Un crudele paradosso in Catalogna, alle elezioni autonomiche del 21 dicembre 2017: su oltre quattro milioni di elettori effettivi di circa sette milioni e mezzo di abitanti, la maggioranza ha votato contro gli indipendentisti. I secessionisti hanno avuto almeno 170.000 voti in meno rispetto alla maggioranza degli elettori. Ovvero: più della metà dei votanti non si è espressa a favore dei vari gruppi che vogliono l’indipendenza dalla Spagna (e, anche se molti dei secessionisti non se ne rendono conto, dall’Europa, dall’euro e dall’area Schengen), una rotta che finora si è rivelata disastrosa. Ma, grazie alla particolare legge elettorale in vigore in Catalogna – a suo modo già da quarant’anni uno stato privilegiato e virtualmente indipendente, in mano a gruppi di potere non meno corrotti di altri partiti spagnoli, ma abilmente populisti – a ottenere la maggioranza al Parlament è la somma dei partiti che sostengono apertamente l’indipendentismo: i voti delle città con minore popolazione contano più di quelli di metropoli come Barcellona. Si è ripetuto il meccanismo che aveva concesso la maggioranza in parlamento alle elezioni del 2015, innescando il proces indipendentista. Ma stavolta con una clamorosa differenza. Gli indipendentisti hanno perso.
La vittoria elettorale del 21 dicembre 2017 in Catalogna spetta inequivocabilmente a Ciutadans, formazione politica di centro-destra conosciuta in Spagna come Ciudadanos ma nata proprio in questa regione, con Albert Rivera. Più precisamente, l’effettiva trionfatrice quanto a voti è la candidata ala presidenza catalana di Ciutadans, Inés Arrimadas, votata da oltre un quarto degli elettori (oltre un milione di votanti). Già capo dell’opposizione al Parlament catalano e autentica pasionaria dei diritti dei catalani filo-spagnoli e filo-europei, la Arrimadas invano si è battuta durante il golpe (chiamiamolo con il suo nome, anche se il termine è considerato politicamente scorretto) per la sopravvivenza della democrazia in Catalogna. Ma le elezioni del 2015 avevano consegnato ai secessionisti una maggioranza di 72 seggi (la maggioranza si raggiunge a 68 seggi) nel Parlament di Barcellona, cifra minima che ha permesso alla Generalitat (il governo catalano) di autorizzare di stretta misura, il 6-7 settembre 2017, il referendum indipendentista svoltosi il 1 ottobre. Un referendum che non rispettava alcun criterio né della Costituzione spagnola (elaborata nel 1978 anche da politici democratici catalani, unici presenti tra le numerose autonomie spagnole) né alcun aspetto tanto legale quanto affidabile del voto popolare. Come ho ampiamente spiegato in un precedente articolo, non si trattava affatto di un referendum attendibile e democratico quanto quello scozzese del 2014, che invece era stato approvato a livello nazionale; bensì di un referendum fai-da-te, con schede autoprodotte e nessun vero controllo. Non a caso al sedicente referendum catalano, che doveva condurre alla dichiarazione unilaterale di una Repubblica, aveva votato una minima parte della popolazione, pressoché solo quella già orientata alla secessione. Ma gli indipendentisti avevano definito quel “voto” un plebiscito, con tutte le conseguenze del caso. Il 21 dicembre 2017 invece ha votato una maggiore percentuale della popolazione rispetto anche alle elezioni del 2015: oggi quasi l’82%, contro il 77% di allora. È chiaro che a votare più del solito, stavolta, sono stati i membri della maggioranza silenziosa, i non-secessionisti. Ma questo non conta: gli indipendentisti hanno ottenuto con la legge elettorale 70 seggi, due in più della maggioranza ancorché due in meno di prima, vincendo di fatto le elezioni che hanno in parte perso.
Ora – dopo la spiacevole applicazione di una regola di emergenza estrema, l’articolo 155 della Costituzione spagnola, volto proprio a evitare azioni incontrollate di un governo locale e mai usato prima nella storia – le elezioni democratiche hanno determinato un risultato ambiguo: più di metà degli elettori catalani è contro la secessione… pertanto al potere andranno lo stesso i secessionisti. Il partito vincitore e la donna che oltre un quarto dei catalani vorrebbe come presidenta andranno all’opposizione. Puigdemont, riparato a Bruxelles per sfuggire all’arresto per secessione, dovrebbe essere di nuovo president, contro la volontà di oltre metà dei catalani, che si è dichiarata contraria alla separazione dalla Spagna e agli obiettivi indipendentisti e imperialisti di una coalizione trasversale di estremisti. Imperialisti, sempre come ho ampiamente spiegato in un precedente articolo, in quanto hanno già dichiarato di voler controllare anche altri territori (le comunità autonome di Aragona, Valencia e Baleares) che nulla hanno a che fare con la comunità autonoma catalana, ma che i catalanisti stanno colonizzando politicamente e linguisticamente da anni, soffocando proprio quella libertà dei popoli di cui si dichiarano sostenitori.
Dal punto di vista spagnolo, le elezioni catalane segnano una brutale sconfitta politica di Mariano Rajoy, leader del PP, il Partido Popular di centro-destra, che dopo un decennio di potere avrebbe ormai fatto il suo tempo e da anni deve anche vedersela con la pesante corruzione del suo partito. Ma la sua permanenza al potere a Madrid è dovuta esclusivamente al fatto che l’elettorato si è turato il naso solo per evitare la secessione catalana. un peso ormai evidente nella politica spagnola da oltre due anni, tanto da determinare una lunga crisi di governo e due tornate elettorali tra il 2015 e l 2016. Non a caso si è vista la crescita di Ciudadanos, nuova forza politica della stessa area del PP, ma critica rispetto alla corruzione di quest’ultimo. Il PSOE, il Partito Socialista di centro-sinistra, è stato a sua volta gravemente debilitato dalla presenza di Podemos – gli ex-indignados – gruppo che si proclama di sinistra ed è sempre con un piede in due scarpe riguardo al secessionismo. Oggi però, in Catalogna, la filiale locale En Comù-Podem si colloca all’opposizione rispetto all’indipendenza.
Dal punto di vista catalano, in ogni caso, nonostante le urne abbiano indicato una lieve maggioranza – più di metà – contraria all’indipendenza, la vittoria parlamentare spetta ai secessionisti. Nonostante oltre tremila imprese, dal primo ottobre, abbiano cambiato sede, fuggendo dalla Catalogna per salvare le loro attività: nessuna potrebbe reggere l’uscita dalla Spagna e dall’Europa, trovandosi all’improvviso in un paese extracounitario fuori da ogni mercato. Nonostante gli investimenti nella potenziale Catalogna indipendente siano diminuiti del 75%, con conseguente perdita di posti di lavoro. Nonostante sia evidente la gestione discutibile degli ultimi anni da parte di politici catalani interessati solo alla secessione. Nonostante lo scandalo ormai dimenticato degli acquedotti di Gerona, che coinvolge l’ex-sindaco e poi president Puigedemont. Nonostante si tratti, insomma, di una scelta tecnicamente suicida che poco meno di metà dei catalani insiste a considerare una benedizione, così come poco più di metà dei britannici considerò una vittoria la Brexit… e solo dopo ha cominciato a pentirsene. La separazione è qualcosa che secondo la propaganda populista-catalanista renderà tutti più ricchi: falso, ma chi ha votato per i simil-leghisti catalani se ne renderà conto solo troppo tardi. A nulla serve che, per la prima volta nella storia della democrazia iberica dal 1978, un milione di catalani abbia votato in massa un partito non-catalanista. Queste sono le leggi elettorali. Quindi questa è la conclusione del voto democratico secondo le leggi.
La soluzione più crudele per il problema sarebbe concedere davvero l’indipendenza ai catalani. Lasciando che come lemming vadano verso l’autodistruzione finanziaria, la disoccupazione, la povertà. Il dramma è che, come la Germania di Hitler, in questi casi l’unica via d’uscita è l’imperialismo, programma già pronto infatti nei cassetti degli indipendentisti. Mentre l’Europa si limiterà a non riconoscere la loro Repubblica, i catalanisti tireranno i fili dei politici e della gente comune che già da anni stanno controllando a livello linguistico, propagandistico e lavorativo al di fuori del loro territorio, in modo da estendere quella che altrove si ha il coraggio di definire – senza che alcuno presti orecchio – dittatura catalanista. Ma agli occhi del mondo, come la Germania dopo il periodo di Weimar, i catalani (secessionisti) si presentano come un popolo perseguitato, con licenza di opprimere i conterranei (non secessionisti) e, dopo l’Anscluss, non solo loro.