Dopo aver realizzato, con fatica e passione un progetto, arriva giustamente il momento di presentarlo. Di farlo visionare a chi vi ha partecipato e chi ne fruirà nel tempo. E’ un momento molto stressante ed appagante. Ho cominciato a girare film sedicenne. Inizialmente gli sghembi prodotti avevano un pubblico estremamente limitato. Erano solo pochi intimi. E già allora non sempre venivano compresi. Poi negli anni la cosa è diventata sempre più grossa, coinvolgendo una moltitudine di persone appassionate, o anche solo curiose. Diventando, la presentazione ufficiale, un appuntamento immancabile appena finito un film. Questo ha comportato negli anni, il continuo confronto con un pubblico differente e anche a volte diffidente.
C’è stato un momento della mia vita in cui ho capito che dovevo avere una certa forma di rispetto per i fruitori dei miei film. MI spiego meglio. Nei primi anni nel cimentarmi a fare del cinema, volevo a tutti i costi creare opere che fossero diverse, che avessero la mia firma. Costruendo, lo ammetto, storie e rappresentazioni complicate. Che probabilmente in alcuni casi capivo solo io. Ho ricevuto moltissime critiche per questo, ma allo stesso tempo non volevo capire la cosa essenziale del fare film: Riuscire ad essere, si diverso, particolare o anche solo con una personale visione, ma anche comprensibile. Capibile allo spettatore tipo, che non ha voglia ne tempo di scervellarsi nel vedere un prodotto, ma anche arrivare a quello che “legge” attraverso le immagini. Carpire i sotto testi dei dialoghi. La scelta di fare un movimento nell’inquadratura, o filmare quel tal gesto o primo piano piuttosto che altro, la scelta di alcuni colori, di visi eccetera. Inizialmente tutto doveva avere, paranoicamente, un senso in quello che si vedeva. Rischiando appunto, che troppa roba risultasse incomprensibile. Diciamo che non sono ancora arrivato al traguardo di questa nuova constatazione. Ma ne “La maschera umana” penso d’esserci andato vicino. Dove la storia, spero e mi auguro, arriva dritta al cervello e alla mente, mantenendo però un mio modo di raccontare la vicenda personale. Dove si può ricercare e trovare spunti riflessivi, ma anche se uno non ne vuol sapere di riflettere, può benissimo ricevere il film restandone coinvolto. Forse sarà dovuto anche all’età che avanza e dopo tanti anni, avendo superato la quarantina, sono più stabile di quanto non fossi anni fa. Ma mi rimane sempre la cosa essenziale nel voler raccontare storie. La curiosità. Di conoscere vite e persone. Luoghi ed esperienze. Mantenendo sempre una mente aperta su tutti i tipi di individui e non perdendo quella emotività che cerco di nascondere, camuffandola in forza e dedizione. Difatti per me, anche se ho proposto i miei film più volte al pubblico, cresce sempre una certa agitazione. Che gestisco meglio ora, di tanti anni fa. Anche forse perché una cara amica giornalista, Silvia Butera mi spalleggia nel rompere il ghiaccio con il pubblico. Però subentra sempre l’agitazione di far visionare un prodotto in cui hai messo tutto te stesso. L’aver utilizzato tantissimo tempo, tuo e di chi vi partecipa per realizzare qualcosa che so rimarrà nel tempo. Conosco persone di teatro che impiegano mesi e mesi di prove per inscenare una storia e che dopo tutta questa fatica, alcune volte la piece svanisce. Nel senso che non essendo più rappresentata, o comunque dopo un tot di repliche viene giustamente abbandonata. Questa cosa mi ha sempre lasciato un senso di vuoto. Forse per questo non ho mai pensato di fare teatro. Non perché non ne sia affascinato, certo , probabilmente non ne sarei neppure capace. Ma i film, belli, brutti che siano. Possono essere visti e rivissuti anche dopo anni. Per questo cerco di creare un prodotto il più possibile curato. (Con basso se non inesistente budget, si fa fatica,e i difetti ci sono eccome.) Anche se si tratta appunto di prodotti indipendenti cerco di variare il più possibile le location e gli interpreti. Sapendo che in definitiva è principalmente un gioco. Un modo di esprimersi e di coinvolgere altre persone appassionate. Che si fidano di me e che non importa se il film poi non avrà chissà che giro, ma che un giorno, spero lontano. Toglieranno da un cassetto quell’esperienza e ne rivivranno le emozioni. Perché raccontare storie è vivere le vite degli altri.