Davide Pappalardo è un piacevole autore della nuova generazione con due interessanti “pallini”.
Il primo riguarda il genere “hard-boiled” classico.
Apprezzo molto questo sotto-filone della narrativa “gialla”, che mette al centro non già la vicenda poliziesca, pur solitamente appassionante nelle prove riuscite, bensì l’investigatore, poliziotto privato abile ed esperto quanto paradossalmente disamorato del proprio mestiere e più in generale del mondo. L’investigatore “hard-boiled” non risolve rompicapi, come l’investigatore classico “poirottesco”, ma si sporca le mani, tra scazzottate e sparatorie, in inchieste su commissione in cui, per guadagnarsi la pagnotta, è obbligato a scavare dentro il torbido della società e della natura umana. A cui, inutile nasconderselo, anche lui appartiene.
Bisogna riconoscere che Pappalardo, come già nel precedente romanzo “Buonasera signorina”, edito da Eclissi, anche nel fresco uscito “Che fine ha fatto Sandra Poggi”, edito da Pendragon, riesce a proporre questo schema narrativo con la padronanza e l’efficacia che solo una conoscenza approfondita del genere ed una passione sincera per esso possono consentire.
Anche perché si tratta, appunto, a parte l’ambientazione italiana, dell’hard-boiled nella versione pura dei primi inventori, Hammet e Chandler, senza trascurare quello che, a mio giudizio, ne è il migliore interprete: Chase.
Il “Philip Marlowe” (questo il nome il celebre protagonista dei romanzi di Chandler) di Pappalardo si chiama Libero Russo.
Di natali siciliani, dopo un inglorioso passato in polizia ha messo su un’agenzia investigativa privata, di cui è unico titolare e collaboratore, con sede in uno scalcinato bugigattolo nel quartiere Isola di Milano, e cerca di sbarcare il lunario facendo il difficile e poco remunerativo mestiere di segugio per conto terzi.
L’epoca delle gesta di Libero Russo introduce il secondo “pallino” di Pappalardo.
Gli anni 70 in Italia, i c.d. anni di piombo.
Si tratta di un periodo molto sfruttato sia dalla narrativa che dal cinema, ma se pensate che, come di solito accade, Pappalardo faccia un’operazione rievocativa di marca nostalgica, siete fuori strada.
Il nostro autore negli anni 70 era appena nato. Di essi non ha alcun ricordo diretto, come invece, ad esempio, chi scrive.
Non ci sono dubbi che la passione per gli anni di piombo venga a Pappalardo dalle le sue convinzioni di “sinistra”, ovvero dal desiderio di immergersi in un’epoca che, nonostante l’esistenza di una fortissima opposizione, alla fine pure vittoriosa, alle istanze marxiste di maggior giistizia per le classi più povere, va considerata il più grande crogiuolo di rinnovamento sociale mai registratosi nella storia italiana e forse anche del mondo.
Come se la cava Pappalardo tuffandosi in un mondo realmente esistito che ha potuto ricostruire solo indirettamente, raccogliendo testimonianze e leggendo libri?
Bene.
A un ragazzo del nuovo secolo non si poteva chiedere un racconto più credibile del mondo come poteva apparire, con le sue luci e le sue ombre, a un ragazzo degli anni settanta.
Rino CasazzaGLI ULTIMI LIBRI DI RINO CASAZZA: GUARDA