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Ogni artista trova un modo, uno stile, una personalità che porta avanti poi per tutta la sua produzione artistica.
Picasso no. Lui non fa una matrice per dopo produrre opere con variabili, ma ogni opera è una visione nuova, diversa e inaspettata.
A Palazzo Reale la ricca mostra dedicata a Picasso inizia con Il bacio del 1969. Un dipinto ad olio che coinvolge lo spettatore nella fusione carnale tra uomo e donna. Un incontro di corpi che fa pensare al desiderio, al possesso, all’umano e all’animale. Questo rammemorare lo ritroviamo nelle sale successive, dove il tema indagato dall’artista è il Minotauro. Dove l’essere metà uomo e metà toro è a tutti gli effetti Picasso, con la sua incontenibile passione per il genere femminile e con la presentificazione della sua affermazione “sesso e arte sono la stessa cosa”.
Si incontra poi, in relazione diretta con la fonte di ispirazione dell’artista, il Nudo disteso del 1932. Un’opera di straordinario e difficilmente decifrabile equilibrio compositivo e cromatico, allineata alla scultura di un anonimo dl titolo Arianna addormentata del terzo secolo A.C. in un dialogo fluido ed esteticamente contrapposto. Dove il bianco del marmo dell’Arianna, grazie al mistero che fa dell’opera d’arte un’Opera d’Arte, non trasmette meno distensione del Nudo con giallo chiaro e verde di Picasso.
Nella stessa area espositiva ci rapisce il movimento di sangue e carne catturato per l’eternità dalle linee a puntasecca e acquaforte dal titolo Coppia che fa l’amore e Stupro sotto la finestra. Incisioni che raggelano un momento di grandi movimenti interiori in pose apparentemente immobili, che sembrano essere create da uno scontro di forze opposte che resistono.
Un’altra opera, eseguita con la stessa tecnica è esposta. Il minotauro e una donna fanno l’amore (o Il minotauro violenta una donna). Questa volta però, al contrario delle acqueforti descritte in precedenza dove il segno diventa tridimensionale grazie ai chiaro scuri, le linee sono pulite, sintetiche e fortissime. Un grande contenuto erotico si sprigiona da quel piccolo foglio.
Continuando a parlare delle rappresentazioni mitologiche, tanto amate dall’artista, troviamo presente in mostra, oltre al satiro danzante datato 100/200 d.C. del Louvre, il Fauno seduto modellato in terracotta da Picasso. Una figurina chiara, seduta a terra, a gambe o zampe incrociate, che sembra plasmata in pochi gesti, che rivolge lo sguardo lontano facendo pensare a quanto da lontano viene e quanto in fondo si ritrova in ogni uomo. Con grandi corna, peli e zoccoli, l’animale umano si presenta e sta. Rimane come le due sculture Uomo stante e Donna stante lì a guardare il tempo che passa per gli uomini, ma non per l’arte.
La figura della donna ritorna in continuazione nel percorso. La ritroviamo anche rappresentata seduta, in un’opera del 1920 (Donna seduta), dove una luce che arriva dall’alto a destra illumina lo sguardo perso o assente del soggetto. Lo stesso fascio luminoso evidenzia l’impostazione solida e monumentale della figura, con mani e piedi enormi e pesanti rispetto al resto del corpo, che se ne sta lì a pensare immersa e quasi sovrastata dalla sedia che la ospita. Un’altra donna seduta del 1963, Nudo su una sedia guarda dritto avanti a sé, con un seno, l’ombelico, i peli pubici e il corpo verde e rosa che non si ritraggono agli sguardi. La figura femminile è immobile e ferma avvolta nell’architettura di un’ampia sedia.
A questo proposito Picasso dice:
” Sono intrappolate in queste poltrone come degli uccelli rinchiusi in gabbia. Io le ho imprigionate in questa assenza di gesto e nella ripetizione di questo motivo, perché cerco di cogliere il movimento della carne e del sangue attraverso il tempo”.
Quasi alla fine di questo vasto percorso, si ha il piacere di vedere le 30 acqueforti commissionate a Picasso per illustrare Le Metamorfosi di Ovidio. Segni apparentemente semplici e grafici danno il nome a questa mostra Picasso Metamorfosi. Mostra di un’artista che di mutamenti nel percorso di ricerca ne ha fatti tanti, tutti autentici e magistrali, sapendo benissimo, come lui stesso afferma, che “lo stile è nemico del pittore”.
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