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Non solo medici e infermieri sono in prima linea contro il Covid-19. Anche gli operatori socio sanitari stanno combattendo nei loro luoghi di lavoro, come ospedali e case di cura, notoriamente a forte rischio di contagio. La storia dell’albanese Isufi Mimosa: “Quando tutto questo sarà finito saremo sicuramente persone migliori”
Isufi Mimosa è Operatrice Socio Sanitaria alla Casa di riposo delle Suore Adoratrici di Rivolta d’Adda, dove ha trovato un luogo meraviglioso dove lavorare in armonia. Siamo in provincia di Cremona, territorio messo letteralmente in ginocchio dal Covid-19. Una fetta di terra lunga e stretta quella cremonese, dimenticata un po’ da tutti, ma che sta lottando comunque come una belva ferita.
Tu sei di origini albanesi, raccontaci brevemente la tua storia.
Siamo arrivati nel 1991 con la grande immigrazione dall’Albania. Io e mio marito siamo stati “assegnati” a Liscate, nel milanese, che ci ha accolto molto bene e aiutato molto, ci hanno quasi “adottati”. Il comune di Liscate ci ha pagato l’affitto di una casa in una porzione di cascina per qualche mese, successivamente ci hanno spostati in paese. Nel 1994 volevano assegnarci anche una casa popolare ma nel frattempo entrambi abbiamo trovato lavoro e l’abbiamo rifiutata, restituendo anche al comune la somma per l’affitto dei primi mesi, perchè l’aiuto che ci avevano già dato a noi sembrava tantissimo e potevamo fare da soli. Ci siamo trasferiti a Pessano con Bornago e nel frattempo è nata la nostra prima figlia. Negli anni successivi abbiamo continuato a lavorare entrambi. Facevo l’impiegata in una ditta di Liscate, ed è arrivato il nostro secondo figlio. Nel 1999 ci siamo trasferiti ad Agnadello dove le case costavano un po’ meno e per essere più vicini al lavoro e tuttora abitiamo ancora li.
Hai lasciato un lavoro comodo per uno che lo è molto meno.
Sì, in effetti fare l’impiegata è meno pesante che l’OSS, ma io sentivo la necessità di aiutare di più gli altri, la sentivo come una vocazione ed ho fatto questa scelta di cui non mi sono mai pentita neanche in momenti molto difficili come questo. Questo più che un lavoro è una missione.
È difficile lavorare sotto stress? Rischiate il crollo nervoso?
Certamente lavoriamo molto e in condizioni molto complicate, ma come dicevo il nostro lavoro è anche una missione. Gli operatori che rischiano il crollo nervoso è meglio che si fermino perché non sono utili al paziente.
Senti la solidarietà della gente?
Probabilmente la gente si è resa conto che di fronte alla malattia siamo tutti uguali e quello più povero è forse quello che dà di più. Ci siamo resi conto che siamo fragili e siamo diventati tutti vulnerabili. Questa nuova consapevolezza è sfociata in tutte quelle manifestazioni di solidarietà che ci sono state sia personalmente che sui social network. E, a proposito di solidarietà, non sono sorpresa degli aiuti che l’Albania ha inviato in Italia, perché per noi aiutare è una cosa normale.
C’è un lato positivo in questa brutta situazione?
Credo sia proprio questa consapevolezza di tutta la popolazione di essere uniti nella solidarietà che è molto importante. Può aiutare molto anche chi ha poco e quando tutto questo sarà finito saremo sicuramente persone migliori.
Stefano Mauri
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