Anche in Gran Bretagna in atto la “medicina delle catastrofi”: un sistema a punti che porta i medici a decidere chi salvare tra gli ammalati di coronavirus e che sfavorisce in modo sensibile chi ha più di 70 anni
Di Rino Casazza
In un mio post dello scorso 26 marzo, dedicato all’intervista con un medico anestesista della sanità pubblica ligure, era emerso che sin dalla fine di febbraio l’insufficienza delle strutture mediche a fronte dell’ondata di ammalati da coronavirus aveva messo i medici di fronte a un problema che, normalmente, si verifica in prima linea in tempo di guerra quando troppi soldati escono feriti dai combattimenti o, in tempo di pace, quando un improvviso evento disastroso, ad esempio un terremoto, colpisce una vasta parte della popolazione.
Il problema è : se i pazienti sono troppi per soccorrerli tutti, a quali di loro prestare le cure necessarie a guarire?
Si chiama “medicina delle catastrofi”.
Ha la funzione, nell’impossibilità di rispettare il principio di “solidarietà universale” insito nel giuramento d’Ippocrate, di orientare in modo scientificamente motivato la scelta su chi provare a soccorrere con la pratica medica e chi lasciare al proprio destino.
Fin in dall’inasprirsi, agli inizi di marzo, delle misure pubbliche di contenimento dell’epidemia da covid-19, era incominciata a circolare sulla stampa notizia che, nelle zone italiane più colpite, l’afflusso in ospedale dei malati fosse così imponente da non far riuscire a somministrare a tutti i pazienti la “terapia intensiva”, estremo rimedio in caso di aggravarsi della temibile polmonite interstiziale provocata dal virus.
Ad esempio, l’intervista al Corriere della Sera dell’anestesista di Bergamo Christian Salaroli ha avuto un effetto scioccante sull’opinione pubblica, inducendo varie autorità dello stato e della sanità a smentire che negli ospedali si “scartassero” le persone più deboli, come ad esempio gli anziani, concentrando le cure sui soggetti più resistenti.
Tuttavia, la citata intervista del 26 marzo ha permesso di evidenziare che la SIAARTI, Società Italiana Anestesia Analgesia Rianimazione aveva emanato, già il 29 febbraio, una direttiva contenente istruzioni di “medicina delle catastrofi” legate all’emergenza coronavirus. – QUI TROVI IL DOCUMENTO
Tale documento tratta esplicitamente dei parametri clinici e scientifici per stabilire la priorità d’accesso dei pazienti alle apparecchiature di rianimazione, qualora fossero insufficienti alle necessità terapeutiche.
La terribile, ma inevitabile conseguenza di ciò è che una quota delle quasi 20000 vittime che, ad oggi, il covid-19 ha mietuto, è morta senza poter essere curata adeguatamente.
Molti sarebbero deceduti comunque, visto che, altra tremenda realtà, una non trascurabile percentuale dei malati “intubati” non sopravvive. Parecchi altri, tuttavia, avrebbero avuto concrete chance di guarire.
Naturalmente, in alcun modo questa verità deve suonare come rimprovero di medici e infermieri che stanno affrontando l’emergenza epidemica andando persino oltre il limite delle loro forze.
La medicina delle catastrofi è una triste necessità in determinate situazioni. Anche se è altrettanto vero che confligge con il principio costituzionale del diritto di ciascun cittadino alla salute.
Tornando all’intervista in questione, essa evidenziava un altro aspetto molto importante. L’imbuto drammatico venutosi a creare nell’accesso alla terapia intensiva (indispensabile, non dimentichiamolo, anche per moltissime patologie diverse dalla polmonite interstiziale da coronavirus) rende pressante fornire ai pazienti cosiddetti “paucisintomatici” , ovvero quelli non seriamente ammalati, un’adeguata assistenza medica a domicilio, proprio per evitare che , aggravandosi, si avvicinino al “collo di bottiglia” della rianimazione.
Riguardo all’assistenza domiciliare, soprattutto nelle zone più colpite, come ad esempio le Valli Bergamasche, numerosi servizi televisivi (cito quelli della trasmissione “Piazza Pulita”) hanno documentato una situazione di grave carenza, con ammalati che non sono nemmeno riusciti ad avere un contatto telefonico con i servizi sanitari.
A tal proposito segnaliamo un documento della SISMED, Società Italiana Scienze mediche che fornisce un prontuario su sintomatologia, parametri clinici e medicinali utili alla cura domiciliare dell’influenza da coronavirus. Esso illustra le tre fasi della malattia (simil influenzale, polmonare e infiammatoria) sottolineando che “l’entità dei sintomi iniziali non è predittivo del successivo deterioramento clinico”. Ciò spiega come in taluni casi, documentati, pazienti in isolamento presso il proprio domicilio con sintomi lievi si siano improvvisamente aggravati, con necessità di ricovero urgente per adire alla terapia intensiva. Un ulteriore motivo per migliorare il monitoraggio e la terapia dei malati non ospedalizzati.
Ebbene, proprio ieri questo quadro ha trovato conferma a livello internazionale.
“Huffpost” rivela, in un proprio articolo, che il NHS, il Servizio Sanitario Inglese, anch’esso travolto dalla crescita dell’epidemia con aumento esponenziale delle ospedalizzazioni, ha elaborato un “sistema a punti” di medicina delle catastrofi per scegliere quali pazienti avviare alla rianimazione.
Tale sistema, con cinico realismo, sfavorisce in modo sensibile i soggetti con più di 70 anni.
Gli ultrasettantenni vengono ulteriormente penalizzati se hanno la sfortuna di soffrire di altre patologie, tra queste anche la comunissima ipertensione.
Rino Casazza
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