Dare giudizi sulle persone che ballano le riesce benissimo. Ma quando si tratta di cose serie, come la vita delle persone, Selvaggia Lucarelli che fa? Inventa di sana pianta le notizie, come se fosse al bar. Così come fa sulla strage di Erba
Edoardo Montolli per Fronte del Blog
A distanza di quasi dodici anni dalla strage di Erba, non pensavo che potessero uscire ancora articoli completamente disinformati sulla vicenda. Invece, e con grande stupore su Il Fatto Quotidiano, ci riesce benissimo Selvaggia Lucarelli. Che, rispetto ad allora, quando tantissimi negavano l’esistenza di alcuni atti, riesce pure ad inventarsi notizie di sana pianta e a dare, sulla base delle sue invenzioni, lezioni morali, come se stesse giudicando una gara di ballo o si trovasse al bar a discutere con le amiche davanti ad un gelato.
Il titolo dell’articolo è Strage di Erba, i fan di Rosa & Olindo contro i sopravvissuti. E all’interno se la prende con il documentario Tutta la verità, andato in onda sul Nove, spiegando che «con i social pronti all’indignazione a comando e l’orda di programmi a tema cronaca nera, riaprire mediaticamente casi archiviati e lavorare sulle suggestioni è facile». Già, è facile.
Lo speciale di Fronte del Blog sulla strage di Erba – LEGGI
Non si capacita, Selvaggia Lucarelli, del perché il documentario focalizzi l’attenzione su Pietro Castagna, fratello di Raffaella, figlio di Paola Galli e zio del piccolo Youssef Marzouk, tre delle vittime, domandandosi cosa ci fosse contro di lui. Ma questo dovrebbe chiederlo ai carabinieri di Erba, che – come confermato in aula dal luogotenente Luciano Gallorini – lo sospettarono fin da subito. Salvo non far emergere le macroscopiche contraddizioni tra le dichiarazioni tra padre e figlio e far sparire dalle indagini da subito l’auto utilizzata da Pietro, la Panda nera della madre, che infatti non sarà mai messa sotto intercettazione né cercata.
Tutti i video sulla strage di Erba nella nostra playlist– GUARDA
La cosa comica è che Selvaggia Lucarelli, nel riprendere l’articolo sulla propria pagina Facebook, sostiene di aver letto gli atti dell’inchiesta.
Se così fosse, dovremmo concludere che abbia patologici problemi di comprensione. Perché nell’articolo su Il Fatto quotidiano si inventa di sana pianta un particolare piuttosto rilevante su un testimone che vide una persona verbalizzata come “il fratello della morta” sul luogo della strage:
Quindi si sottolinea che tale Chencoum, tossicodipendente cliente di Azouz, dichiarò di aver visto un tizio con la barba rossiccia qualche giorno prima della strage parlare con due arabi proprio davanti alla corte. Lo stesso testimone poi sparisce nel nulla.
Ho inizialmente pensato ad un, per quanto ingiustificabile, refuso. Invece no. Perché Selvaggia Lucarelli, che dice di aver letto gli atti, lo ribadisce su Facebook aggiungendo un altro dettaglio. E cioè che Chencoum addirittura ritrattò. Nientemeno.
Se le cose stessero così, non si capisce in effetti perché parlare di Chencoum. Ma ovviamente le cose non stanno affatto così ed è di tutta evidenza che la Lucarelli non sappia di cosa stia parlando. E figuriamoci dunque se ha letto gli atti.
Dunque, Ben Brahim Chencoum era un senza fissa dimora che si presentò in caserma il 16 dicembre del 2006, a distanza di circa un’ora da quando andò lì a rilasciare sommarie informazioni Pietro Castagna. Sostenne di aver visto qualcosa fuori dalla corte esattamente all’ora della strage (non due giorni prima). La sua versione era piuttosto interessante perché la descrizione combaciava con quanto narrato da un dirimpettaio, Fabrizio Manzeni.
Ma non basta.
Il 25 dicembre Chencoum tornò dai carabinieri, fece stavolta un racconto molto dettagliato e aggiunse che la persona che aveva visto fuori dalla corte era la stessa incrociata in caserma il 16, e che fu insolitamente verbalizzata come “il fratello della morta”, senza cioè alcun nome.
Naturalmente Chencoum poteva essersi sbagliato.
Ma qual è l’aspetto inquietante di tutto questo? È che il 16 e soprattutto il 25 dicembre non c’erano ancora indagati per la strage (Olindo sarà riconosciuto da Frigerio davanti ai pm solo il 26). Ma il comandante dei carabinieri di Erba – che pure sospettava di Pietro Castagna – tenne inspiegabilmente questa testimonianza a Erba, inviandola in Procura soltanto il 15 gennaio, dopo le confessioni dei coniugi Romano. Perché, non si sa.
Ovviamente Chencoum non ha mai ritrattato, è un’altra invenzione da bar della Lucarelli. Al processo venne dichiarato irreperibile quando invece era in prigione e lo si poteva rintracciare benissimo. Ulteriore dettaglio curioso è che il comandante Gallorini disse in aula di aver svolto dei lavori sulla testimonianza di Chencoum. Ma agli atti non esiste alcun verbale in proposito.
Le invenzioni dell’articolo su Il Fatto Quotidiano, proseguono. E la Lucarelli le utilizza ancora per dare giudizi morali. Ad esempio:
Azouz. Che tra le altre cose, solo dalla Cassazione in poi, è diventato improvvisamente innocentista.
Qui non c’era nemmeno bisogno di leggere gli atti. Alla Lucarelli sarebbe bastato seguire il processo di primo grado (anche banalmente guardando i giornali) per sapere che Azouz aveva fin da subito avuto dubbi sulla colpevolezza dei coniugi. La polizia penitenziaria di Vigevano inviò una relazione in tribunale con questi dubbi espressi mentre era detenuto e Azouz, prima che la Corte si ritirasse per la sentenza, fu ascoltato. Ma stranamente lì il tunisino negò tutto. Alla vigilia della Cassazione decise infine di smettere di fingere di credere alla colpevolezza di Olindo e Rosa. Perché lo negò nel 2008, bisogna che Selvaggia Lucarelli lo chieda a lui.
Potrei esercitarmi ancora a lungo sulle ulteriori sciocchezze messe nero su bianco da Selvaggia Lucarelli nell’articolo, ma dopo aver scritto due libri sul caso e innumerevoli articoli prima su Il Giornale e poi, soprattutto su Oggi, già molti anni fa pubblicai sul sito del settimanale uno speciale con i documenti originali dell’inchiesta. Per quanti volessero verificare le fesserie allora raccontate dalla gran parte dei media.
È tuttora online. Selvaggia Lucarelli potrebbe così scoprirle da sola – trovando pure i verbali sulla Panda e su Chencoum – anche se so che non lo farà, essendo più comodo giocare a fare il giudice e a prendere like.
Mi preme tuttavia sottolineare un suo commento su Facebook, perché denota quale sia stata l’unica sua fonte per scriverlo. E cioè, con l’aria di chi la sa lunga e conosce i segreti delle redazioni, sciorina ai suoi fan, ottenendo un gran successo di like, la seguente frase: Dove fosse finita la Panda, l’ha poi detto Beppe Castagna al direttore di Oggi Brindani, pensa che gran segreto.
Pensa che incredibile coincidenza. Gli articoli su Oggi li scrivevo io: dove fosse la Panda era scritto nei brogliacci delle intercettazioni. E lo sapevamo da subito: è la conversazione tra Carlo Castagna e un’impiegata del 21 dicembre 2006, delle ore 9,20. Lo dico a beneficio della preparatissima opinionista.
Secondo Selvaggia Lucarelli, che dunque non ha letto gli atti e non ha manco seguito il processo sui giornali – e neppure ha letto libri e articoli a proposito di ciò di cui si occupa – c’erano tuttavia così tante prove che i Romano sarebbero stati condannati anche «con 34 gradi di giudizio». Addirittura.
Deve essere per questo che la Cassazione, nel chiudere la vicenda, scrisse che sul caso si addensavano numerosi dubbi e aporie. Ossia domande senza risposta. Avrebbero potuto chiedere a lei. Se ne sarebbe senz’altro inventata una.
Edoardo Montolli