmi che sono a braccetto di mio marito, che so che non si potrebbe, denunciassi le urla che senti, le porte che sbattono, le male parole, potresti salvarmi. Questa sì sarebbe civiltà. Domani penserai come me: troppo tardi.
Sì, troppo tardi: “Oggi mi ha uccisa”.
Epitaffio Dora 43 anni Vittima di Violenza e Indifferenza
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La realtà è peggio della fantasia.
Parlare della violenza sulle donne di questi tempi è difficile. Pare non sia politicamente corretto, l’emergenza emerge su ogni altra esigenza, e la paura su ogni altra paura, la semplificazione su ogni situazione complessa. Ad oggi oltre al numero di telefono dedicato e ad APP non si sono messi in campo altri sistemi a sostegno della violenza domestica, altre modalità per permettere alle Donne di denunciare, di tutelarsi anche attraverso altri canali. Vorrei vedervi in casa ad usare un’app con chi vi controlla. Ci vuole coraggio molta fantasia e noi donne dobbiamo arrangiarci sempre da sole.
Epikurea si occupa di prevenzione delle fragilità e delle relazioni. Abbiamo subito compreso che questa emergenza sanitaria avrebbe favorito la situazione di fragilità di quante vivono già il problema della violenza domestica e avrebbe esasperato quelle relazioni in cui uno stato di stress forte può far scattare una scintilla sopita in tempi ordinari da mille altri impegni e stimoli.
Succede anche in una Regione come l’Abruzzo dove le persone hanno maggiore possibilità di vivere il LOCKDOWN in maniera più rilassante per motivi geografici e di densità di popolazione, immaginiamo altrove.
Ci siamo messi nei panni delle donne e abbiamo pensato a parole d’ordine da usare in luoghi in cui ora potrebbero recarsi come farmacie e supermercati da cui potrebbe partire già la segnalazione. Abbiamo trovato esperienze di questo tipo già applicate anche prima del COVID19 in altri paesi.
Sappiamo che non è facile l’uso della parola d’ordine, per la rete organizzativa da mettere in moto, e anche per le donne stesse, ma è sempre una goccia in più, un possibilità in più che potrebbe salvare una vita in più. Sulla base di questo abbiamo formulato una proposta di nuovi strumenti e di collaborazione che prevederebbe l’attuazione di un sistema di Rete attraverso tutte le Associazioni. Anche le più disparate e improbabili potrebbero ricevere una richiesta di aiuto che poi passerebbero come segnalazione ai Centri Antiviolenza. Ad oggi siamo rimasti inascoltati sia livello locale che nazionale. Per fare un esempio: Chiamo l’ADICONSUM di Piacenza per un fittizio reclamo e pronuncio la parola d’ordine prestabilita. Da li parte una segnalazione.
E’ un modo di ripensare il problema coinvolgendo tutto il sistema. Come la lotta al virus dovrà essere Globale, anche il contrasto alla violenza a tutte le fragilità e alle discriminazioni di genere dovrebbe assumere una forma Globale di intesa e di lotta.
Parlarne avrebbe potuto far nascere idee anche migliori, ma non abbiamo trovato interlocutori. Abbiamo verificato che le associazioni preposte al servizio antiviolenza non considerano la possibilità di sfruttare le esperienze estere. Legano la denuncia di violenza unicamente ai loro canali d’accesso. A volte può essere difficile accedere attraverso il telefono a numeri o APP riconoscibili e Istituzionali. La lotta contro la violenza delle donne non deve appartenere a ragioni di partito, nessuno, nessuno, ma appartenere ad una logica di facciamo di tutto per una vita in più.
Simona Tonini
Roberto Provenzano
Epikurea APS -epikureaconsulenza@gmail.com