Commissario Damiano Flexi Gerardi: annotatevi questo nome.
Non me ne voglia Maria Teresa Valle, scrittrice noir meritatamente molto apprezzata per il ciclo della frizzante biologa investigatrice per caso Maria Viani, ma il suo nuovo personaggio, comparso sinora in due romanzi, “Il delitto di Capo Santa Chiara”, e il fresco di stampa “Il mandante”, tutti editi da Fratelli Frilli, nel primo caso come comprimario e nel secondo con l’onore della parte principale, è il più stimolante uscito dalla sua penna.
A partire dal nome, così inusuale da apparire bizzarro, che denuncia una provenienza altolocata e benestante, per tacere del soprannome , “Il becchino”, dichiaratamente spregiativo, che gli hanno affibbiato per stigmatizzare abbigliamento funereo e modi severi e scontrosi.
In realtà l’apparenza antipatica e urtante del Commissario non dipende da un altero disprezzo per il mondo, bensì dal dover fare i conti con gravi e irrisolti complessi interiori. Questi richiederebbero una seria cura psichiatrica o meglio ancora psicanalitica, se ai suoi tempi ( siamo negli anni 30/40) fossero andate di moda, e soprattutto ammesso che lui, per soprammercato orgogliosissimo, avrebbe accettato di sottoporvisi.
Visto che sa fare bene il mestiere di funzionario di pubblica sicurezza, mettendoci grande scrupolo e determinazione oltre che, ahimé, una pericolosa intransigenza, che lo porta a non guardare in faccia a nessuno anche quando s’imporrebbe una sana diplomazia, superiori, colleghi, indagati e testimoni devono prenderselo così com’è.
Non è facile, con una persona affetta da “coprofobia”.
Sì, perché Flexi Gerardi appartiene a quella categoria persone che hanno un ossessivo timore delle infezioni, rifuggono come la peste il contatto fisico, si lavano continuamente le mani e portano appena possono guanti che gettano poi nel cestino…
A ciò si aggiunge una patologica incapacità di entrare in empatia col prossimo, che raggiunge livelli dolorosamente assurdi nei rapporti con l’altro sesso, e lo trasforma, nonostante dalle donne sia attratto, in un single misogino.
In una emblematica scena de “Il mandante” Flexi Gerardi fugge a gambe levate da una avvenente bellezza senza veli invece di lasciarsi andare al turbine del desiderio.
Il romanzo è ambientato nel primissimo dopoguerra. Flexi Gerardi torna a Genova per assumere la reggenza di un importante commissariato, dopo un esilio in Sardegna dove è stato spedito per aver pestato i piedi ai potenti nell’inchiesta narrata ne “Il delitto di Capo Santa Chiara”.
Va da sé che per Flexi Gerardi non si può lontanamente parlare di continuità trasformistica tra burocrazia fascista e burocrazia repubblicana in quanto egli , faticando ad allinearsi persino a stesso, allineato al regime non è mai stato.
Nella città natale il Commissario ritrova il fratello, molto diverso da lui, e la sua famiglia, finendo ben presto alle prese con due crucci egualmente gravi: l’attrazione “incestuosa” per la bella cognata e due delitti, apparentemente slegati ma commessi con modalità simili, entrambi di paternità e movente misteriosi.
Ne nasce un’inchiesta complicata e ricca di scoperte sorprendenti, legata ad una delle code più torbide della Seconda Guerra Mondiale: l’Operazione Odessa, ovvero la trama per aprire a gerarchi ed esponenti del nazismo una via di fuga verso l’America Latina.
Benché avvezzo a convivere con forti conflitti interiori, egualmente tormentate saranno le vicende affettive del Commissario che la l’impietosa vox populi paragona a un necroforo.
Vedremo se gli auspicabili sviluppi futuri della sua parabola regaleranno, o meno, un’emancipazione esistenziale del nostro.
Rino Casazza