Il racconto di Antonio Macrì, che ha perso il padre per covid-19, sulla situazione sanitaria nelle strutture di Crema, tra personale che ci mette l’anima, ma dove a volte mancano pure mascherine adeguate alla loro sicurezza: “Mia madre ci ha inviato la foto di … strisce da battaglia ritagliate da ehm… come si chiama, sì… da panni swiffer”
La dottoressa Bianca Baruelli, presidente della Fondazione Benefattori Cremaschi, presso il complesso Kennedy (istituto di riabilitazione e centro sanitario per pazienti cronici) di Crema, è pronta ad accogliere una ventina di malati covid-19 clinicamente guariti o in via di guarigione, ma ugualmente positivi al virus. Crema, in provincia di Cremona, è tra le più devastate dal virus.
Ma l’ipotesi lascia perplessi molti. Tra essi il sindaco Stefania Bonaldi, l’ex parlamentare Franco Bordo e una buona rappresentanza di lavoratori, i ricoverati e i loro parenti. Per annusare l’aria che tira da quelle parti abbiamo scambiato due parole con Antonio Macrì, figlio di due persone ospiti della struttura cremasca protetta, e il cui padre Eduardo è recentemente morto per coronavirus,.
Vuoi raccontarci cosa è successo ai tuoi genitori?
Dovevano uscire verso lo scorso marzo, ma mio padre si è ammalato e mia mamma, per terminare al meglio la riabilitazione all’anca, ma soprattutto per stare con papà e assisterlo, decise di prolungare il ricovero. Purtroppo però il babbo, ultranovantenne e con vari acciacchi di salute, a causa del covid 19 è morto.
Immagino non siate riusciti manco a fargli il funerale…
A onor del vero una funzione siamo riusciti a fargliela, in forma privata e con appena tre persone presenti. La situazione è precipitata dopo la morte di papà, diventando insostenibile con tante, troppe morti senza neppure il tempo e la possibilità di salutare i cari estinti come avrebbero meritato.
E tua mamma come sta?
Fortunatamente non ha sintomi, si dà un gran da fare al Kennedy aiutando chi sta peggio di lei, compresa la compagna di camera che ha invece la febbre.
Ma le hanno fatto il tampone?
No.
Non potete nemmeno andarla a trovare, giusto?
Esattamente. Soltanto una volta alla settimana ci è consentito il ritiro della biancheria sporca e la consegna di quella pulita. Mamma Maria Luisa ha 79 anni ma fortunatamente è abbastanza tecnologica e la sentiamo spesso al cellulare. Insomma ci manteniamo in contatto e aggiornati.
E com’è la situazione al Kennedy?
I ricoverati sono stati stipati in un padiglione. Il personale: tutte persone meravigliose che lavorano col cuore e operano da settimane in situazione d’emergenza e in numero ridotto. Nei giorni scorsi, qualche infermiere rimasto senza vestiario d’ordinanza si è dovuto arrangiare proteggendosi con sacchi e sacchetti di plastica.
Ma non hanno, addetti ai lavori e degenti, mascherine d’ordinanza?
Mascherine? Mia madre ci ha inviato la foto di … strisce da battaglia ritagliate da ehm… come si chiama, sì… da panni swiffer.
Sembra di capire che tu non sia favorevole al fatto che il Kennedy apra ai malati di coronavirus in via di guarigione…
Ma nel modo più assoluto, stiamo scherzando! Per carità capisco tutto, ma credetemi non esistono le condizioni per gestire una situazione del genere in sicurezza, garantendo la salute, spesso precaria di suo, di ricoverati e del personale. Il Kennedy per certi aspetti, in primis la riabilitazione, sì è un’eccellenza da salvaguardare, ma è una polveriera sanitaria, non può diventare un altro Lazzaretto. E non dimentichiamo che quel maledetto virus gira già per quelle stanza facendo vittime e malati.
Stefano Mauri