Una giornata di lutto per la letteratura per la morte del grande scrittore cileno Luis Sepúlveda, ennesima vittima del Coronavirus. Anche lui rimasto invano un mese e mezzo in rianimazione
Di Rino Casazza
Molti ricorderanno che il celebre autore de La gabbianella e il gatto che le insegnò a volare, si era ammalato alla fine di febbraio. Manifestatisi i primi sintomi il 25, si era rivolto ai medici il 27, ed era stato subito ricoverato nel reparto di terapia intensiva dell’ospedale di Gjion, in Spagna. Essendo stata riscontrata la positività al Covid-19, era stato trasferito all’ospedale maggiore di Oviedo, dove è rimasto in rianimazione per un mese e mezzo, sino ad ieri, quando anche gli ultimi sforzi per mantenerlo in vita si sono rivelati vani.
Sulla grandezza, indubbia, di Sepulveda nell’ambito della narrativa, e prima ancora della cultura contemporanea, è giusto che si esprima, come ha sempre fatto, la critica letteraria.
La drammatica vicenda della sua morte offre lo spunto per svolgere alcune considerazioni sulla risposta delle strutture sanitarie alla pandemia da coronavirus.
Lo scrittore cileno è una delle più celebri vittime tra le molte migliaia di pazienti che, sottoposti alla terapia intensiva dopo esser stati contagiati dal covid-19, non sono riusciti a sconfiggere la malattia.
Eppure il ricorso alla c.d. “ventilazione assistita“ è stato presentato, da subito, come l’ unico metodo valido per curare i malati della nuova influenza nella sua forma più grave, quella contraddistinta dalla famigerata “polmonite bilaterale intersiziale”. Come raccontano le impressionanti testimonianze, in tal caso il malato, in grave debito di ossigeno, cerca affannosamente l’aria come se stesse annegando.
E’ così vero che la ventilazione assistita veniva considerata e indicata come indispensabile nei malati gravi di convid-19, che negli ospedali di tutta italia c’è stata una corsa contro il tempo per aumentare i letti di terapia intensiva, raddoppiati nel giro di un mese. Nel frattempo, si moltiplicavano i segnali che, laddove la recettività in questa branca terapeutica era insufficiente, i medici erano costretti a scegliere chi curare e chi lasciare senza assistenza, condannandolo alla morte.
Nell’intervista del 26 febbraio a un medico anestesista ligure, era emerso che la terapia intensiva, pur indispensabile per provare a salvare i malati in condizioni polmonari gravemente compromesse, non sembrava essere il metodo giusto per combattere l’aumento dei malati e delle vittime.
Le informazioni provenienti dal primo focolaio epidemico, a Wuhan in Cina, indicavano l’importanza di intervenire con terapie domiciliari, e se possibili ospedaliere ( donde l’allestimento di grandi ospedali da campo con migliaia di posti letto ordinari, non di terapia intensiva) nelle fasi più precoci della malattia.
Come si evince dalle dichiarazioni di uno dei maggiori esperti italiani di rianimazione, il dottor Luciano Gattinoni, raccolte in questa intervista, il meccanismo di azione del covid-19 nel corpo umano è particolarmente subdolo. Espandendosi, il virus compromette la funzionalità polmonare, riducendo pericolosamente il livello di ossigeno nel sangue, prima che si manifesti in forma grave l’insufficienza respiratoria. In pratica, l’aria passa ma non arriva a ossigenare il sangue. Quando la situazione precipita, e il malato non riesce neanche più a respirare, la prognosi diventa infausta anche col ricorso alla ventilazione assistita. Anzi, sempre a detta del dottor Gattinoni, quest’ultima può diventare persino controproducente. Per questi motivi, la pratica clinica di terapia intensiva nei riguardi dei malati di covid-19 sta orientandosi verso metodi alternativi alla ventilazione assistita.
Non solo il caso sfortunato di Sepulveda, ma lo stesso numero di morti giornaliere tra i contagiati, che non accenna a diminuire, ed è persistentemente alto proprio in Italia, sembrano indicare che, purtroppo, molti dei malati che hanno iniziato il percorso della ventilazione assistita con un già grave deterioramento polmonare stanno soccombendo.
Nei nostri ospedali, attualmente, ce ne sono circa 2900.
L’elevata mortalità dei pazienti di coronavirus in terapia intensiva sta creando preoccupazione in tutto il mondo.
Secondo questo recente articolo, i dati sono allarmanti. Si parla, in media, di quattro o cinque morti su dieci malati sottoposti a ventilazione assistita. Addirittura a New York la percentuale sarebbe da vera e propria strage: su dieci pazienti in rianimazione ne morirebbero otto.
Rino Casazza
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