La Brexit è di sicuro uno degli eventi più importanti per l’Europa contemporanea, e non solo in campo economico. Ma a poco più di un anno dal momento in cui la Gran Bretagna sarà fuori dell’Unione, le prospettive non sono molto incoraggianti, sopra tutto perché a Londra coltivano aspettative fuori misura e sono in preda a lotte intestine che impediscano l’emergere di una chiara, definita e vivibile posizione negoziale.
Il risultato potrebbe essere un’uscita traumatica, senza nessun accordo, che costerebbe qualcosa di più all’Unione Europea e disastrosamente di più ai britannici.
L’Unione Europea ha assunto fin dall’inizio una posizione chiara, e non l’ha modificata. L’uscita della Gran Bretagna danneggerà tutti, ma noi europei ne soffriremo comunque meno dei britannici. Mentre oltre Manica la semplice prospettiva della Brexit, prima ancora della sua effettuazione, ha già smorzato la crescita, raddoppiato l’inflazione e svalutato la sterlina, l’economia del Continente ha accelerato.
Nei negoziati per l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione, la parte europea è ovviamente la più forte. Il motivo è la seria dissimmetria nel commercio: il mercato britannico conta per il 7% dell’export europeo, quello europeo per il 40% dell’export britannico. In percentuale del rispettivo pil vale più o meno la stessa sproporzione. I negoziatori britannici cercano di darsi un contegno ma hanno già ceduto su molti punti. E tuttavia, non rinunciano a formulare richieste esagerate, che manifestano una percezione distorta, esagerata, dell’importanza del Regno Unito, e che a volte vanno contro le fondamenta stesse della costruzione europea, che gli inglesi proprio non capiscono. Alla radice ci sono le incomprensioni dell’opinione pubblica, in prevalenza arrogante, sciovinista e illusa; ma anche la qualità del governo di Theresa May è bassa, in barba al proverbiale pragmatismo britannico.
Per il pagamento di 40 miliardi di euro alle casse dell’Ue e lo status dei migranti britannici ed europei nei rispettivi territori di adozione, la soluzione sembra ormai quasi acquisita. Vasti settori dei media britannici strillano come aquile, ma nell’insieme i cittadini non ignorano di che morte dovranno morire. Lo scoglio principale invece è il confine irlandese, che potrebbe far crollare i negoziati e causare una Hard Brexit traumatica. Oggi quel confine è una linea virtuale per terra, attraverso la quale passano non solo persone e autocarri, ma anche le pecore degli allevamenti a cavallo della linea di demarcazione, l’energia elettrica, il latte delle consegne mattutine e altro ancora.
Il fatto che il confine sia così evanescente è uno dei pilastri del Good Friday Agreement che ha messo fine a decenni di sconti interreligiosi nell’Irlanda del Nord. Allo scattare della Brexit, però, quella linea evanescente diventerà il confine esterno dell’Ue, e l’unica maniera di mantenerlo poroso come adesso è che la Gran Bretagna continui a far parte dell’unione doganale europea. Theresa May lo esclude, parla invece di fantomatiche soluzioni ad alta tecnologia che nessuno sa in che cosa consistano. Gli europei fanno finta di crederci e, in questa fase, concedono a Londra il beneficio del dubbio (o meglio dell’ipocrisia diplomatica).
Gli inglesi chiedono un periodo di transizione di due anni durante il quale resterà in piedi l’unione doganale: ma non vogliono accettare le condizioni poste dall’Ue, in particolare la giurisdizione della Corte di giustizIa europea; perché, dicono molti, sarebbe una serie limitazione della sovranità. In più vorrebbero riservarsi un diritto di veto sulle nuove norme che l’Ue potrebbe emanere nel periodo della transizione. Una richiesta irricevibile in quanto il veto comporterebbe una sensibile riduzione della sovranità europea.
Donald Tusk ha già detto che quel che è venuto fuori la settimana scorsa come posizione del governo britannico è pura illusione, cherry picking (prendere da un panettone solo i canditi) che l’Ue non ha intenzione di concedere. Alla Camera dei Comuni è stata presentata una mozione trasversale perché la Gran Bretagna rimanga nel Mercato unico. Se domani Jeremy Corbyn sosterrà questa posizione nel suo largamente atteso discorso pubblico, la mozione potrebbe passare, e sarebbe impegnativa per il governo. In questo caso, a Bruxelles il volto dei negoziati potrebbe cambiare in modo profondo – e Theresa May potrebbe perdere il suo posto di primo ministro. Al momento attuale, comunque, la prospettiva più probabile è quella di un’uscita traumatica della Gran Bretagna, senza nessun accordo con l’Unione Europea.