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Coronavirus, la verità sul “miracoloso” farmaco giapponese Avigan (direttamente dal Giappone)

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Non è vero che in Giappone girano tranquilli perché utilizzano Avigan: la sperimentazione è cinese, e nel Paese del Sol Levante lo stanno testando per ora utilizzato su 80 persone. E allora perché girano serenamente per strada? Ecco ciò che accade

 

Di Edoardo Montolli

La notizia di un farmaco giapponese quasi miracoloso contro il coronavirus, l’Avigan, ha fatto presto il giro del web, dei giornali e delle istituzioni. Tutto nasce da due video che un giovane italiano, Cris Ares, ha postato su Facebook dal Giappone: si vede molta gente in giro, nelle piazze, davanti ai locali, a volte letteralmente assembrata.

Riporta Repubblica:

Cristiano Aresu, 41 anni, che per lavoro va spesso nel paese del Sol Levante, ha postato video su Facebook di ciò che accade a Tokyo, impazzando sui social. “L’Avigan è un antinfluenzale fino a poco tempo fa venduto in farmacia: qui hanno scoperto che somministrato ai primi sintomi di coronavirus, accertati con il tampone, blocca il progredire della malattia nel 91% dei casi”, racconta Aresu nel video dando per scontate e reali le potenzialità del farmaco che sono invece tutte da dimostrare.

La gente spaventata e in cerca di una soluzione sta condividendo il video a ritmi vorticosi.

Il medicinale di cui si parla nel video di Facebook si chiama Favipiravir ma tra i non addetti è meglio noto con il nome di Avigan. Si tratta di un farmaco antivirale sviluppato nel 2014 dal gruppo giapponese Fujifilm Toyama Chemical (una consociata di Fujifilm) e che in questi giorni, a quanto pare, si sta rivelando una manna dal cielo per curare i pazienti affetti da Covid-19.

 

Il Veneto ha deciso di sperimentarlo subito:

L’Aifa ha rilasciato una nota di precisazione:

Favipiravir (nome commerciale Avigan) è un antivirale autorizzato in Giappone dal Marzo 2014 per il trattamento di forme di influenza causate da virus influenzali nuovi o riemergenti e il suo utilizzo è limitato ai casi in cui gli altri antivirali sono inefficaci. Il medicinale non è autorizzato né in Europa, né negli USA.

Ad oggi, non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco nel trattamento della malattia da COVID-19. Sono unicamente noti dati preliminari, disponibili attualmente solo come versione pre-proof (cioè non ancora sottoposti a revisione di esperti), di un piccolo studio non randomizzato, condotto in pazienti con COVID-19 non grave con non più di 7 giorni di insorgenza, in cui il medicinale favipiravir è stato confrontato all’antivirale lopinavir/ritonavir (anch’esso non autorizzato per il trattamento della malattia COVID-19), in aggiunta, in entrambi i casi, a interferone alfa-1b per via aersol. Sebbene i dati disponibili sembrino suggerire una potenziale attività di favipiravir, in particolare per quanto riguarda la velocità di scomparsa del virus dal sangue e su alcuni aspetti radiologici, mancano dati sulla reale efficacia nell’uso clinico e sulla evoluzione della malattia. Gli stessi autori riportano come limitazioni dello studio che la relazione tra titolo virale e prognosi clinica non è stata ben chiarita e che, non trattandosi di uno studio clinico controllato, ci potrebbero essere inevitabili distorsioni di selezione nel reclutamento dei pazienti.

La Commissione Tecnico-Scientifica di AIFA, riunita in seduta permanente, rivaluta quotidianamente tutte le evidenze che si rendono disponibili al fine di poter intraprendere ogni azione (inclusa l’autorizzazione rapida alla conduzione di studi clinici) per poter assicurare tempestivamente le migliori opzioni terapeutiche per il COVID-19 sulla base di solidi dati scientifici. In particolare, nella seduta di domani, lunedì 23 marzo, la Commissione si esprimerà in modo più approfondito rispetto alle evidenze disponibili per il medicinale favipiravir.

Si ribadisce che AIFA è costantemente impegnata a tutelare la salute pubblica, a maggior ragione in un momento di emergenza come quello attuale, dando informazioni puntuali e aggiornate sulle evidenze scientifiche e, nell’esortare a non dare credito a notizie false e a pericolose illazioni, si riserva il diritto di adire a vie legali ove opportuno.

 

 

IL GIAPPONE SPERIMENTA

La cosa, va da sè, incuriosisce. E vale la pena dare un’occhiata ai media giapponesi. Al 22 marzo, precisiamolo subito, in Giappone c’erano 1101 persone contagiate, cui aggiungere attualmente 712 persone di una nave da crociera.

A Tokyo, alla stessa data, dove sarebbe stato girato secondo Repubblica almeno uno dei video, gli infetti erano 138, non proprio un’enormità.

I decessi totali sono 47, per un tasso di mortalità del 4,2%, assai più basso del nostro. Ma come abbiamo spiegato ieri, secondo gli studi cinesi del 24 febbraio scorso, la mortalità provocata dal coronavirus dipende dall’intensità di trasmissione, ovvero dalla densità e dalla velocità con cui si propaga. Cosa che noi abbiamo consentito più di chiunque altro, trattandola a lungo in maniera demenziale come un’influenza.

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Avigan

 

La domanda però  è: davvero in Giappone vanno tutti in giro serenamente perché si sentono protetti dall’Avigan? La risposta, purtroppo, è no.

Basta dare un’occhiata al sito della Nippon Hōsō Kyōkai,NHK, la tv di Stato giapponese. Proprio ieri 22 marzo era riportato un articolo sull’uso di un loro farmaco, l’Avigan, in Cina. Vi si precisa che il Giappone ha deciso ora di iniziare una sperimentazione su 80 persone al Fujita Medical University Hospital nella prefettura di Aichi, dopo i risultati di uno studio clinico fatto in Cina. In sostanza sono sorpresi quanto noi dai primi risvolti positivi di un medicinale usato contro l’influenza ma non particolarmente usato perché erano stati segnalati effetti collaterali sui feti nelle donne in gravidanza.

I risultati dello studio cinese sull’Avigan sono stati infatti divulgati in Giappone solo recentemente. NHK ne parla il 17 marzo, raccontando della conferenza stampa tenuta a Pechino da Zhang Xinmin, capo del Centro biologico del Ministero della Scienza e della Tecnologia. Il farmaco, sostiene Zhang «ha dimostrato di avere un effetto terapeutico sulla polmonite e altre malattie causate dal nuovo coronavirus e non sono stati osservati effetti collaterali evidenti». Lo studio è stato fatto in alcuni istituti di Wuhan e a Shenzhen, nella provincia del Guangdong, rispettivamente su 240 e 80 pazienti. Il coronavirus si sarebbe negativizzato in 4 giorni anzichè in 11 e l’Avigan avrebbe portato a miglioramenti nel 91% dei casi, al momento su un campione che appare molto ridotto. Ma incoraggiante. Tanto che ora una società farmaceutica cinese lo produrrà grazie ad una licenza concessa dalla società produttrice di Avigan.

In Giappone, dunque, non vi è al momento nessuna certezza.

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Il dottor Shirano di Osaka

Ma le stesse speranze che nutriamo noi da una sperimentazione. Tanto che al centro medico municipale di Osaka, reparto malattie infettive, il dottor Shirano ha iniziato a usare Avigan, in alternativa al Kaletra (farmaco usato nel trattamento dell’hiv) su alcuni dei 20 pazienti che ha in cura. Ad oggi, ad Osaka, ci sono 131 infetti. Le sue osservazioni sono le stesse dei medici italiani: «Le persone anziane, quelle con malattie croniche del cuore e dei polmoni, quelle con diabete e ipertensione arteriosa sembrano essere più gravemente colpite e possono improvvisamente ammalarsi». Devono dunque fare attenzione. Poi, l’avvertimento (che ben conosciamo): «Quando aumenta il numero di persone infette e aumenta il numero di pazienti gravemente malati negli ospedali, vengono raggiunti i limiti di personale e strutture».

LA CULTURA GIAPPONESE

Eppure, nei video diventati virali su Facebook, noi possiamo notare molta gente in giro per le strade anche se non è affatto vero che girino tutte senza mascherina, come possiamo vedere in alcuni dei frame dei video qui sotto. Ne abbiamo presi solo alcuni:

 

E allora perché ci si contagia meno e in quello che è il Paese più anziano del mondo (l’Italia è al secondo posto) non vi è tutto questo terrore? Perchè alcuni indossano una mascherina e altri no?

Il noto avvocato Domenico Musicco di Milano, presidente di Avisl (associazione vittime incidenti stradali, sul lavoro e malasanità) è sposato con Yumiko, una donna giapponese che vive in Italia da trent’anni, ma la cui famiglia d’origine sta vivendo l’emergenza coronavirus in Giappone. E’ proprio lei a raccontarci cosa accade nel Sol Levante e perché non ci sia il terrore di ammalarsi: «Si tratta di un problema culturale. In Giappone non c’è l’abitudine di baciarsi e abbracciarsi come in Italia. Soprattutto, specie in questo periodo dell’anno, è consuetudine che chi ha anche solo un raffreddore indossi la mascherina, per evitare di contagiare gli altri. Per rispetto. Per questo la gente gira tranquilla: perché  sa che chi  ha anche solo un raffreddore  protegge gli altri coprendosi».

Ecco perché i contagi non sono così tanti. «Il nostro è un Paese molto prudente. E attento alla salute. La sanità è ai primi posti, tanto che abbiamo 13 posti letto d’ospedale ogni mille abitanti».

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L’Italia, tra pubblico e privato, ne ha 3,2 ogni mille.
«Ciò non toglie che una sperimentazione sull’Avigan vada fatta subito – sostiene Musicco – perché la salute è un diritto costituzionalmente garantito. E in un momento di emergenza come questo vanno tentate tutte le strade».

Edoardo Montolli

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Edoardo Montolli

Edoardo Montolli, giornalista, è autore di diversi libri inchiesta molto discussi. Due li ha dedicati alla strage di Erba: Il grande abbaglio e L’enigma di Erba. Ne Il caso Genchi (Aliberti, 2009), tuttora spesso al centro delle cronache, ha raccontato diversi retroscena su casi politici e giudiziari degli ultimi vent'anni. Dal 1991 ha lavorato con decine di testate giornalistiche. Alla fine degli anni ’90 si occupa di realtà borderline per il mensile Maxim, di cui diviene inviato fino a quando Andrea Monti lo chiama come consulente per la cronaca nera a News Settimanale. Dalla fine del 2006 alla primavera 2012 dirige la collana di libri inchiesta Yahoopolis dell’editore Aliberti, portandolo alla ribalta nazionale con diversi titoli che scalano le classifiche, da I misteri dell’agenda rossa, di Francesco Viviano e Alessandra Ziniti a Michael Jackson- troppo per una vita sola di Paolo Giovanazzi, o che vincono prestigiosi premi, come il Rosario Livatino per O mia bella madu’ndrina di Felice Manti e Antonino Monteleone. Ha pubblicato tre thriller, considerati tra i più neri dalla critica; Il Boia (Hobby & Work 2005/ Giallo Mondadori 2008), La ferocia del coniglio (Hobby & Work, 2007) e L’illusionista (Aliberti, 2010). Il suo ultimo libro è I diari di Falcone (Chiarelettere, 2018)

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