Ho già dedicato, con la complicità del mio socio letterario, Daniele Cambiaso, un romanzo, “La logica del burattinaio” a William Giorgio Vizzardelli, il pluriassassino adolescente che alle soglie della seconda guerra mondiale, tra i quindici e diciassette anni, imperversò nella cittadina di Sarzana (tanto da guadagnarsi, appunto, l’appellativo di “Mostro di Sarzana”) commettendo, prima di essere fermato, cinque omicidi.
In verità “La logica del Burattinaio” narra la corsa contro il tempo per fermare un “copycat” che, all’inizio del 2013, vuol replicare i delitti di Vizzardelli negli stessi luoghi, con le stesse modalità e su vittime simili.
Ne “Il serial killer sbagliato” la storia del’”serial killer adolescente”, come è anche conosciuto Vizzardelli, viene trattata da un punto di vista diverso.
La parabola umana di Vizzardelli viene ricostruita per intero, non limitandosi alle azioni criminali commesse tra il 1937 e il 1940, ma spingendosi fino alla parte finale della sua vita, altrettanto inquietante, negli anni 70, quando il “Mostro”, ormai cinquantenne, uscì di carcere in libertà vigilata e poi ottenne la grazia.
Non solo: per la prima volta si parla di un episodio, finora trascurato, avvenuto nel 1944, nella coda tragica della Seconda Guerra Mondiale.
E’ proprio la scoperta di questo episodio che induce il “detective” protagonista de “Il serial killer” sbagliato”, il prete Don Patrizio Bruni, a intraprendere un’indagine retrospettiva sul caso “Vizzardelli”, nella convinzione che non tutto quadri in una vicenda che, pure, è da considerarsi chiusa dal punto di vista giudiziario con la piena confessione, riscontrata da prove oggettive, del colpevole, appunto il giovane “Mostro”.
Nel settembre del 1944, William Vizzardelli si trovava segregato nel carcere di Massa, proprio mentre in quel luogo è avvenuto qualcosa di così terribile che supera persino le efferratezze costate al “Mostro” la condanna all’egastolo.
In quel periodo, la prigione della città toscana, situata nel Castello Malaspina, era sotto il controllo della 16ª divisione volontari delle Waffen SS Panzergrenadier “Reichsführer”.
Il minaccioso avvicinarsi del fonte a seguito dell’offensiva alleata per sfondare la Linea Gotica, l’ “Operazione Oliva”, indusse il comando militare tedesco in Italia a ordinare il ripiegamento della “Reichfurer”.
La prigione avrebbe dovuto essere sgomberata, e trasferiti altrove i detenuti, in prevalenza comuni stante la sbrigativa fucilazione, già avvenuta, di quelli politici.
L’evacuazione era programmata per la mattina del 16 settembre 1944.
La guarnigione tedesca fece uscire dalle celle i 169 carcerati rimasti al Castello Malaspina, caricandoli su una colonna di camion.
Il convoglio venne fatto arrestare bruscamente in prossimità del ponte sul fiume Frigido, forse con la scusa di un imminente attacco aereo alleato, ordinando a tutti di scendere e di rifugiarsi in alcuni crateri scavati dalle bombe in precedenti attacchi.
Sterminati senza pietà a raffiche di mitraglia, vennero poi ricoperti di terra.
Non sfuggirà la cinica disumanità dell’operazione: non c’era alcun motivo di passare per le armi le vittime, se non che rappresentavano un fastidiosa “zavorra” per la ritirata del reparto.
E il Mostro di Sarzana?
Come mai non è finito, come gli altri, crivellato di proiettili, nelle fosse del Frigido?
Che William Vizzardelli fosse tra gli unici tre scampati alla strage pare indubbio per l’attendibilità della fonte: Don Angelo Ricci, cappellano del carcere, cui si deve la pietosa ricostruzione dell’elenco delle vittime dopo la guerra.
I tre fortunati erano stati scelti dal Comandante del Corpo di Guardia del carcere Malaspina come servitù personale.
Avrebbero avuto salva la vita come ricompensa dei loro buoni servigi. Le mansioni svolte erano cuoco, cameriere e infermiere.
Secondo alcune fonti Vizzardelli, viene indicato come l’infermiere, sulla base di un episodio di non chiara attendibilità: nei giorni precedenti alla strage sarebbe stato impegnato a curare un fastidioso “vespaio” sul collo del Comandante.
Addirittura, lamentatosi perché gli toccava rimanersene a Massa mentre i suoi compagni di carcere avevano la fortuna di poter sfollare, avrebbe ricevuto la sibillina risposta “un giorno mi ringrazierai per questo”.
Non risulta che Vizzardelli avesse competenze infermieristiche.
Dovendosi allo stesso modo escludere sue competenze culinarie, è più probabile che facesse il cameriere.
La dimestichezza con la lingua tedesca che Vizzardelli mostrò in seguito, laureandosi in tedesco e lavorando come traduttore, fa supporre che la capacità di interloquire con i militari occupanti costituisca il motivo per cui il Capo della guarnigione lo prese a suo servizio.
Probabilmente, anche gli altri due scampati al massacro avevano la stessa qualità.
La notizia che stiamo riportando avrebbe il valore di semplice curiosità storica, se non fosse che la figura di William Vizzardelli suscita interesse per la mancanza di notizie sulla personalità del “mostro giovinetto”.
Le ragioni profonde del suo istinto omicida non sono state mai esplorate.
Non al processo, chiusosi in fretta per l’evidente colpevolezza, e non in seguito, per il riserbo in cui Vizzardelli si è chiuso, rifiutandosi sempre di parlare di sé. Un ritegno cui ha corrisposto quello dei suoi famigliari.
Inevitabile che il coinvolgimento del Mostro di Sarzana nella strage delle Fosse del Frigido susciti una serie interrogativi.
Innanzitutto, sembra da escludere che un individuo distintosi, ai tempi della sua attività criminale, per non comuni doti di lucidità ed astuzia potesse non essersi accorto di cosa si preparava al Carcere di Massa.
Se era quel che si dice un “delinquente per natura”, una specie di incarnazione del male, non potebbe aver messo a disposizione dei carnefici il proprio sia pur rudimentale bilinguismo aiutandoli a ingannare gli altri detenuti?
In tal caso, sarebbe questo mostruoso collaborazionismo ad avergli guadagnato la la salvezza…
È altresì oscuro che cosa accadde dopo che il massacro si fu consumato e la “Reichfurer”, sgravatasi del suo “fardello”, poté allontanarsi da Massa.
Vizzardelli, questo è certo, prosegue la detenzione.
Perché?
Quale occasione migliore per fuggire? Il carcere completamente vuoto, la città allo sbando per la minaccia alleata, il cui cannoneggiare doveva sentirsi sempre più vicino…
Non sapendosi nulla sulla sorte degli altri due superstiti, si deve supporre che siano riusciti a dileguarsi.
Non è irragionevole che i tedeschi, specie se avevano ottenuto il suo aiuto, avessero offerto in cambio a Vizzardelli non semplicemente la vita, ma anche la libertà.
Il mistero del “serial killer bambino” lascia addirittura spazio a una teoria ancor più sorprendente, che si accorda con la conclusione della vita straordinaria e disgraziata del Mostro: l’alunno del Collegio “Le Missioni”, spietato killer di ben cinque persone, è rimasto nel carcere di Massa, attendendo che tornasse alla normalità, perché riteneva giusta la pena inflittagli e voleva scontarla fino all’ultimo giorno…
Rino Casazza
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