Ci sono persone che mi chiedono come mi vengono in mente le storie che racconto. E’ difficile rispondere. Solitamente replico con un’affermazione: “Sono pazzo!” Naturalmente è solo una battuta. Ma non è semplice spiegare il processo di creazione di un racconto. Di solito parte sempre da un avvenimento, che leggo sul giornale, che ascolto nei discorsi di sconosciuti,da un tema che voglio trattare. Ma sopratutto nasce dall’emozione di conoscere nuove persone. Vi farò un esempio pratico. In questo periodo, dopo aver presentato il mio ultimo film : “La maschera umana” e ultimato un romanzo(Tienimi la mano), sto riprendendo progetti lasciati in pausa. Voglio ultimare la serie di sette cortometraggi basati sui vizi capitali. E cercare di incastrare i tempi per collaborazioni interessanti che si sono affacciate nel mio mondo creativo. Poi succede un avvenimento strano. Mi invitano a vedere uno spettacolo teatrale, per altro in dialetto Bergamasco. Non sono affatto uno snob, e chi mi conosce lo sa. Vedo di tutto e a volte è bello passare una serata ridendo assistendo ad una rappresentazione ironica e simpatica. Per altro in queste commedie non viene usato un dialetto troppo stretto, per cui è fruibile a tutti. Ma sto divagando. Nello spettacolo recita un’amica di un amico. Non conoscevo questa donna. Mi accomodo sulle sedie e mi lascio trasportare dalle ottime interpretazioni e dalle risate che ne scaturiscono. Succede una cosa. Osservo l’attrice, o per meglio dire, ricevo la sua interpretazione. E’ una parte non principale ma sicuramente carismatica ed efficace. Sono entusiasta dello spettacolo ed esco dallo stabile. Comincia in quel momento una cosa strana. Continuo a pensare alla parte della donna. Non solo alla sua interpretazione. Va oltre al personaggio che interpreta e il mio cervello comincia a costruire un protagonista prorompente come quello. E’ solo lo spunto, lo stimolo per incendiare la miccia. Sono come pervaso da questa nuova, fastidiosa, (Ho troppe cose iniziate da ultimare)sensazione, che non riesco a far altro che pensarci in continuazione. E il racconto, basato su un’interpretazione, diventa una struttura che con il passare delle ore prende forma, con i personaggi che girano intorno a lei, con le motivazioni dei loro atti. Con i vari accadimenti. Diventa un tarlo che picchietta in testa. Nasce l’ispirazione. E quando nasce è come un amore. Lo vuoi coltivare, accudire e proteggere. Ma sopratutto lo vuoi vivere, per farlo però devi toglierlo dal cervello. So bene che non può essere un progetto realizzabile nell’immediato, ma devo farlo fuoriuscire da me. C’è solo un modo per incanalare questo nuovo amore, condurlo da qualche parte. E allora mi metto al computer e scrivo la scaletta della storia. Una sorta di appunto con i fatti salienti del racconto. E questa volta è strano, ma arriva tutto d’un botto. Fluidamente, con incastri, un inizio, una fine. Difficilmente fuoriesce così velocemente. E’ come un colpo di fulmine, una forte emozione che mi lascia svuotato e felice. Ora è lì, urgentemente buttato fuori sulla carta. Un progetto, un’idea che magari non vedrà mai la luce della realizzazione, ma che mi ha dato così tanto ed è che come un’infatuazione, ti lascia tramortito. Destabilizzato ma sicuramente appagato. Forse è così che posso spiegare come mi vengono le idee. E in questo frullatore d’emozioni arriva anche il titolo, ed è il titolo ideale per un progetto, un nuovo amore che forse non si concretizzerà: “Sogni perduti.”
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